Notte fonda. Mi sveglio, d’improvviso, nel mio letto. Il leggero lenzuolo che ricopre il mio corpo, sembra pesante come fosse di piombo. Me ne libero.
Ancora gonfio e denso di sonno, mi metto a sedere sul bordo del letto. Dove sono le ciabatte? Eccole. Me le infilo.
Mi alzo finalmente in piedi e, con passo felpato, arrivo sulla soglia della mia camera.
Ne sono sicuro.
C’è qualcuno.
Tendo le orecchie e resto immobile. Devo sembrare un gatto randagio che, accortosi della presenza di un uomo, resta fermo ad osservarne i movimenti, valutandone la minaccia. Non sento nessun rumore, se non quello del silenzio.
Sempre con passo felpato, mi avvio lungo il corridoio, superando, senza remore, il bagno. Anche ci fosse veramente qualcuno, non si nasconderebbe certo nel bagno, no?
Approdo, finalmente, nella sala da pranzo. Nel buio, lampadari, comodini, librerie e mobili, sembrano stalattiti, stalagmiti e protuberanze di roccia. Nel buio, le case sembrano caverne.
Altra pausa d’ascolto. Il gatto randagio che è in me prende di nuovo il sopravvento.
Niente. Solo il mio respiro placa la spasmodica sete di rumore che le mie orecchie hanno.
Ma c’è qualcuno, lo so. Lo sento.
Il tavolo, avvolto dalle ombre, sembra russare dolcemente. Riposa anche lui, attendendo che la sveglia delle 7:00 suoni. Allora, come me, si desterà, pronto ad affrontare un’altra giornata di assoluta immobilità. Come si confà ad ogni tavolo che si rispetti.
Mi avvio, senza troppa convinzione, verso la cucina. Come per il bagno, se ci fosse qualcuno, non si nasconderebbe in cucina, no di certo.
Però ecco, sento dei passi. Ne sono sicuro. Io mi sono forse distratto un attimo, ma le mie orecchie no. Sono rimaste attente, come due inflessibili sentinelle.
Quando finalmente mi giunge il loro allarme, sono davanti ai fornelli. Mi blocco. Ascolto. Ascolto. Ascolto.
Niente.
Ma c’erano dei passi. Dei passi che si avvicinavano.
Davanti ai fornelli, fissandoli al buio, ho finalmente un lampo di genio. Devo pulire i fornelli. Ma non è questo il lampo di genio, no: se c’è qualcuno, è sicuramente nel salone. E’ fatta. Ti ho scovato!
Mi avvio, senza preoccuparmi troppo, questa volta, di indulgere nel mio rassicurante passo felpato, verso il salone.
I passi si fanno più intensi. Si è accorto di essere stato trovato. Si sente braccato. E’ nel panico. Sento l’odore della sua paura, il suo respiro affannoso che diventa rantolo, i suoi occhi grandi, sbarrati, che fissano le ombre, aspettando un movimento. Ora sono io il cacciatore e lui, la preda. Che sensazione violenta e galvanizzante. Mentre la mia mano si muove lentamente verso l’interruttore, ho un sorriso selvaggio sul volto.
Luce.
I miei occhi, abituati al confortevole buio, protestano seccati, mentre i 100 watt di incandescenza della lampadina li pugnalano.
Sbatto convulsamente le palpebre una volta. Poi due. Poi tre.
Il salone si mostra a me senza pudore. Vuoto.
Eppure, ne ero sicuro. Il mostro deve essere strisciato via prima che potessi inchiodarlo. Sa come nascondersi. E’ furbo. E’ subdolo.
Spengo la luce. Gli occhi ringraziano.
Mentre ripercorro i miei passi, puntando verso la mia camera, so che anche lui, silenzioso e con passo felpato, mi segue.
Mi infilo sotto le coperte e lo attendo.
Aspetto un rumore, un passo, un sospiro. Non mi coglierà impreparato, sono furbo.
Aspetto un’ora e poi due. Il silenzio è snervante, l’attesa pure.
Sperduto sotto le coperte, sento il sonno che mi soffia dolcemente sul viso. Gli occhi si fanno pesanti e le orecchie ovattate. Scivolo fra le rassicuranti braccia di Morfeo.
Mentre sono lì, sospeso fra il sogno e la realtà, etereo, ma ancora non addormentato, penso di nuovo a lui. Il mostro. So che c’è e prima o poi lo troverò, non potrà nascondersi per sempre. Un pensiero rassicurante, però, mi aiuta ad addormentarmi del tutto: dovunque sia, ora sta dormendo.
Ancora gonfio e denso di sonno, mi metto a sedere sul bordo del letto. Dove sono le ciabatte? Eccole. Me le infilo.
Mi alzo finalmente in piedi e, con passo felpato, arrivo sulla soglia della mia camera.
Ne sono sicuro.
C’è qualcuno.
Tendo le orecchie e resto immobile. Devo sembrare un gatto randagio che, accortosi della presenza di un uomo, resta fermo ad osservarne i movimenti, valutandone la minaccia. Non sento nessun rumore, se non quello del silenzio.
Sempre con passo felpato, mi avvio lungo il corridoio, superando, senza remore, il bagno. Anche ci fosse veramente qualcuno, non si nasconderebbe certo nel bagno, no?
Approdo, finalmente, nella sala da pranzo. Nel buio, lampadari, comodini, librerie e mobili, sembrano stalattiti, stalagmiti e protuberanze di roccia. Nel buio, le case sembrano caverne.
Altra pausa d’ascolto. Il gatto randagio che è in me prende di nuovo il sopravvento.
Niente. Solo il mio respiro placa la spasmodica sete di rumore che le mie orecchie hanno.
Ma c’è qualcuno, lo so. Lo sento.
Il tavolo, avvolto dalle ombre, sembra russare dolcemente. Riposa anche lui, attendendo che la sveglia delle 7:00 suoni. Allora, come me, si desterà, pronto ad affrontare un’altra giornata di assoluta immobilità. Come si confà ad ogni tavolo che si rispetti.
Mi avvio, senza troppa convinzione, verso la cucina. Come per il bagno, se ci fosse qualcuno, non si nasconderebbe in cucina, no di certo.
Però ecco, sento dei passi. Ne sono sicuro. Io mi sono forse distratto un attimo, ma le mie orecchie no. Sono rimaste attente, come due inflessibili sentinelle.
Quando finalmente mi giunge il loro allarme, sono davanti ai fornelli. Mi blocco. Ascolto. Ascolto. Ascolto.
Niente.
Ma c’erano dei passi. Dei passi che si avvicinavano.
Davanti ai fornelli, fissandoli al buio, ho finalmente un lampo di genio. Devo pulire i fornelli. Ma non è questo il lampo di genio, no: se c’è qualcuno, è sicuramente nel salone. E’ fatta. Ti ho scovato!
Mi avvio, senza preoccuparmi troppo, questa volta, di indulgere nel mio rassicurante passo felpato, verso il salone.
I passi si fanno più intensi. Si è accorto di essere stato trovato. Si sente braccato. E’ nel panico. Sento l’odore della sua paura, il suo respiro affannoso che diventa rantolo, i suoi occhi grandi, sbarrati, che fissano le ombre, aspettando un movimento. Ora sono io il cacciatore e lui, la preda. Che sensazione violenta e galvanizzante. Mentre la mia mano si muove lentamente verso l’interruttore, ho un sorriso selvaggio sul volto.
Luce.
I miei occhi, abituati al confortevole buio, protestano seccati, mentre i 100 watt di incandescenza della lampadina li pugnalano.
Sbatto convulsamente le palpebre una volta. Poi due. Poi tre.
Il salone si mostra a me senza pudore. Vuoto.
Eppure, ne ero sicuro. Il mostro deve essere strisciato via prima che potessi inchiodarlo. Sa come nascondersi. E’ furbo. E’ subdolo.
Spengo la luce. Gli occhi ringraziano.
Mentre ripercorro i miei passi, puntando verso la mia camera, so che anche lui, silenzioso e con passo felpato, mi segue.
Mi infilo sotto le coperte e lo attendo.
Aspetto un rumore, un passo, un sospiro. Non mi coglierà impreparato, sono furbo.
Aspetto un’ora e poi due. Il silenzio è snervante, l’attesa pure.
Sperduto sotto le coperte, sento il sonno che mi soffia dolcemente sul viso. Gli occhi si fanno pesanti e le orecchie ovattate. Scivolo fra le rassicuranti braccia di Morfeo.
Mentre sono lì, sospeso fra il sogno e la realtà, etereo, ma ancora non addormentato, penso di nuovo a lui. Il mostro. So che c’è e prima o poi lo troverò, non potrà nascondersi per sempre. Un pensiero rassicurante, però, mi aiuta ad addormentarmi del tutto: dovunque sia, ora sta dormendo.
Racconto scritto il 02/09/2015 - 16:42
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Voto: | su 1 votanti |
Commenti
A dire il vero ho cercato di mettere le mie cinque stellette (tale era il mio voto), ma, pur cliccando, la funzione non si attivava.
Giuseppe Novellino 04/09/2015 - 19:02
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Vi ringrazio molto per i commenti. :)
Tommaso Ferranti 04/09/2015 - 12:30
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HOLA TOMMASO FERRANTI il tuo racconto me gusta mucho....pieno di trovate divertenti e una suspense casereccia che mette buon umore. Non capisco perche non ti abbiano dato almeno una stella...io te ne do 5, sono il tuo primo voto per questo racconto BRAVO Adios
Lucio Del Bono 04/09/2015 - 12:19
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Intanto devo dire che è scritto molto bene, con una prosa incisiva, nervosa e nello stesso tempo limpida.
La storia ti prende, perché la narrazione risulta tesa, piena di aspettativa. Il finale non è per nulla deludente, essendo tutto il racconto orientato (lo si capisce a poco a poco)alla paura interiore, di tipo psicologico che, quando prende forma, risulta la più inquietante. Mi è piaciuto.Bravo!
La storia ti prende, perché la narrazione risulta tesa, piena di aspettativa. Il finale non è per nulla deludente, essendo tutto il racconto orientato (lo si capisce a poco a poco)alla paura interiore, di tipo psicologico che, quando prende forma, risulta la più inquietante. Mi è piaciuto.Bravo!
Giuseppe Novellino 04/09/2015 - 11:24
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