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VITA DA CANI

Solo me ne vō per la cittā,
con la lingua penzolante, con la coda fra le gambe,
sotto una canicola
che sull'asfalto riverbera miraggi d'acqua
cammino in punta di piedi come se avessi paura di disturbare quella quiete che mi circonda.
Agosto, il mese delle ferie, il mese delle partenze, in cittā non c'č un cane.
Io l'unico, barbone in un luogo deserto.
Non un chiuaua, non un alano, non un bassotto.
Nessuno a cui offrire la mia zampa,
all'improvviso un guaito
proveniente chissā da dove,
interrompe il silenzio inquietante di quella strada.
Rizzo le orecchie, inclino la testa,
comprendo che il lamento proviene da una discarica li vicino.
Mi lascio condurre da quel gemito, sommesso ma continuo,
fra pneumatici abbandonati, mobili in disuso e carcasse di macchine distrutte,
in un mare di rottami intravedo il musetto di un mio simile.
Scodinzolando dalla gioia mi avvicino, annuso il suo corpo, mi sorride
abbasso le orecchie e gli offro la mia zampa.
Finalmente mi sento meno solo e meno abbadonato.



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Opera scritta il 23/04/2016 - 00:32
Da Paolo Delladio
Letta n.1245 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Ma che bella anche questa tua poesia Paolo, mi piacerebbe che nessuno al mondo si sentisse abbandonato.Vorrei un mondo pieno e vero.

Channah Accor 27/12/2016 - 19:55

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Racconto che fa riflettere e descritto molto bene in questa chiave un poco ironica.. *****

ANNA BAGLIONI 23/04/2016 - 16:29

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Simpatico bozzetto tra l'ironico e il sentimentale, espresso con una forma in bilico tra prosa e poesia. L'immedesimazione nel personaggio canino mi sembra riuscita.

Giuseppe Novellino 23/04/2016 - 11:30

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