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La mia memoria

La mia memoria


“Mo’ ene Natale nun tengo denare”
Carosone docet in tempi moderni.
Oggi mi risveglio e il calendario
segna 23 dicembre 1967. Ultimo giorno di scuola
prima delle agognate vacanze di Natale.
Una nuova faccia della stessa medaglia
la miseria…. ma chi l’avrebbe detto che oggi
saremmo tornati a rivivere fine anni sessanta
meravigliosi anni sessanta.
Pregni di pulsioni, emozioni, semplicità e onestà
Parole sconosciute oggi ai più.
E gli odori , i sapori che bei ricordi.
Avevo 12 anni .
Le nevicate erano copiose,
la neve raccolta la potevi mangiare.
Alle sette di mattina il graffiare delle pale sui marciapiedi
e le scale. Un esercito di persone pronte
a liberare l’accaduto della notte. Una coltre bianca.
Dalle tute di lavoro usciva il collo alto di una maglia di lana
a coste, ed il fiatone si sollevava a mo’ di scie spesse
quasi solide.
Si passava attraversando con umiltà e rispetto
quei viottoli creati ad arte e si correva per andare a scuola
a piedi .
Da lontano il sopraggiungere degli autobus
preannunciato dal cingolar delle catene da neve,
un rumore che ti accompagnava per giorni.
All’imbrunire una nebbiolina di goccioline sospese
nell’aria che ovattavano l’atmosfera colorata del giallo
rossastro di quei lampioni che sembrava appiattire tutto verso il basso.
Sensazione di freddo ma di tanto tanto caldo al cuore
a pensarci bene.
Le caldarroste nel “cuoppo” liberavano un odore unico
preannunciando il Natale.
La gente frettolosa e disponibile riversata per le strade,
i mercati coperti stracolmi di file per acquistare il pesce,
già…. una delle poche occasioni dell’anno.
L’anguilla, il capitone.
Quelle strane creature!
Per noi bimbi un gioco vederle sfuggire dalle mani
delle nostre mamme e correre su quei pavimenti di graniglia.
Il setaccio in cucina pieno di farina .
L’odore delle frittelle casomai con un po’ di
acciughine o baccalà .
Che odori e che sapori. Era tutto così diverso.
Noi ragazzini, la sera, furtivamente con i pochi
spiccioli in tasca, si correva da “Mininno”. Un omone
anche poco rassicurante che con 20 lire, dopo
essere entrato in una stanza nel retrobottega di un “frutta e verdura” ,
ritornava con in mano una “bottammuro”
Una specie di pacchettino avvolto da spago al cui interno
polvere da sparo e pietroline la cui reazione all’urto con violenza
contro il muro provocava un rumore impressionante.
Erano proibiti ma niente rispetto ad oggi.
E vogliamo mettere l’odore dello zucchero cotto e messo
a raffreddare sul marmo dei davanzali delle nostre finestre
rigorosamente con gli scuri. Eh che ricordi.
La memoria è come il cuore. Man mano che passano gli anni
si intenerisce si addolcisce e cambia i suoi tempi
offrendo immagini meravigliose che non più ritorneranno
se non nella tua lenta metabolizzazione della vita
offrendo, come in questo momento, parole odorose e saporite
condite dal sorriso sul viso di chi ti legge o ti ascolta
e si sente proiettato nel passato mai così
tanto presente come oggi nella speranza che anche
il futuro possa somigliargli.
Speriamo venga ieri.


Secondo atto


Dove eravamo rimasti?
Ah si a “speriamo che venga ieri”.
Sembra una liturgia della memoria
quasi a risvegliare antichi sapori,odori usi ormai persi.
Le mattine estive erano contrassegnate
intorno alle dieci dall’arrivo
di un carretto misterioso color celeste.
La fantasia.
Pensate che su un vecchio rimorchietto
era stato ricavato un cassone e la cui
chiusura era simulata da una vecchia
finestra ad ante.
Tutti correvamo a salutare ‘Zi Pup’.
L’uomo delle leccornie.
E già . Dalla vetrinetta di quel carrozzino
si intravedevano cose stupende.
Con una lira si poteva comprare una “giuggiola”
una sorta di caramella a forma di brufolo ricoperta di zucchero
ai gusti di frutta. Con una lira in più il “giuggiolone” un po’ più grande.
Che meraviglia sciogliere quello zucchero in bocca e poi rimanere
con quella specie di caramella che si attorcigliava ai denti
rigorosamente cariati.
Cinque lire un laccio di liquirizia ma udite udite
con dieci lire i “lupetti”. Formaggini di cioccolata con
granella di nocciole. Pensate che con altre dieci lire il panino all’olio
ospitava quella bontà.
Colazioni semplici ma che meraviglia.
E vogliamo mettere la Nutella nelle vaschette con paletta da 35 lire.
La striscia era più conveniente. Si tre vaschette cento lire.
Ma era già spesa quella.
Gelati, ghiaccioli come l’arcobaleno, il tigre al gusto di coca cola
il camillino il pinguino.
Il bar sotto casa dove per noi tredicenni c’era il proibito.
Un flipper dove i grandi si alternavano per stabilire
un record di punti da mantenere fino al sabato.
Giorno quello in cui si riscuoteva il premio.
Un pacco pieno di caramelle cioccolate e biscotti vari.
Qualche volte potevamo giocare anche noi piccoli.
Che emozione quando si totalizzava un record.
Era un lavoro quello. E si infatti
se si pensa che stabilendolo il lunedì poi per tutta
la settimana eri costretto a vigilare e controllare perché non venisse superato
ed allora ci si specializzava in riti malauguranti oggi “gufate”.
Alla parola “canale” si pregava perché la pallina finisse in buca ed il
concorrente perdesse. Parola proibita pena minacce e torture fisiche.
I grandi prendevano in giro i piccoli.
Erano gli anni del “tozzabancone”. Una parola inesistente e pericolosa.
Un grande invitava il bambino sprovveduto a recarsi in questo o quell’esercizio
e dandogli una monetina gli diceva di chiedere cento lire di tozzabancone.
L’esercente chiaramente si prestava al gioco e prendendo il ragazzino per il collo
provvedeva a” tozzargli” la testa contro il bancone tante volte quanto erano le lire
da lui richieste.
Bastava poco per divertirsi. Anche le partite di calcio si facevano
addirittura in mezzo alla strada carrabile. Le macchine erano poche
e le vedette erano tante per cui si poteva giocare tranquillamente.
Il gioco del lupo comunemente chiamato nascondino ci teneva impegnati
sino a tarda sera. “Uno monta la luna”. La cavallina con schemi sempre più elaborati.
“Sottammur”. Si tirava una monetina il più possibile vicino ad un muro e vinceva tutte
le altre monetine chi chiaramente si avvicinava di più.
“U plosch”. Percorsi disegnati ad arte sui marciapiedi dove far
scivolare le “tortorelle”, tappi metallici delle bottiglie riempiti con lo stucco
rubato dai vetri delle nostre povere finestre.
O le palline colorate sostituivano le tortorelle quando il percorso era ideato
sulla sabbia o nella terra fresca. Le carrozze, mitici assi di legno
con cuscinetti a sfera al posto delle ruote, riempivano i pomeriggi e anche le
discese ardite, spesso infilandosi sotto qualche automezzo in sosta.
Non eravamo stupidi.
Avevamo le “scocche rosse”, guance rosse
ad indicare il tempo passato per strada con ogni temperatura senza mai
cagionarci tanto.
Una gioventù da strada e non maledettamente rinchiusa in casa come oggi
lontana dai pedofili, dalle macchine, dalle diavolerie delle persone e dei tempi.
Che peccato!
La merenda era povera. Pane e pomodoro . Pane e olio. Pane e zucchero qualche
volta con un po’ di burro. O pane e nutella di cui sopra.
Gioventù di smilzi poi destinata ad assumere con il passare degli anni
quello che io giudico il fisico a forma di bottiglia.
Le lotte studentesche . Le occupazioni passive delle scuole.
I decreti delagati i primi scioperi. Le stanzette.
Ah le stanzette. Niente di più malsano al mondo.Indipendenza ed esperienze del
primo tipo. Capelli lunghi e pulitissimi.
Ricordo lo shampoo “Libera e Bella” confezione in bottiglietta bianca da trenta lire.
I duffle specie di montgomery verdi con la pelliccia bianca e cappuccio
Li indossavamo tutti .
Stava già nascendo un’era commerciale che avrebbe portato via quei sapori
quegli odori quelle sensazione per dare posto a quell’oggi insapore
inodore e privo di vere emozioni.
Non più ragazzi per i ragazzi ma interfaccie elettroniche
le valvole dei televisori diventano schede
il bianco e nero fortunatamente colori.
Il flipper va in pensione conservando comunque ancora oggi
un fascino di lusso.
Il jubox che tanti riusciva a tenere insieme
sostituito dall’i-pad- poi i-phone…… i-mbecille
per restare soli sempre più soli.
Se proprio ieri non può venire almeno
non dimentichiamo la nostra memoria.



Luciano Capaldo 02 Febbraio ‘15




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Racconto scritto il 02/02/2015 - 20:10
Da luciano rosario capaldo
Letta n.1627 volte.
Voto:
su 5 votanti


Commenti


Grazie per la generosità dei commenti. Molto gentili e invoglianti. Si Focus è vero il racconto è nato come poesia ma francamente 10000 caratteri buttati giù tutto di in impeto davano più il sapore di una poesia narrata.ancora grazie.

luciano rosario capaldo 03/02/2015 - 09:37

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Dolci ricordi impressi, nostalgia dei vecchi profumi e sapori,complimenti

genoveffa 2 frau 03/02/2015 - 08:29

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Bravissimo...me lo sono goduto questo racconto, anche se mi lascia perplesso l'impaginazione a mo' di poesia che permette, in certi passi, di sorvolare sulla punteggiatura. Ma forse anche questa novità è degna di nota...piaciuto tanto un passo poetico, a mio avviso:
"La memoria è come il cuore. Man mano che passano gli anni
si intenerisce si addolcisce e cambia i suoi tempi
offrendo immagini meravigliose"
Molto bella anche la chiusa, di gran significato. Eccellente davvero.

. Focus 03/02/2015 - 07:45

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