L’Alba del Serafino (La maledizione…)
La maledizione dell’aquilone
Qui nel contado si sente solo il rumore della natura, il canuto sovrano lo ascolta da una sedia a dondolo. Lettore, siedigli accanto… devi sapere come tutto ebbe inizio.
Si narra che fluisse come acqua,
di cuore puro e neutra anima.
Fino a che per mano delle naiadi
Acredine e Basica cadde vittima
della stizza della dea Marica,
gelosa dell’amore di Aquilone per lei.
Invocò su loro un orripilante anatema:
confinò Ninfa nella torre degli Alisei,
e legò Aquilone a un filo di voce.
Se Ninfa fosse riuscita mai a fuggire
con qualche astutezza,
entrando in contatto con l’aria
e confondendosi con essa
avrebbe perso di purezza.
Si dice che sulle sponde del Giordano
nelle giornate di solleone, quando
il cielo sereno fin giù nel sottobosco
rende azzurra ogni pervinca colando
su tappeti di anemoni,
tra i non ti scordar di me
che bordano le andane strette
girandoli una fanciulla; si dice anche
si odano i di lei bisbigli salire ai filari
tra le felci, chiusi in rime imperfette.
…Lobella, pare bisbigli il vento
Prima che la prossima ora rintocchi
intendo farmi trovare pronto per partire:
recluterò quante più matite, ciascheduna
ben temperata, così da non avere intoppi.
Come ogni viandante della mia specie,
indossate le ciantelle e calzata
la veste da camera, saprò cercarti
fra i miei righi seguendo le bricie.
Giorni addietro mi fece visita Rovaio,
che dopo essersi preso premura
di scarmigliarmi la foggia di barba con
le vesti trite per aver i servigi dell’agoraio,
mi instillò l’idea peregrina ma spontanea
di andar ramingo, sospeso ad uno dei mie
aquiloni, tra quei pochi anelati fotogrammi.
Pellegrinaggio il mio nella tua istantanea.
…in viaggio…
Ninfa mi apparve in sogno.
Fanciulla d’animo, ma virago
in cuor suo e nell’aspetto.
Di spalle a nivea statua.
Un tascapane eburneo
sulla pelle scura del tiglioso,
coriaceo suo corsaletto.
E sullo sfondo di una
mulattiera, tra i bellissimi
capelli scuri lungo il viso fiero
un atro cerchietto.
Disse di non scordare
agoraio e scarsella,
e mi chiamò Aquilone.
Il sogno mi lasciò dell’agretto.
Non comprendo, non sono altro
che un artiere degli aquiloni e un
rimatore, nella foggia e nel petto.
Sogno in bisaccia…
Quel sogno di cui narrai
non si ripresentò.
E un po’ me ne dolgo.
Il quattordicesimo giorno
di aprile tuttavia,
da un ritratto colgo
lei come marza, con la
delicatezza
che si deve a un nesto
con l’auspicio che attecchisca.
Di spalle a un contesto niveo.
Una borsa eburnea su di un giacchetto
scuro: Yhwh, non c’è essere nel creato
che da quello sguardo non s’arricchisca.
E sullo sfondo
del monte Oreb
con la crina galatea,
tra i bellissimi capelli scuri
occhi dai riflessi acri.
Su di una lunga e fiera scalea.
Se alzo lo sguardo, appena fuori
dall’immagine fotosensibile
posso vedere un aquilone.
In quel suo sguardo sensibile
posso però anche vedere i cercini delle
cicatrici che hanno generato un pollone.
…in uno scatto
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