Prima di ritirare le piante
al sole quasi amabile di novembre
le lascio crogiolare.
Giganteggiano le begonie, piccoli vulcani
in eruzioni di cocciniglia
per poi i lapilli stemperare
dietro i vitrei cieli dei vani scala.
L'ibisco in se stesso si è rinchiuso,
qualche rado bocciolo
mediterà alla soglia dell'inverno
sul nascere e morire, non ancora disilluso.
Esuberanti sono sempre i vecchi cactus
satolli di lucori e correnti
vagheggeranno l'Arizona, altri momenti
visionando film western datati
da schermi di deserti.
Le calathee, le dracene, le schlumbergere
le loro tenere appendici
saranno con me a dipingere
in chiaroscuri studiati,
con me a sprofondare in mari aperti
e colline, circondati da cornici.
Penderanno stelle oscure
dalle surfinie blu nelle notti di dicembre
con strascichi di comete a gareggiare,
annuncianti sui presepi un mondo migliore
o almeno il migliore dei mondi possibili.
Solo le portulache, irrecuperabili
si spegneranno di fuori
in grovigli bruni ormai privi di colore.
Prima di ritirare le piante
rammento ogni sussurro, ogni parola
da loro a me accennate
nella lunga storia di noi due
-di cui esse spettatrici involontarie sono state-
le parole meno accessorie erano le tue.
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