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L' INCONTRO

L’INCONTRO



Reminiscenze, ricordi. Alcuni rimangono impressi più di altri, conservandone minuziosamente i dettagli nei cassetti della memoria e a volte sono esperienze così forti da provocare un cambiamento interiore o di modificare l’esistenza, il proprio modo di pensare, di concepire la vita. Della mia esistenza di bambina, mi tornano indietro, impresse come fossero scolpite nella mente, immagini di vacanze estive trascorse nella casa di montagna. Amavo quei luoghi e ogni anno non vedevo l’ora di arrampicarmi sugli alberi, in particolare sugli ulivi, più agevoli da scalare. Nella mia fantasia di bambina essi si trasformavano in castelli, in fortini di guerra o altro ancora. La fantasia sembrava galoppare ritrovando una libertà che poteva spaziare magnificamente giocando a contatto con la natura e poi giungeva la sera e ci riunivamo sul terrazzo ad ammirare il cielo. Ma in una calda sera di agosto avviene un fatto sconvolgente: ecco comparire quasi dal nulla un oggetto non identificato, una navicella spaziale, un incontro ravvicinato e misterioso che tuttavia sconvolse tutti noi.



Mi aggrappavo ai rami rugosi come se fossero le braccia di una nonna anziana. Mi arrampicavo sugli ulivi con l’agilità dei miei piccoli anni, nei giorni caldi dell’ estate, in quel fazzoletto di campagna siciliana adagiata sul monte. Era un luogo fantastico, quasi incantato, di appartenenza ancestrale, in cui la foresta faceva da padrona e la nostra piccola casa, chiusa durante i mesi invernali, si animava improvvisamente con il nostro arrivo. Appena arrivati si sentiva giungere il profumo delle grandi querce, degli ulivi, dei pini, degli abeti che la circondavano e con la loro grande ombra offrivano quella frescura piacevole che ci difendeva dal caldo afoso tipico delle nostre zone. In quegli anni, ormai lontani, che adesso guardo con nostalgia, vivevo immersa nella fantasia, intenta a produrre disegni che finivo per riempire in numerosi album e mi immedesimavo nelle storie che fabbricavo con la mente, mentre scalavo gli ulivi. Ora il povero ulivo diveniva un castello in cui venivo tenuta prigioniera da gente cattiva o da un drago comparso da chissà dove, ora diveniva un fortino di guerra, in cui con i miei cugini con cui giocavo, combattevo per la libertà da strani invasori. Con i miei semplici sandalini, pantaloncini corti e con i capelli lunghi legati in treccine, poggiavo i piedi nelle nodosità naturali che sporgevano dall’albero, mi aggrappavo ai rami, come fossero braccia sicure e poi sceglievo il posto che verosimilmente poteva ricordare un sedile su cui poggiarmi e rimanervi come se fosse una abitazione. Il tempo assumeva una dimensione diversa, che mi apparteneva, lontano dai libri di scuola e dagli altri impegni. Ogni tanto giungeva il vento che partiva dall’Africa: caldo, in nuvole di sabbia rossiccia e nel suo viaggio si infiltrava ovunque sibilando, asciugando foglie e i piccoli germogli che tentavano di venir fuori, togliendo il respiro, diffondendo una cappa insopportabile persino lì, in quel monte che si stagliava in altezza distinguendosi nel panorama ondulato delle colline ricoperte di grano o rovi selvaggi dove la terra veniva abbandonata o rimaneva incolta. A volte gruppi di nuvole si raccoglievano e coprivano la cima del monte e non era raro sentire il brontolare dei tuoni cui seguiva implacabile qualche piovasco. Dopo la pioggia l’odore della terra bagnata si diffondeva nell’aria ripulita e fresca. Non esisteva la noia, vivevo in uno stato di spensieratezza assoluta, in una dimensione lontana dalla realtà che mi costruivo fantasticando mille favole diverse, giorno dopo giorno e quei mesi estivi li vivevo in una sequenza incantevole. Quel vivere la natura in quel luogo incantato coinvolgeva un po tutti in famiglia, specie la sera. Come dimenticare le serate e anche le notti, quando il sole scivolava via dietro il monte e le ombre invadevano gli spazi, si accendevano le prime luci delle case e si apriva ai nostri occhi il sipario dello spettacolo più bello del mondo: il cielo illuminato da miliardi di stelle, galassie, costellazioni e altri corpi celesti in tutta la sua meraviglia. Era una sensazione stupenda che ci portava a contemplare astri e pianeti, con una luna dominante che rubava la scena nel suo transito quotidiano e si mostrava sempre più grande, sino a diventare piena, per poi lentamente a ritroso, nel processo inverso, iniziava ad assottigliarsi per divenire un solo spicchio luminoso.
Non poteva mancare la ricerca della nostra galassia, la via Lattea, con il suo strascico nebuloso che irrompeva nel cielo buio, oppure la ricerca sistematica dell’Orsa Maggiore e della Stella Polare. Ma non eravamo soli. Ecco elevarsi il concerto delle cicale, il tubare dei colombi, il verso dell’assiolo che si ripeteva monotono, mentre occhi brillanti di rapaci notturni potevano intravedersi tra le ombre dei rami degli alberi mentre l’aria si colmava delle fragranze delle piante e dei fiori. Mille erano gli interrogativi che amavamo argomentare, tante le spiegazioni e i misteri da studiare. Un fermento mentale inarrestabile ci coinvolgeva e ci incuriosiva ed estremamente affascinati cercavamo spiegazioni quanto scienziati e studiosi analizzavano attraverso il loro lavoro e il loro impegno quotidiano. Consapevoli a priori dei nostri limiti, desideravamo impadronirci di verità e di scoperte che ancora faticavano ad essere definite. Lo sbarco sulla luna non era ancora avvenuto e gli studi astronomici ancora faticavano a trovare collocazione nel marasma di incredulità, diffidenza, pregiudizi, povertà di finanziamenti e politiche poco efficaci.
Eppure sarebbe avvenuto proprio lì, nel luogo delle nostre radici e della memoria familiare, durante quelle vacanze, in una di quelle calde serate estive, ormai lontane, un incontro che ci avrebbe in qualche modo segnato e avrebbe modificato anche il pensiero e il modo di guardare l’universo.
Una di quelle sere speciali. Seduti sulle sdraio nel terrazzo, quando sopra di noi si stendeva l’universo infinito, si chiacchierava del più e del meno e io, più piccola rispetto agli altri componenti e poco chiacchierona, stavo in ammirazione sperando di cogliere la rapida striscia luminosa di una stella cadente per poter esprimere un desiderio, ma ecco che quella sera d’improvviso succedeva qualcosa di strano: la luna stava forse per cadere? Un disco luminoso simile ad una grande luna piena , sembrava stesse cadendo sopra le nostre teste e tale disco diveniva minuto dopo minuto sempre più grande. Sbigottiti da quella visione, ritti in piedi, guardavamo quell’oggetto che sembrava essersi materializzato dal nulla. Il color argenteo del disco era circoscritto da un alone luminoso che l’avvolgeva, mentre nella parte sottostante, nella pancia, alcune luci, simili alle macchinine delle giostre dei luna park, scintillavano brillando in sequenza alternata in colori vivaci e brillanti.
Cos’era quel disco che avevamo davanti dunque? Si trattava dunque di un ufo ? Colpiva la rapidità con cui l’oggetto si muoveva nello spazio, si ingrandiva al punto da vederlo quasi addosso e subito dopo si rimpiccioliva fino a diventare un puntino.
Sembrava di assistere ad uno spettacolo messo in scena solo per noi, colpiva l’improvviso silenzio e la grandezza di quella visione che irrompeva nel cielo della campagna di quell’angolo di Sicilia , sgomentandoci con il suo mistero .
- Cosa sarà mai?- commentavamo
- Dovremmo avvertire i carabinieri - esclamavamo quasi in coro con le voci concitate
- Ci uccideranno! - Si esclamava in preda allo spavento
- Nessuno ci crederà mai! - e questo era proprio vero. Ancora oggi, dopo migliaia di avvistamenti e nuovi studi, gli sguardi sono sempre colmi di diffidenza e le frasi sono del tipo: - chissà cosa avete visto! - oppure: - Avete immaginato chissà che! -
Insomma le pensavamo tutte, ma nessuna sembrava quella giusta da fare o da ipotizzare
Impauriti ci stringevamo tra noi, balbettando frasi tipo:- Ma cos’è? andiamo via, scappiamo! -
Ma tutto sembrava rimanere immobile, compresi noi, rigidi e atterriti, come se un mago invisibile con la sua bacchetta avesse cristallizzato tutto con la sua magia. Poi entrammo in casa, spegnendo ogni luce e nascosti spiavamo dalle finestre. Anche il disco , finalmente si fermò stazionando sopra il terrazzo. Vi erano alieni? Mi piaceva pensare che poteva trattarsi di un ufo con il suo piccolo alieno smarrito nella galassia e con la sua figuretta goffa sarebbe sceso di lì a breve da una scaletta comparsa all’improvviso dalla navicella spaziale, oppure con sgomento si pensava che potesse essere un ufo pieno di alieni malvagi pronti ad attaccare la terra.
Pensavamo di sognare, ma l’immagine di quel disco argenteo non era certo una visione, era lì per davvero.
Quanto tempo trascorse? Un attimo, oppure delle ore? Chi poteva dirlo ? Nessuno di noi riusciva a parlare talmente l’emozione e la paura si erano impossessate di noi.
Poi lentamente la luce bianca che l’avvolgeva si scompose in tanti cerchi colorati che iniziarono a roteare tutti insieme. Improvvisamente chi governava la navicella sembrò che avesse rinunciato, oppure che avesse obbedito ad un ordine differente, così velocemente si allontanò da noi divenendo rapidamente un puntino per poi sparire nel buio della notte.
Tutti noi rimanemmo così.. similmente agli uomini primitivi che scambiavano il sole per un dio, spaventati ed elettrizzati da tutto quello a cui avevamo assistito. Uscimmo dalla casa con la consapevolezza di aver vissuto una esperienza pazzesca e che in qualche modo ci aveva cambiato.
Quella esperienza aveva avuto anche su di me un effetto sconvolgente e sentivo, malgrado l’età, la mia mente aprirsi a orizzonti molteplici e a guardare il mondo con occhi diversi, mentre la nostra terra diventava improvvisamente un puntino immerso in uno spazio infinito di cui facciamo parte e in cui tutto è ancora da scoprire e studiare.
L’ osservazione dell’universo, uno spazio dai confini sconosciuti, denso di misteri e di interrogativi già praticato nelle antiche e e grandi civiltà del Mediterraneo, portava inevitabilmente ad accostarne lo studio ai quesiti sulla vita e sulla morte, sulla stessa origine umana e sulla possibile vita su altri pianeti.
I giorni continuarono a transitare nel loro percorso previsto e nella loro routine quotidiana, ma il senso della grandezza, la meravigliosa visione dello spazio siderale infinito, rimasero impressi in noi per sempre, stratificandosi, nei siti nascosti della nostra memoria più profonda. Indelebile come un bene di valore che ancora oggi conservo in uno scrigno prezioso, il ricordo di quei giorni d’estate, di quelle emozioni irripetibili e in particolare di quell’ incontro ravvicinato con un oggetto non identificato, venuto da chissà quale pianeta e da chissà quanti anni luce per giungere nel suo viaggio affascinante nel nostro piccolo mondo.




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Racconto scritto il 05/08/2020 - 15:31
Da Patrizia Lo Bue
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