RACCONTI |
In questa sezione potete consultare tutte le poesie pubblicate per argomento. In ogni caso se preferite è possibile visualizzare la lista delle poesie anche secondo scelte diverse, come per ordine di mese, per argomento , per autore o per gradimento. |
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Lista Racconti |
QUELLA PORTA CHIUSA QUELLA PORTA CHIUSA
Elisa una dolcissima bambina di 10 anni, con bei capelli di un biondo oro che le contornavano armoniosamente il viso, capelli che dapprima lisci si sbizzarrivano poi in boccoli inanellati che le scendevano giù lungo la schiena fino alla vita. Non le erano mai stati tagliati ma solamente spuntati una volta l’anno per rinforzarli ed oggi si raccoglievano meravigliosamente in bei boccoli lungo il suo corpicino. Lei li raccoglieva solamente quando si faceva il bagno per non bagnarli, in quel frangente il suo corpicino mostrava una lunga e profonda cicatrice sulla parte destra/centrale del corpo all'altezza del fegato. ![]() ![]() ![]()
Quello che avrei dovuto raccogliere. Non potevo semplicemente arrendermi all'idea. Lo avevo già fatto in passato, non volevo commettere lo stesso errore. Ho perso la mia dignità di donna, di ragazza e di amante. Circa un milione di volte, se non ricordo male. Ho sempre pensato di dover fare il possibile per non perdere qualcuno di caro, spendere, amare nel profondo ... pur sapendo di non essere più nel cuore di nessuno.
Di nessuno, di qualcuno ... di uno, mi basterebbe. Mi sono persa il bello della vita, nel periodo in cui avrei dovuto conoscerlo. Ho avuto poco tempo, poco spazio e poca attenzione per me, non avrei saputo coltivare niente in quegli anni. Né le mie passioni, i miei amori e quello che più poteva aiutarmi a scegliere. Scegliere cosa diventare, cosa essere ora. Guardami allo specchio e dirmi "<< Sono un'attrice, una ballerina oppure una bravissima moglie >>. A distanza di così tanti anni. Mi sono persa quello che avrei dovuto raccogliere, stando dietro ai miei sentimenti, alla mia innocent... (continua) ![]() ![]() ![]()
Quello che non dici... E come sempre, mi siedo e provo a scrivere i miei pensieri.
È un giorno particolare, vorrei dire e dirti tante cose, ma non mi è facile trovare le parole, quelle giuste. Parole che non leggerai e che non ti arriveranno mai. Perché tu non vedi i miei pianti. Non senti quando ti chiamo. Non puoi! Anche se ci illudiamo del contrario. Sei partito oggi, tanti anni fa, per un lungo viaggio. Tu, che non hai viaggiato mai! Provo, ogni tanto a immaginarti in un posto, che non conosco. Ma la fantasia non basta. Non basta neanche stavolta! E mi rendo conto che non so cosa dirti. È strano per me che uso le parole scritte, meglio di quelle parlate. Ma c'è differenza. Ed è che non sei qui... davanti. E alla fine, a cosa servirebbe? A sentirmi meglio? Dovrei, poi, trovare il modo di nascondere la mia ipocrisia. Preferisco smettere e lasciare andare i pensieri. Preferisco non scrivere ciò che avrei dovuto dirti... prima! Ciao Papà.... (continua) ![]() ![]() ![]()
Opera non ancora approvata!
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Questi ultimi vent'anni Sfogliando un album, trovo una vecchia foto di vent'anni fa. Siamo io e mia madre sorridenti e felici in un paesaggio meraviglioso e vibrante di colori, sembra un quadro di Matisse: da un lato i colori giallo-ocra della palazzina cinese, dall'altro un paradiso di fiori e alberi tropicali da togliere il fiato.
Lei, a sessant'anni è ancora una donna bellissima, indossa una gonna a fiori e una camicetta turchese. Un'immagine: io, chino sulle sue parti intime, intento a mantenere il grado di elasticità della sua pelle necessario a sconfiggere un nemico silenzioso e vorace chiamato "piaga da decubito". Il suo nome innocente riesce quasi a passare inosservato, ma è un mostro terribile in grado di divorare da un giorno all'altro i tessuti molli di un essere umano, per poi passare alle ossa. Chiudo gli occhi: (lei non è più di questo mondo). ![]() ![]() ![]()
Questione di click! Presa la prima “cotta” alle scuole medie, non c' era altro modo per raggirare la timidezza se non scrivere qualche bigliettino ed infilarlo in mezzo al diario del biondo compagno di banco. Fogliettini minuscoli con scritto “ ti voglio bene” ed impreziosito tutto con un cuoricino scritto con la penna rossa.
Anche quello era una sorta di virtuale, ma di bello c'era che da un angolino della classe si poteva spiare la sua espressione imbarazzata quando apriva il diario e leggeva. Ed oggi? Oggi siamo negli anni della tecnologia avanzata, computer e cellulari tutto fare, pubblicità che stimolano la frequentazioni di siti d' incontri: “Ti senti solo? Inscriviti e troverai la tua anima gemella con un click!” Quando la solitudine si impossessa di una persona in questo periodo ed in questa società, non c'è altro modo di sopravvivere se non quello di aggrapparsi a questa arma a doppio taglio che è il virtuale. I ritmi giornalieri della maggior parte delle persone sono molto frenetici:riuni... (continua) ![]() ![]() ![]()
Questo è un bene «Ogni giorno ha ancora un sapore, e questo è bene.
Fin che ci saranno le stagioni, fin quando alla finestra si fermerà sulle sopracciglia e sulla barba la neve forse…» <…e perché, questo, sarebbe un bene> «Fin quando dalla finestra un barlume di sole scalderà ancora il viso, fin che resterà un solo giorno… almeno uno…» <Cosa vuole dire, si spieghi> «Quando si chiude il fine settimana e la porta di casa dietro ai miei figli, quando tornano dalla madre…» <Quindi si tratta di questo, i suoi figli. «Da sotto il cappello le cose sembrano diverse. <Lei parla di un buco, come metafora… o dovrei chiederle se fa uso di qualche tipo di sostanza…> «Quel buco prima o poi mi inghiottirà»
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Questo mondo, dove mi sono perso. Opera non ancora approvata!
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questo non è un bene? <Parliamo del suo cappello>
«Se lo togliessi, avrei ancora un cielo da guardare» <…e questo non è un bene?> «Dovrei accettare che non c’è più… la mia precedente vita» <Accettazione…> «Non c’è altro da dire» <Oh, sì. C’è ancora molto. Ma, mi dica dei suoi figli> «Magari la prossima volta…» <…e di cosa vorrebbe parlare> «Sto perdendo anche il lavoro. Tutto si automatizza. Dopo 17 anni…» <E cosa farà… Ci ha già pensato?> «Credo mi adeguerò» <Accettazione> «Alla mia età non ti offrono un lavoro ad ogni angolo di strada» <E nella scrittura?> «Mi sento un fantasma, dottore» <Questo è un bene, nel suo campo i fantasmi guadagnano discretamente> «Magari solo per un momento…» <Che cosa?> «Se togliessi il cappello!? »
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Questo non è un racconto Questo non è un racconto: questa è la storia di Mikael.
Mikael aveva 25 anni e si guardava allo specchio. Osservava i prolissi capelli biondi che sfioravano le spalle, osservava gli occhi azzurri, simbolo indelebile delle sue origini scandinave. - Ah! non adesso Mikael, sbrigati che è tardi - pensò, ed in effetti era in ritardo per il lavoro. Si lavò la pelle candida ed in meno di cinque minuti era pronto. Canticchiava e osservava dalla finestra le foglie strascicate dal vento sull'asfalto. - Non sono tanto diverso io da quella foglia, o dolce il vento delle emozioni... - sussurrò probabilmente a se stesso. Si spostò in cucina, prese il pacchetto di Marlboro e si portò una sigaretta alla bocca, se la accese. C'era una fuga di gas, lui morì subito. Vi prego di non arrabbiarvi, d'altronde vi avevo avvertito: questo non è un racconto. Questa è la storia di Mikael, la storia della sua morte. Oh, la morte che cammina per i nostri viali, a volte è goffa e s'odono i suoi passi, a volte noi... (continua) ![]() ![]() ![]()
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