a quando eravamo lì a ballare.
Adesso sono qui, 
a narrare
di quanto ingenui siam stati
quel momento in cui, per la prima volta, 
ci siam amati. 
Ricordi i miei occhiali?
Tuttavia non ricordi le mie ali, 
quelle che hanno reso te e me reali. 
Eravamo a caccia 
di qualcosa che potesse abbattere
quella gran roccia 
che ci ha uniti e che ora ci scoccia.
Quel macigno che trasforma in pesante
ogni nostro pensiero fluttuante. 
Quel male costante 
che rende tutto così assordante. 
Non mancano mai 
tutti questi guai
eppure per un solo attimo
tutto si fermò in un unico battito. 
Le nostre spalle entrarono in contatto 
come se quel impatto
mi abbia subito assuefatto 
e abbia reso
tutto quello che, qualche secondo dopo, 
sarebbe diventato il mio principale scopo. 
È mentre scrivo 
che quegli attimi rivivo, 
utili quasi come un antidepressivo. 
Non credi che sia l'antidoto giusto 
a questo trambusto? 
Chiudo gli occhi e ahimè, 
immagino di averti ancora lì con me. 
Eravamo sincronizzati 
o forse ipnotizzati 
quando ci siam voltati e osservati. 
Sembravamo bendati
e con un piccolo gesto
ci siam condannati 
o più semplicemente baciati. 
Sebbene fossimo impreparati, 
i nostri occhi erano offuscati 
da quei baci rubati. 
Eravamo così gasati
che non ci saremmo mai dimenticati 
di quanto ci fossimo desiderati. 
Sappi dolore:
non c'è condanna migliore
del saper attribuire un colore 
al proprio grigiore. 
Sappia amore:
sei tu il mio chiarore.
Poesia scritta il 24/09/2018 - 11:27Voto:  |  su 0 votanti  | 
	
Antonio Girardi  
 24/09/2018 - 19:06 
                        


