Nella desolazione della carne, cattedrale gotica,
s’addipanava la mia elucubrazione.
Concrezioni si ammonticchiavano
su cumuli di acerbità,
s’addipanava la mia elucubrazione.
Concrezioni si ammonticchiavano
su cumuli di acerbità,
come detriti su di una lacuna.
Nell’armadio un fragore di spalliere
senza telaio,
nude e spoglie.
Appiccicoso straccivendolo,
largheggiavo tra stoffe di pessimo valore
e mercanzia datata.
Per riempire gli ugelli di una cisterna
di vacuità colma,
mi finsi mallevadore di un impostore.
Attimo in cui la luce deflorò l’oscurità museale
di una stanza chiusa,
mi sventrò le orecchie e fece rogo,
e vidi bruciare, tra allegre gighe colorate,
lo strologare di storie imbizzarrite.
Ramazza che cancella il sangue del mio ultimo misfatto,
scesi a poppa e mentre fibrillava via quel lividume,
accolsi l’inaugurazione,
come nuova possibilità di inganno,
come una nuova impostura.
Poesia scritta il 02/04/2017 - 20:19
Da Giulio Soro
Letta n.1082 volte.
Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Interessante componimento poetico che personalmente mi è molto piaciuto.5*
Paolo Perrone 04/04/2017 - 12:33
--------------------------------------
Una lirica di elevato costrutto letterario. Mi piace commentare, ma è quasi una sfida farlo con questa tua. Ho dovuto rileggerla, ovviamente, ma non è stata una pena.. Un personaggio, complesso, sembra dibattersi, scosso dai segni, arreso quasi alle sue stesse intuizioni.. e al suo ineluttabile destino, ma l’interpretazione è relativa. Conta l’interesse che mi ha suscitato..
Francesco Gentile 03/04/2017 - 13:09
--------------------------------------
Inserisci il tuo commento
Per inserire un commento e per VOTARE devi collegarti alla tua area privata.