Nessuno pensa mai che la morte possa manifestarsi nei momenti e in luoghi più impensabili.
Invece è proprio ciò che mi stava accadendo in quel posto sperduto dalla civiltà, in mezzo ai silenzi del buio, tra i latrati di animali notturni a caccia di una debole preda da assalire.
Jane, la mia bionda e bellissima compagna, era distesa lì, tra le mie braccia, il suo Lodge distava poche decine di metri dal mio, dove tenevo la borsa con l’occorrente per il pronto soccorso.
Ma mi accorsi subito dell’inutilità di tale illuminazione, il battito non c’era ormai più da molto tempo ed i suoi occhi mi guardavano velati, quasi a scusarsi del triste epilogo di una giornata stupenda.
Solo raccontare il nostro incontro ha talmente dell’incredibile che la mia mente lo metabolizza con fatica, comunque trovare una fotografa naturalista in un Lodge a te vicino, nella riserva Masai Mara, in Kenya, in compagnia della sola Jeep e di tanta voglia d’avventura mi è apparso il coronamento dei miei più reconditi sogni, fino alla sera.
Già il primo incontro ci ha accomunati, entrambi Italiani ed entrambi impegnati con la fauna selvaggia, lei cacciatrice di scatti impareggiabili per le riviste, ed io, predatore di idee per dipingere scene arcaiche.
Abbiamo subito deciso di unirci ed allo scopo ci siamo diretti alle cascate Thompson, con la sua Jeep ed i nostri inseparabili attrezzi del mestiere.
Ci siamo appostati su di una sporgenza, all’ombra di un sicomoro, in compagnia dello squittire delle scimmie, che dai rami assistevano alle nostre imprese.
Il primo colpo di pennello ed il primo scatto fotografico si sono scontrati di colpo, come i nostri sguardi ed i nostri corpi.
Abbiamo dedicato molto tempo a imitare gli accoppiamenti degli animali intorno a noi, Jane imitava anche i versi delle scimmie, quando era nel momento di massimo godimento.
L’ambiente selvaggio ha giocato un ruolo fondamentale, ci ha restituito lo spirito primordiale, ci ha resi per un giorno Tarzan e Jane.
Anche gli ippopotami, facevano spazio al nostro incedere, verso la pozza d’acqua, ai piedi della cascata dove eravamo diretti per rinfrescarci.
Ma una volta nell’acqua, sotto le cascate, l’ambiente dintorno a noi, ha rivelato la sua importanza e con essa ci ha ricordato il perché eravamo lì.
Lei scomparve con in braccio cavalletti, obbiettivi e quant’altro. La tela di fronte a me lasciò ben presto il bianco per inondarsi di colori che rifrangevano tra loro come le acque della cascata nel suo incedere.
Il meriggio tingeva il paesaggio, di rosso cadmio e giallo indiano ed i ruggiti lontani dei leoni, in amore, facevano assaporare alla mia mente i momenti trascorsi con Jane.
Fu tra il vagare, senza meta, di questi pensieri che il mio sguardo la vide tornare, ma anziché carica di attrezzi, come era partita, adesso, aveva al suo seguito una schiera di portatori, armati di lance, vestiti di un perizoma.
Mosse le braccia a mo’ di saluto e tutti i suoi soldati, che si sarebbero rivelati componenti di una tribù Masai, intonarono un canto.
Fui letteralmente prelevato dalla mia postazione e scortato lungo un sentiero che conduceva ad una landa, dove era stato eretto una assembramento di capanne.
Vi era un senso euforico nell’aria, che coinvolgeva gli abitanti del villaggio, i quali vennero a chinarsi più volte davanti a noi, che nel frattempo avevamo preso posto al centro di una tettoia.
Jane parlava con uno di loro, che a sua volta traduceva al capo tribù, riconoscibile dal crine coperto da una pelle di leone, che scendeva sulle spalle.
Poi mi spiegò: “ Sanno che siamo due stranieri e la nostra presenza per loro è normale, visto che spesso arrivano comitive di vacanzieri a visitare i luoghi intorno.
Quello che li attrae in modo particolare è la tua pittura.
Forse sei il primo visitatore che vedono dipingere. Quindi ti sei conquistato il diritto, dovere, di fare il ritratto al capo tribù.”
Mi guardai intorno e mi accorsi che tutti mi stavano osservando come un branco di Leoni osserva uno Gnù, ma la voce di Jane mi scosse, riportandomi alla realtà.
“ Domani verremo a questo accampamento ed il capo tribù sarà pronto per farti da modello. Che ne pensi?”
“ L’idea non mi dispiace, penso di fargli un ritratto in due giorni. Digli pure che va bene.”
Iniziò, così, la festa con canti e balli tribali.
Ci venne offerto cibo e bevande, ma a differenza della mia compagna non toccai niente, adducendo come scusa una lieve indisposizione.
Finalmente dopo aver salutato, in modo caloroso, la tribù riuscimmo a dirigerci nuovamente alle cascate, dove ci attendeva un bagno rinfrescante e per niente intimoriti dal branco di elefanti che si avvicinava, le nostre anime, le nostre menti, ma soprattutto i nostri corpi, si unirono per dar vita al momento più riuscito della creazione.
Le ultime luci del giorno stavano abbandonando la selva, come gli animali che si incamminavano ai rifugi notturni, anche noi ci preparammo a tornare al Lodge per la notte.
Jane continuava a scattare foto dalla Jeep, a volte mi chiedeva di fermarmi per immortalare le ultime scene che la luce permetteva. Raggiungemmo il residence a tarda sera e dopo aver riposto la nostra attrezzatura, il personale, nonostante l'ora tarda, ci fece gustare una cena con i fiocchi, a base di caccia e questa volta non mi sognai di rifiutare. Il terrazzamento davanti al ristorante ci ospito’ su due comode poltrone, per riordinare le idee e fare programmi per il giorno seguente, cosa non facile, in un ambiente dove l'istinto ti richiede di tendere l'orecchio, per carpire il verso di qualche animale. Noi ci scambiavamo molti sguardi e sorridevamo, sazi delle emozioni trascorse. Jane continuava a cospargersi sulla pelle un unguento alle erbe, che a suo dire, era un repellente per le zanzare, ma il pomeriggio dopo, averlo provato, ero stato punto e così' ero tornato all'uso del mio vecchio Autan, non senza provocare innumerevoli rimproveri da parte della naturalista, che mi accompagnava. " Vuoi un sambusi?Dai che sono buoni, sono i biscotti Keniani” Mi chiese. "Si prima che tu li finisca gradirei assaggiarli" dissi e mentre mi porgeva il dolce si piegò su se stessa abbracciandosi la pancia e lamentandosi per i forti dolori.
Dal ristoro accorsero per aiutarmi a spostarla nel suo Lodge, la distesi sul letto e inizia a cullarla, come un neonato.
Non ricordo più per quanto tempo restai in questa posizione,poi d’un tratto, vidi camminare sulla sua spalla un ragno.
Era un piccolo aracnide che non incuteva paura in un ambiente selvaggio come quello in cui ci trovavamo.
Il suo colore, grigiastro, bloccò il mio istinto di scacciarlo, fu a quel punto che riconobbi la specie, un ragno della sabbia, tra i più velenosi sulla terra, nessun antidoto, alto grado di mortalità tra le sue vittime.
Tutte le nozioni apprese dai libri, mi risuonarono nella mente, come se stessi assistendo ad una lezione.
Compresi la gravità della situazione, schiacciai il ragno con uno stivale, dopo averlo spinto via dal braccio di Jane e cercai il morso sul corpo, anche se sapevo che era quasi impossibile trovarlo.
Poi mi arresi al fato, il suo corpo non dava, ormai, segni di vita.
Tutto è successo molto in fretta e non c'è stato modo di fare niente. Mi ripetevo nella mente.
Ma non riuscivo a dar pace alla mia anima, la distesi nel letto, riassestai la stanza e nel prendere la sua macchina fotografica feci scorrere le immagini da lei scattate, finché mi apparve quella del ragno, carpita nel mio Lodge, mentre ero intento a disfare le borse degli attrezzi per dipingere. Jane lo aveva immortalato, sulla mia giacca.
Raccolsi in fretta i pochi miei bagagli, con circospezione, tralasciando gran parte dell’attrezzatura.
Caricai tutto nella mia Jeep, pagai il conto, informai gli addetti che la signora stava male, ma si era assopita, fuggii, tra i pericoli notturni della savana africana: tigri, pantere, leoni, coccodrilli, ippopotami, rinoceronti, serpenti, e quant’altro di feroce ed immaginabile può venire in mente.
Fuggii, forse anche adesso lo rifarei, da quel pericolo talmente fuori luogo, talmente inaspettato, come il mal d’aria per un pilota di caccia.
Invece è proprio ciò che mi stava accadendo in quel posto sperduto dalla civiltà, in mezzo ai silenzi del buio, tra i latrati di animali notturni a caccia di una debole preda da assalire.
Jane, la mia bionda e bellissima compagna, era distesa lì, tra le mie braccia, il suo Lodge distava poche decine di metri dal mio, dove tenevo la borsa con l’occorrente per il pronto soccorso.
Ma mi accorsi subito dell’inutilità di tale illuminazione, il battito non c’era ormai più da molto tempo ed i suoi occhi mi guardavano velati, quasi a scusarsi del triste epilogo di una giornata stupenda.
Solo raccontare il nostro incontro ha talmente dell’incredibile che la mia mente lo metabolizza con fatica, comunque trovare una fotografa naturalista in un Lodge a te vicino, nella riserva Masai Mara, in Kenya, in compagnia della sola Jeep e di tanta voglia d’avventura mi è apparso il coronamento dei miei più reconditi sogni, fino alla sera.
Già il primo incontro ci ha accomunati, entrambi Italiani ed entrambi impegnati con la fauna selvaggia, lei cacciatrice di scatti impareggiabili per le riviste, ed io, predatore di idee per dipingere scene arcaiche.
Abbiamo subito deciso di unirci ed allo scopo ci siamo diretti alle cascate Thompson, con la sua Jeep ed i nostri inseparabili attrezzi del mestiere.
Ci siamo appostati su di una sporgenza, all’ombra di un sicomoro, in compagnia dello squittire delle scimmie, che dai rami assistevano alle nostre imprese.
Il primo colpo di pennello ed il primo scatto fotografico si sono scontrati di colpo, come i nostri sguardi ed i nostri corpi.
Abbiamo dedicato molto tempo a imitare gli accoppiamenti degli animali intorno a noi, Jane imitava anche i versi delle scimmie, quando era nel momento di massimo godimento.
L’ambiente selvaggio ha giocato un ruolo fondamentale, ci ha restituito lo spirito primordiale, ci ha resi per un giorno Tarzan e Jane.
Anche gli ippopotami, facevano spazio al nostro incedere, verso la pozza d’acqua, ai piedi della cascata dove eravamo diretti per rinfrescarci.
Ma una volta nell’acqua, sotto le cascate, l’ambiente dintorno a noi, ha rivelato la sua importanza e con essa ci ha ricordato il perché eravamo lì.
Lei scomparve con in braccio cavalletti, obbiettivi e quant’altro. La tela di fronte a me lasciò ben presto il bianco per inondarsi di colori che rifrangevano tra loro come le acque della cascata nel suo incedere.
Il meriggio tingeva il paesaggio, di rosso cadmio e giallo indiano ed i ruggiti lontani dei leoni, in amore, facevano assaporare alla mia mente i momenti trascorsi con Jane.
Fu tra il vagare, senza meta, di questi pensieri che il mio sguardo la vide tornare, ma anziché carica di attrezzi, come era partita, adesso, aveva al suo seguito una schiera di portatori, armati di lance, vestiti di un perizoma.
Mosse le braccia a mo’ di saluto e tutti i suoi soldati, che si sarebbero rivelati componenti di una tribù Masai, intonarono un canto.
Fui letteralmente prelevato dalla mia postazione e scortato lungo un sentiero che conduceva ad una landa, dove era stato eretto una assembramento di capanne.
Vi era un senso euforico nell’aria, che coinvolgeva gli abitanti del villaggio, i quali vennero a chinarsi più volte davanti a noi, che nel frattempo avevamo preso posto al centro di una tettoia.
Jane parlava con uno di loro, che a sua volta traduceva al capo tribù, riconoscibile dal crine coperto da una pelle di leone, che scendeva sulle spalle.
Poi mi spiegò: “ Sanno che siamo due stranieri e la nostra presenza per loro è normale, visto che spesso arrivano comitive di vacanzieri a visitare i luoghi intorno.
Quello che li attrae in modo particolare è la tua pittura.
Forse sei il primo visitatore che vedono dipingere. Quindi ti sei conquistato il diritto, dovere, di fare il ritratto al capo tribù.”
Mi guardai intorno e mi accorsi che tutti mi stavano osservando come un branco di Leoni osserva uno Gnù, ma la voce di Jane mi scosse, riportandomi alla realtà.
“ Domani verremo a questo accampamento ed il capo tribù sarà pronto per farti da modello. Che ne pensi?”
“ L’idea non mi dispiace, penso di fargli un ritratto in due giorni. Digli pure che va bene.”
Iniziò, così, la festa con canti e balli tribali.
Ci venne offerto cibo e bevande, ma a differenza della mia compagna non toccai niente, adducendo come scusa una lieve indisposizione.
Finalmente dopo aver salutato, in modo caloroso, la tribù riuscimmo a dirigerci nuovamente alle cascate, dove ci attendeva un bagno rinfrescante e per niente intimoriti dal branco di elefanti che si avvicinava, le nostre anime, le nostre menti, ma soprattutto i nostri corpi, si unirono per dar vita al momento più riuscito della creazione.
Le ultime luci del giorno stavano abbandonando la selva, come gli animali che si incamminavano ai rifugi notturni, anche noi ci preparammo a tornare al Lodge per la notte.
Jane continuava a scattare foto dalla Jeep, a volte mi chiedeva di fermarmi per immortalare le ultime scene che la luce permetteva. Raggiungemmo il residence a tarda sera e dopo aver riposto la nostra attrezzatura, il personale, nonostante l'ora tarda, ci fece gustare una cena con i fiocchi, a base di caccia e questa volta non mi sognai di rifiutare. Il terrazzamento davanti al ristorante ci ospito’ su due comode poltrone, per riordinare le idee e fare programmi per il giorno seguente, cosa non facile, in un ambiente dove l'istinto ti richiede di tendere l'orecchio, per carpire il verso di qualche animale. Noi ci scambiavamo molti sguardi e sorridevamo, sazi delle emozioni trascorse. Jane continuava a cospargersi sulla pelle un unguento alle erbe, che a suo dire, era un repellente per le zanzare, ma il pomeriggio dopo, averlo provato, ero stato punto e così' ero tornato all'uso del mio vecchio Autan, non senza provocare innumerevoli rimproveri da parte della naturalista, che mi accompagnava. " Vuoi un sambusi?Dai che sono buoni, sono i biscotti Keniani” Mi chiese. "Si prima che tu li finisca gradirei assaggiarli" dissi e mentre mi porgeva il dolce si piegò su se stessa abbracciandosi la pancia e lamentandosi per i forti dolori.
Dal ristoro accorsero per aiutarmi a spostarla nel suo Lodge, la distesi sul letto e inizia a cullarla, come un neonato.
Non ricordo più per quanto tempo restai in questa posizione,poi d’un tratto, vidi camminare sulla sua spalla un ragno.
Era un piccolo aracnide che non incuteva paura in un ambiente selvaggio come quello in cui ci trovavamo.
Il suo colore, grigiastro, bloccò il mio istinto di scacciarlo, fu a quel punto che riconobbi la specie, un ragno della sabbia, tra i più velenosi sulla terra, nessun antidoto, alto grado di mortalità tra le sue vittime.
Tutte le nozioni apprese dai libri, mi risuonarono nella mente, come se stessi assistendo ad una lezione.
Compresi la gravità della situazione, schiacciai il ragno con uno stivale, dopo averlo spinto via dal braccio di Jane e cercai il morso sul corpo, anche se sapevo che era quasi impossibile trovarlo.
Poi mi arresi al fato, il suo corpo non dava, ormai, segni di vita.
Tutto è successo molto in fretta e non c'è stato modo di fare niente. Mi ripetevo nella mente.
Ma non riuscivo a dar pace alla mia anima, la distesi nel letto, riassestai la stanza e nel prendere la sua macchina fotografica feci scorrere le immagini da lei scattate, finché mi apparve quella del ragno, carpita nel mio Lodge, mentre ero intento a disfare le borse degli attrezzi per dipingere. Jane lo aveva immortalato, sulla mia giacca.
Raccolsi in fretta i pochi miei bagagli, con circospezione, tralasciando gran parte dell’attrezzatura.
Caricai tutto nella mia Jeep, pagai il conto, informai gli addetti che la signora stava male, ma si era assopita, fuggii, tra i pericoli notturni della savana africana: tigri, pantere, leoni, coccodrilli, ippopotami, rinoceronti, serpenti, e quant’altro di feroce ed immaginabile può venire in mente.
Fuggii, forse anche adesso lo rifarei, da quel pericolo talmente fuori luogo, talmente inaspettato, come il mal d’aria per un pilota di caccia.
Opera scritta il 28/12/2015 - 17:59
Letta n.1203 volte.
Voto: | su 1 votanti |
Commenti
Concordo pienamente col commento che precede il mio. :--1
Rosa Chiarini 06/01/2016 - 14:24
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Un bel racconto come una sceneggiatura da film, scritto con ottimo stile e con appropriate descrizioni. Mi è piaciuto quasi tutto, tranne la fuga finale.Non riesco a votare per un malfunzionamento del sito ma sarebbe un *****
salvo bonafè 28/12/2015 - 19:35
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