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TORMENTO E AMORE

Si aggirava per i corridoi con aria funesta. Ogni parola era poco più articolata di un ruggito rabbioso e ferito. Ai muri di pietra grigi ed imponenti, dalle loro ricche cornici, i volti dei suoi antenati lo guardavano, lo sfidavano a mantenere viva la fiamma della loro fama d'invincibili. Uomini rudi, con un forte senso dell'onore, che avevano saputo farsi strada grazie al coraggio, riuscendo a conquistare terre e rispetto, e avevano costruito quel castello, da sempre retaggio della famiglia, riuscendo a dominare quelle terre selvagge e a fermare l'avanzata della foresta così come quella dei nemici.
Oltre le altre e strette finestre, il sole andava spegnendosi, perdendosi tra le foglie degli alberi e giocando sulla superficie dei laghi, donando all'ambiente un aspetto fiabesco. Ma egli non se ne rendeva conto, non riusciva a preoccuparsi di null'altro che non fosse il suo umore tetro. Era sconvolto nel fisico e nello spirito, i suoi occhi, ridotti a due fessure mandavano gelidi lampi di una collera feroce e spietata. Se uno sguardo avrebbe potuto uccidere, in quel momento si sarebbe tramutato in un vile assassino. Nei rari momenti in cui la sua mente riusciva ad emergere dalla furiosa nebbia che l'avvolgeva, non poteva fare a meno di chiedersi se qualcuno dei suoi illustri antenati si fosse mai sentito come si sentiva lui, arrabbiato ed impotente, divorato da una cieca rabbia e consumato da una smania di agire, ma impossibilitato a fare alcunché, braccato, bloccato come un leone in gabbia. Ne dubitava e soprattutto dubitava che, se mai fosse accaduto qualcosa di simile, fosse a causa di una donna. Oh, ma non una donna qualunque, nessun'altra donna sarebbe riuscita a ridurlo in quello stato, solo sua moglie, la donna che aveva scelto per ubbidire all'esigenza di avere un erede. Si illudeva di aver operato una scelta oculata, ma ora si avvedeva di quanto fosse stata tutt'altro che una scelta saggia e la rimpiangeva, rimpiangeva di aver sposato quella donna minuta, dall'aspetto docile, che in realtà non faceva altro che metterlo in ridicolo, sfidandolo e sfidando le convenienze. Non osava immaginare dove si era cacciata, ma giurò a se stesso che avrebbe rimpianto quell'ennesimo affronto, ma in cuor suo paventava quell'incontro, non sapendo se sarebbe riuscito a mantenere il controllo di sé.


L'aria che si respirava nel castello era gelida, e non solo per gli spifferi. Suo marito doveva essere in collera, a giudicare dallo strano comportamento dei domestici, che passavano velocemente, cercando di passare inosservati e tenendosi lontano dalla galleria dei ritratti, o almeno era la sensazione che aveva avuto entrando. Sensazione che si rafforzava ad ogni gradino che saliva. Le arrivava l'eco dei suoi passi a scatti e dei ruggiti che rivolgeva a qualche malcapitato servitore. Pregò in cuor suo che non la scorgesse, purtroppo se voleva ritirarsi nelle sue stanze non poteva non passare per quei corridoi. Tutto per colpa di quelle stupide voci, lo scotto che una ragazza qualunque doveva pagare per essere riuscita dove altre avevano fallito: sposare il Lord del castello.
Quando lo scorse si sentì mancare, mentre una paura sorda si impossessava della sua anima, lui sembrava...pericoloso. Ripeté la sua muta preghiera, ma in quel momento lui si girò e la vide.


La rabbia gli esplose dentro con la forza di un terremoto. Con due falcate la raggiunse, e l'afferrò per le spalle, torreggiando su di lei. Sentiva un irrefrenabile bisogno di sfogarsi e di ferirla, com'era ferito lui. Aumentò la stretta senza curarsi di arrecarle dolore, anzi quasi ricevendo un sadico piacere dalla paura che dilatava gli occhi di lei. La scrollò con forza, riversandole addosso un fiume di parole amare e cattive. In quel momento non riusciva a ragionare con lucidità, anzi non era in grado di ragionare del tutto, voleva solo spaventarla, annientarla, come quelle voci avevano annientato lui, ridurla alla sua volontà. Accecato dalla rabbia e dalla violenza, strinse ancora conficcando le unghie nelle spalle di lei.
Una lacrima scivolò sul volto di sua moglie.
Fu sufficiente a placare la tempesta che affliggeva il suo animo. Non era un mostro, solo un uomo innamorato oltre ogni logica, che irragionevolmente aveva creduto a delle fandonie, perché, ora lo sapeva, lo sentiva, si trattava solo di bugie. Allentò la presa facendole scivolare le mani lungo le braccia. Poi si lasciò cadere in ginocchio ai suoi piedi chiedendole perdono, mettendo da parte il suo orgoglio, perché non c'era valore più grande che riconoscere i propri torti, ora lo sapeva.
Lei restò rigida per qualche istante, troppo stupita e sconvolta per dire o fare qualcosa. Poi si lasciò cadere a sua volta, innanzi a lui, cingendolo nel caldo abbraccio del perdono.
Cosa aveva fatto per meritarsi una donna così speciale non lo sapeva e forse neanche la meritava per davvero. Ma di sicuro avrebbe passato il resto della vita a proteggerla e a proteggere il loro amore, cercando di renderla felice da quel momento in poi.


Il racconto è frutto della fantasia dell'autrice, ogni riferimento a fatti o cose reali è puramente casuale.




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Racconto scritto il 31/10/2015 - 16:18
Da Marirosa Tomaselli
Letta n.972 volte.
Voto:
su 7 votanti


Commenti


Marirosa che dirti a parte che sei bravissima? Hai descritto in maniera impeccabile il TORMENTO del protagonista è il TIMORE della sua lady. A mio avviso hai unito due generi ovvero lo storico con la fiaba e ne hai tratto una storia credibile, ben scritta senza alcuna traccia di banalità. Un tormento che nel finale sembrerebbe essere spazzato via grazie ad una potente magia: l'amore e la fiducia ritrovata. Marirosa hai una eccellente dimestichezza con il genere racconto. Complimenti.

Giuseppe Scilipoti 15/02/2017 - 23:20

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Interessante è l'impianto narrativo, basato sui due punti di vista che si intrecciano: quello di lui e quello di lei. Cinematograficamente parlando, si direbbe un montaggio alternato.

Giuseppe Novellino 01/11/2015 - 18:19

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