UN SEGRETO
Le istruzioni sono:
Un segreto mai rivelato lega alcuni personaggi tra loro. Scrivete un racconto incentrato su un mistero che dovrà essere svelato solo nel finale.
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Spesso mi domando se sia appena più bello vivere in un sogno e familiarizzare poco con la realtà, al posto d'illudersi deliberatamente del fatto che la verità velata elegantemente dall'incanto d'ogni alba possa realmente concernere l'immensità della fantasia. Sono consueta domandarmelo in clima tranquillo, lietamente sereno. Il momento ottimale per pensare è quello; il resto è un di più dalle vesti masochiste. La Beshaba non sarebbe certamente triste d'incastraci in un guazzabuglio dalle uscite sbarrate, ogni qualvolta s'annoiasse. Farebbe un po' le cose a casaccio: fan tutti così, d'altro canto.
Chi di sé non ha due lati? Barricati dalle esitazioni, tuttavia un'antinomia vivente.
Da una parte c'è quel fatale senso d'aspirazione a gioia e libertà: una fantomatica voglia di fare ed essere tale da destarci ad un soliloquio di pura fantasia, ad una spirale che drizza nientemeno che all'imprevedibile. Si loda qualsiasi cosa, ci si lascia affatturare dall'indigenza d'un fulgido sole convinti del fatto che quelle tenue folate di vento in coesistenza col calore emanato da quella palla cocente ci scompiglieranno i capelli e del nostro viso ne faranno un volto sbarazzino; lieto d'essere indignato, ma privo di peccato; senza colpa, ma mestamente vittima.
Dall'altra c'è un non so che di truce e buio. Un qualcosa d'oscuro marcato dalla malinconica d'un gesto, dall'inquietudine che questa gabbia di matti c'induce a provare. Un fosco giardino d'abeti bianchi che con sé porta quel ch'è il risultato d'un mondo da un'avversione straordinariamente schifosa.
Costernante il fatto che a volte s'arrivi a riflettere su quanto non ne valga affatto la pena. D'esistere, intendo. Proprio così. Tutto meccanico, tutto già meticolosamente programmato da menti malsane, tizi che hanno fatto i conti con la vita prima di noi. Ci si rivede in gesta così dannatamente analoghe, affini a quello che qualcuno al di fuori del nostro intrinseco ha ideato affinché tutto quello che fosse diverso risultasse atipico e vestisse un abbigliamento torvo, bieco agli occhi d'ignoti e di essi stessi. Che poi l'ostilità la subisse proprio colui che non sposa l'attinenza del resto, è un altro conto. Del resto della gente, intendo. E se pensiate stia proprio cercando di dire che sono gli animi più affabili ed ingenui, seppur tinteggiati d'un bianco la quale purezza è tanto simile a quella d'un viburno, a patire le sanzioni dell'inferno, touché. Avete ragione. Avvilente storia per realisti.
Sarà proprio per via delle condanne che ci tocca soffrire benché arpeggi dal delicato risuonare che, di rado, nel reiterarci a casa, giornata stupefacente o di consueta uggia che sia, nell'esatto momento in cui il resoconto delle ore passate si dilaga nella nostra mente, non facciamo che scorgere il tutto come un triste e malinconico evento d'una vita di stenti, attimi rubati al nostro tempo che scorrono senza via d'uscita e in continuo avanzo verso un'infelice agonia di puro realismo.
Si vive in un clima di empietà, sadica perfidia. Ne sono spossata. Si finisce per sprofondare se a pari passo non si va con essa, se della meschinità non si fa possesso legandone lo stame e fruttando tale cattiveria in nostro distico. C'è poco da rivelare, in tutto questo.
Vaniloquio a parte, sogno così tanto d'essere un po' più me senza la premura d'anticipare i resoconti.
Recte faciendo neminem timeas, alias "fai il bene e non temere nulla."
Ci ho rinunciato. Con la gente, intendo. La mia svista è stata quella d'aver temuto?
Dal resto mi ci voglio destituire. Il primo passo per individuarsi nel tumulto è conoscere come salvarsi, riscontrare quello con cui si ha a che fare e fare di ciò quello che si vorrebbe diventare, disfando il già fatto e la gente che si è già stati ed inerpicandosi quanto più su. I casi persi non esistono: se tali fossimo, non saremmo che morti; non affievoliti, radicalmente spenti. Non è il caso: la scintilla ch'è dentro di noi, timida, brulica di vita; non aspetta che annebbiare il fosco e scagliare faville. Essere disorientati non ci riconduce alla solitudine di qualcuno perduto per sempre. Qualunque la strada che abbiamo imboccato sia, per quanto l'umanità possa scombussolarci lo stomaco ed inondarci il buon senso in un clima di pura repulsione, andare contro il sistema non farebbe di noi che grandi alpinisti. Animo privo di futuro non esiste, seppure dimesso totalmente. Diversificati: abbandona il resto, non mollare te stesso.
Chi di sé non ha due lati? Barricati dalle esitazioni, tuttavia un'antinomia vivente.
Da una parte c'è quel fatale senso d'aspirazione a gioia e libertà: una fantomatica voglia di fare ed essere tale da destarci ad un soliloquio di pura fantasia, ad una spirale che drizza nientemeno che all'imprevedibile. Si loda qualsiasi cosa, ci si lascia affatturare dall'indigenza d'un fulgido sole convinti del fatto che quelle tenue folate di vento in coesistenza col calore emanato da quella palla cocente ci scompiglieranno i capelli e del nostro viso ne faranno un volto sbarazzino; lieto d'essere indignato, ma privo di peccato; senza colpa, ma mestamente vittima.
Dall'altra c'è un non so che di truce e buio. Un qualcosa d'oscuro marcato dalla malinconica d'un gesto, dall'inquietudine che questa gabbia di matti c'induce a provare. Un fosco giardino d'abeti bianchi che con sé porta quel ch'è il risultato d'un mondo da un'avversione straordinariamente schifosa.
Costernante il fatto che a volte s'arrivi a riflettere su quanto non ne valga affatto la pena. D'esistere, intendo. Proprio così. Tutto meccanico, tutto già meticolosamente programmato da menti malsane, tizi che hanno fatto i conti con la vita prima di noi. Ci si rivede in gesta così dannatamente analoghe, affini a quello che qualcuno al di fuori del nostro intrinseco ha ideato affinché tutto quello che fosse diverso risultasse atipico e vestisse un abbigliamento torvo, bieco agli occhi d'ignoti e di essi stessi. Che poi l'ostilità la subisse proprio colui che non sposa l'attinenza del resto, è un altro conto. Del resto della gente, intendo. E se pensiate stia proprio cercando di dire che sono gli animi più affabili ed ingenui, seppur tinteggiati d'un bianco la quale purezza è tanto simile a quella d'un viburno, a patire le sanzioni dell'inferno, touché. Avete ragione. Avvilente storia per realisti.
Sarà proprio per via delle condanne che ci tocca soffrire benché arpeggi dal delicato risuonare che, di rado, nel reiterarci a casa, giornata stupefacente o di consueta uggia che sia, nell'esatto momento in cui il resoconto delle ore passate si dilaga nella nostra mente, non facciamo che scorgere il tutto come un triste e malinconico evento d'una vita di stenti, attimi rubati al nostro tempo che scorrono senza via d'uscita e in continuo avanzo verso un'infelice agonia di puro realismo.
Si vive in un clima di empietà, sadica perfidia. Ne sono spossata. Si finisce per sprofondare se a pari passo non si va con essa, se della meschinità non si fa possesso legandone lo stame e fruttando tale cattiveria in nostro distico. C'è poco da rivelare, in tutto questo.
Vaniloquio a parte, sogno così tanto d'essere un po' più me senza la premura d'anticipare i resoconti.
Recte faciendo neminem timeas, alias "fai il bene e non temere nulla."
Ci ho rinunciato. Con la gente, intendo. La mia svista è stata quella d'aver temuto?
Dal resto mi ci voglio destituire. Il primo passo per individuarsi nel tumulto è conoscere come salvarsi, riscontrare quello con cui si ha a che fare e fare di ciò quello che si vorrebbe diventare, disfando il già fatto e la gente che si è già stati ed inerpicandosi quanto più su. I casi persi non esistono: se tali fossimo, non saremmo che morti; non affievoliti, radicalmente spenti. Non è il caso: la scintilla ch'è dentro di noi, timida, brulica di vita; non aspetta che annebbiare il fosco e scagliare faville. Essere disorientati non ci riconduce alla solitudine di qualcuno perduto per sempre. Qualunque la strada che abbiamo imboccato sia, per quanto l'umanità possa scombussolarci lo stomaco ed inondarci il buon senso in un clima di pura repulsione, andare contro il sistema non farebbe di noi che grandi alpinisti. Animo privo di futuro non esiste, seppure dimesso totalmente. Diversificati: abbandona il resto, non mollare te stesso.
Scrittura creativa scritta il 08/09/2016 - 23:54
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