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Sogno medievale

I colli di Monselice.
Battaglie medievali dal sapore aspro di banchetti consumati alla penombra delle candele tra mura spesse, grondanti di verde umidità,
Cigolii di armature e sbattere ferroso di pentole nelle cucine, tra odori speziati e urla insudiciate dei cuochi.
Così lontano il clamore della battaglia appena trascorsa. Così lontano il sangue che colava sugli occhi e i rantoli dei compagni che si abbattevano a terra. Così lontano il lamento dei feriti che venivano abbandonati tra i boschi.
Solo dolce musica pungente fischiata tra le fessure sotto le porte spesse di legno chiodato. Odore di bosco a mezzanotte ad ogni apertura. Odore di polvere tra le trame degli arazzi vivaci sopra i camini. Trame di donne intente in orditi, a piccoli bisbigli se un uomo passava loro accanto: solo un accenno al suo passaggio poi cristallo contro marmo quando se n’era andato.
Casa.
Così diversa. Senza guerra in notti senza pace.
Dove poter respirare balsami sinuosi tra morbide coperte e guanciali profumati. Profumi mai provati. Sogni mal rinchiusi nei fragili forzieri della mente, che prendono il sopravvento l’attimo prima di dormire. Scassinati da morbidi grimaldelli che soffocano le remore con caldi soffi di interminabile felicità. Ansiti impronunciabili zittiti da pretestuose promesse di amore, fede, pace. Invece solo fiumi in piena da vincere con tutta la forza delle braccia e il fiato dei polmoni. Per non annegare, non farsi travolgere. Ma nuotare, risalire. Respirare. Riaffondare. Risalire. Per respirare, risalire. In una cascata che è mille dolci baci su un corpo stanco che ha solo bisogno di amore. Risalire, riaffiorare. E annegare nelle vampe scintillanti di un fuoco che ardeva nascosto e recondito negli anfratti di ricordi frammentati di una realtà più prossima alla fantasia appesantita di una taverna.
In inverni interminabili di neve ghiacciata sotto i piedi stanchi di boscaioli che nelle ore di luce perlata risalivano a stento la china dei colli per recuperare quel che bastava per scaldare le ossa e il pasto frugale della sera. Calore di una vita vera, che si beve a grandi sorsi dalla bocca di chi ne sa più di te…e ci si lascia guidare ad occhi chiusi, piacevolmente abbandonati alla scoperta di terre rimaste troppo a lungo segrete in sguardi malcelati, desideri dissimulati…favole di principi e draghi in notti bambine, sotto il tepore delle coperte.
Coperte bianche fuori dalle finestre, umidi stracci imbevuti di lacrime di principesse morte dai cuori spezzati che rigano i vetri con le loro dita in giorni di pioggia. Tamburellano impazienti le dita sui vetri, spiando amanti addormentati, vegliando su giovani cuori che credono ancora nell’amore, invidiose e fameliche, che con l’imperio del vento tentano l’irruzione per divorare quel che rimane dei loro respiri mozzati.
Così nel camino sfavillante danzano il bene e il male, la pace e la guerra, dama e cavaliere in turbinanti giri di lingue di fuoco, per scaldare un cuore che batte per la paura, il coraggio, la rabbia della battaglia. Della vendetta. Di compagni abbandonati tra carcasse di case e cavalli. A cercare un fantasma tra i colli lanciando il destriero nel vento. Una corsa imbizzarrita per lottare contro l’ invisibile rimpianto e scappare dal tangibile rimorso. Che brucia nelle ferite delle spade dei nemici e nei baci delle dame che si contendono quel cavaliere sopravvissuto all’orrore di un massacro.
Un paesaggio bianco per ricordare le vesti dei bambini che giocavano nell’aia tra i fiori e i raggi del sole. Le vesti dei morti che lasciavano in brandelli di stoffa il campo di battaglia. La pelle di luna di un amore che credevi perduto anche se non lo avevi vissuto mai; perduto perché impossibile, ma che ora c’è. E ti pare di sentirlo mentre respira sul tuo cuore e non gli domanda il permesso di entrare. Ma con la solita insolenza si prende quello che vuole e con rabbia getta il resto: quello che resta del tuo cuore massacrato, inutilizzabile.
Riordina il caos della mente con la confusione dei sensi…batte di nuovo per una nuova speranza, conosciuta sul far della notte scendendo in fretta dal destriero, irrompendo in una taverna poi in un castello. Inespugnabile con le lacrime, sfondato col sonno.
Ma quel fantasma vestito di bianco torna a cercarti, a cercare il tuo amore dagli occhi e la pelle di luna, il viso da bambino e la voce da uomo. Vuole te nel cuor della notte e non guarda in faccia nessuno, nemmeno il suo respiro vicino, troppo vicino. Così batte sulle imposte e le scuote con le arpie della pioggia. Vuole riaverti con sé. Vuole tornare con te. Strapparti al calore di un vivo per il gelido bacio di un morto. Che nonostante tutto ancora ama. E odia il tuo amore vicino. Allora sbatte le imposte col vento e urla al mondo la rabbia del gelo che tra i morti non si può stemperare. Ma chi lo sente…ha nelle orecchie il ronzio di mille vespe e sul seno la puntura di un veleno che non tarda ad arrivare. Quel bacio che non hai dato a chi aveva scalato rocce nel vento per coglierti un fiore che hai calpestato. E mai una lacrima.
Oh cavaliere dal cuore ferito…la dama non ti ascolta più, ormai. Ha trovato chi dà conforto al suo cuore scosso dai singhiozzi. E non ha paura di prendersi con le sottili armi del consolatore- lui- quello che tu hai chiesto mille volte con imprese inenarrabili.
Ti sei perso nell’oblio, diventato una marionetta nelle sue mani vellutate, che governavano i fili per portarti all’esasperazione. Alla dannazione nelle fiamme del loro camino, condannato a guardare una scena che tu non potrai vivere più. Ad ascoltare parole che sgorgano come miele dalle sue labbra verso labbra che bevono quella felicità che a te è stata negata.
Negata in vita, assaporata attraverso le mani di un altro in morte.
Condannato a vivere dentro il corpo del rivale per assaporare un amaro amore. E la magra consolazione di turbare quel po’ di pace che la tua spina cercava negli occhi di qualcuno.
Costretto ad avere calore solo dal loro abbraccio confuso e da quelle fiamme che ti divorano l’anima con la gelosia. Che brucia la lingua, scotta sulla pelle e speri che le faccia più male, sempre più male. Come i suoi denti neanche si sognerebbero di fare. Solo il calore del suo fiato sulla pelle che ha bisogno di refrigerio. Quella cascata di mille bolle simili ai baci di chi non ha ritegno e che per prendersi quel che vuole calpesta anche un fiore. Speri stringa forte, che urli di dolore. Ma piangi dalla sua fronte con lacrime di sudore perché sai che non vuoi il suo male. Allora il tuo cuore batte con quello del rivale, in una musica che è solo amore, triste e gioioso amore. Vicino al suo cuore. Così lontano che nemmeno il più veloce cavallo ci potrebbe mai arrivare. Amare e vivere, ansimare e baciare col tuo rivale per amare un amore che hai perduto anche tu come lei: perché impossibile. Ma che ora è vero. Per come può essere vera una carezza tua con le mani o la lingua di un altro.


“Vengo a prenderti. E stavolta ti ruberò il respiro. Ti lascerò morire col tuo amore in un letto che non è il mio. E non potrai urlare più. Perché la notte è nostra. E devi fare silenzio. I guardiani dormono fuori e tu chiusa qua dentro non devi fare rumore. Perdonerai la mano sulle tue labbra, premerò quel che serve per averti con me per sempre. Perché questo momento non venga distrutto da parole che non possono nemmeno avvicinarsi al tormento che sento.
Il suo corpo e la tua mente. La sua mente e questo strano gioco che si chiama l’urlo soffocato di un’innocente. Che da adesso mi appartiene. E il mio nome non può venire cancellato dai tuoi ricordi. Perché sono io che ti ho accolta e ristorata. In me hai trovato la pace e la dannazione, perché il tuo dio vuole le nozze. Io voglio solo l’attimo presente. E non dovermi preoccupare se qualcuno sa o sente. Solo io e te. Tu appartieni a me, io appartengo a te. Se respiri l’incanto si rompe. Lasciati andare. E’ solo un momento. Non mi puoi cancellare dalla tua mente. Sono in lui e in qualsiasi altro incroci la tua strada.
Le sue mani: le mie mani. Il suo respiro: il mio respiro. Il suo cuore: il mio cuore. Ma pieno di odio e amore verso di voi che vi fate beffe di me. Tu che non ti ribelli a lui, ma lo istighi, lo provochi, e lui che ti asseconda.
Stupido amore bambino.
Urla quanto ti pare nella sua mano, mordi la sua spalla se credi che allevierà la colpa. Domattina ti vengo a prendere, tesoro. Assapora questi momenti che io non ho potuto avere. Ricorda il viso. E cosa ti sussurra dolcemente mentre tu non sai che cosa fare, cosa dire, che sentire. Ricordati di lui. Perché non vivrà in eterno. Nemmeno i ricordi di una seduzione al chiaro di nebbia.
Vengo a prendervi presto. E il suo corpo temprato non potrà proteggerti, non potrà nasconderti.
Io vivo in lui, lui vive con me.
E due persone sai che non si possono amare.”




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Opera scritta il 03/06/2010 - 17:11
Da Donna Pola
Letta n.1374 volte.
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Commenti


Grazie mille cara Adelaide! Il tuo incoraggiante commento mi è di aiuto: questo "sogno medievale" è, a dir la verità, solo uno stralcio di un racconto molto più vasto...chissà che non riesca ad isolarne altre parti interessanti, allora! A presto!

Donna 06/06/2010 - 18:23

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bravissima,è molto ricco questo racconto:nella prima parte descrivi accuratamente scene di vita e battaglie e morte nel clima medievale,nella seconda parte sei più incentrata nella storia d'amore forte ma impossibile da vivere....complimentissimi...a presto,continua così che vai alla grande...

adelaide 03/06/2010 - 22:37

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