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L'ebbrezza del Rafting

Sempre a caccia di nuove emozioni e di continuare a dare un senso alle innumerevoli sfide di sport estremi; Paolo si avventura nel rafting. Assimilati i primi rudimenti di base e fatte le debite esperienze nelle vicinanze di casa decide di unirsi al gruppo di appassionati di rafting che faceva capo all’esperienza della guida, per una mitica discesa di un tratto dell’impetuoso Rio Apurimac, in Perù. All’aeroporto di Capodichino, il gruppo ha tutta l’aria di una grande spedizione. Oltre ai bagagli personali, portano con loro tutta l’attrezzatura per il rafting stipata in grossi bidoni blu a prova d’acqua. Mute semistagne, sottomute, salvagente, numerose corde, caschi di protezione, calzari in neoprene; insomma tutto ciò che serve alla navigazione, tranne i gommoni.
Il loro primo scalo è Caracas, dove li attende una veloce
coincidenza per Lima. Mentre i lori bagagli stanno già volando a destinazione in Perù, restano in trepidante attesa del prossimo volo che oggi probabilmente non partirà. Dopo molte ore trascorse inutilmente in aeroporto e altrettante scuse da parte dei funzionari responsabili, una navetta della compagnia area li
accompagna all’Hilton di Caracas per trascorrere la notte. Si tratta di un fuori programma che tutto sommato li consente di rilassarli un pò dopo il volo transoceanico, all’interno di una struttura a 4 stelle con tanto di sauna e piscina. Hanno qualche ora di tempo da trascorrere per le vie di Caracas, ma la capitale del Venezuela non ha nulla di particolare da offrire. Moderna e congestionata, con palazzoni che salgono in cielo a fianco di basse costruzioni fatiscenti. Clima caldo umido. In aeroporto invece ci sono ancora problemi
e ancora una volta non riescono ad imbarcarsi tutti insieme. Tutto il gruppo (in totale sono in 12, due equipaggi da 6 persone) si ritroverà a Lima verso mezzanotte, bagagli compresi. Questa volta la sistemazione che li aspetta è più spartana: si
dorme in aeroporto poiché il loro volo per Cuzco partirà
all’alba. Alle ore 4.30 del mattino, quando apre il check-in per il volo scoprono che sono soltanto in lista d’attesa e probabilmente non ci sono posti per tutti sull’aereo. Sono decisamente sfortunati con il piano voli e fin’ora hanno già perso due giorni soltanto per i trasferimenti. Cuzco é situata su un vasto pianoro del versante meridionale della Cordigliera Orientale, 500 km a sud-est di Lima. In lingua quechua significa ombelico e in effetti si stende al centro di in un’ampia vallata circondata dalle montagne. La città fu capitale
dell’impero Inca e ancor oggi si possono ammirare antichi resti e mura che, in seguito sono state utilizzate come basamento per opere coloniali posteriori, come il Coricancha, il più ricco tempio inca, su cui poggia la chiesa di Santo Domingo. Centro e cuore della città è la Plaza de Armas, situata a 3400 metri di altitudine. Qui l’aria rarefatta si fa sentire. I loro polmoni non
sono ancora abituati a queste altitudini e dunque passeggiano con lentezza, muovendosi con calma intorno alla piazza, dove sorgono portici di epoca coloniale. Sul lato nord-est è situata la Cattedrale e sono visibili antichi resti di mura incaiche, in particolare quelli del Palazzo di Pachacutec. Cuzco è una cittadina piacevole, con un’atmosfera decisamente rilassata e tranquilla. Mentre Paolo si occupa di contattare alcune guide locali per la loro discesa in gommone, gli altri ne approfittono per una breve escursione nei dintorni di
Cuzco. Pisac si trova a circa 32 km e per la verità non ha molto da offrire se non alcuni antichi terrazzamenti Inca. Molto bella e suggestiva invece è la fortezza di Sacsayhuamán che si erge sulla collina di Carmenca, dominando da nord la città di Cuzco.
Costruito tra il 1438 e il 1500 circa, questo grandioso complesso presenta un triplice ordine di cinte murarie, lunghe trecento metri, realizzate con enormi massi di pietra e connessi con grande precisione. In effetti tra una roccia e l’altra non riesco ad infilare nemmeno la lama del mio coltellino. Il loro pulmino è carico all’inverosimile. L’attrezzatura e i bagagli lasciano
ben poco spazio libero per sedersi. Verso le ore 10 sono
pronti a partire. La meta è il Rio Apurimac ( “Apu” Dio
“Rimac” che parla ); questo è il nome che gli antichi abitanti delle montagne peruviane dettero a quella che è considerata la sorgente del Rio delle Amazzoni. Il tratto più interessante di questo fiume è quello che si trova ai piedi del grande massiccio andino del Vilcanota al confine tra la regione di Cuzco e quella di Abancay. Qui l’Apurimac sprofonda all’interno di una spaccatura orografica di dimensioni straordinarie. La strada che
devono percorrere è molto lunga e dissestata. Il panorama, man mano che si sale, diventa sempre più incantevole. Questo dislivello spiega la grande varietà di climi di questa regione, da quelli tropicali nelle zone più profonde della valle, a quelli temperati nelle alture, dove pascolano greggi di animali indigeni.
La maggior parte del territorio del dipartimento di Apurímac è situato nella regione Quechua, tra i 2.500 ed i 3.500 metri di altitudine. Dopo parecchie ore di viaggio arrivano finalmente all’imbocco delle gole dell’Apurimac. Dall’alto di un ponte che funge da “imbarcadero” calano con le corde tutta l’attrezzatura
sulle rive del fiume e stipano i contenitori stagni con tutto l’occorrente per 4/5 giorni di discesa. Tende, abiti di ricambio, viveri e quant’altro possa servire. Gonfiano i gommoni e indossano le mute stagne. Riescono a partire solo nel tardo pomeriggio. Anche se sono a quota 3000 metri, fa molto caldo e le mute non agevolano di certo i loro movimenti. Nel primo giorno percorrono un tratto di fiume breve ma molto suggestivo. Si accampano nei pressi di una spiaggetta, in un’ansa del fiume: c’è molto vento, ma non fa freddo. Le loro guide sono anche cuochi eccezionali: stasera preparano un’ottima zuppa, pollo arrosto e risotto. La notte stellata chiude
in bellezza questa lunga giornata di trasferimento; intorno al fuoco, oltre al crepitio delle fiamme ascoltano i suoni del fiume; il Dio che parla racconta alla loro fantasia ciò che li aspetta per l’indomani.Si svegliano all’alba. Oggi li attende le prime, impegnative rapide di 3° e 4° grado. La classificazione
è la seguente: Classe 3 Difficile Percorso visibile, corrente impetuosa, rapide facili ma con onde alte e irregolari, massi, salti, curve e ostacoli diversi in corrente. Classe 4 Molto difficile Passaggi non visibili in anticipo dall’acqua, spesso necessaria ricognizione a piedi, grandi e continue onde, rulli e lunghe rapide. Paolo è nel gommone di testa, da primo. Il “primo” di prua dà il ritmo al gruppo, seguendo le indicazioni della guida che, al capo opposto (poppa) fa da timoniere. Da questa posizione “privilegiata” si vede tutto e si vive il fiume al massimo. Vede i sassi che si parano davanti a loro, le sporgenze di roccia lungo i bordi più stretti del canyon, le grandi onde e i profondi “buchi”
nell’acqua. In certi tratti saltano così in alto che la pagaia per alcuni, interminabili istanti, non tocca più l’acqua ! In alcuni punti del fiume non possono proseguire a causa di rapide troppo violente (6° grado). In questi casi occorre attraccare con i
gommoni, scaricare l’equipaggiamento e portare tutto quanto in spalla lungo le rive sassose, per superare la rapida. Spesso ci sono diverse rapide concatenate e allora devono attraversare lunghi tratti a piedi prima di poter riprendere la navigazione. E’ una fatica estenuante sostenere il fardello dei gommoni che, seppur svuotati, pesano parecchio. Hanno anche al seguito una specie di zattera-catamarano, condotta da un esperto istruttore
sudamericano, Joseph. Questo mezzo è più agile tra le rapide e basta una sola persona per condurlo, con un paio di remi. Nel centro, sotto la pancia del catamarano, sono fissati tutti i beni (macchine fotografiche, documenti personali di viaggio, denaro) all’interno di una cassa stagna. Di fronte ad una pericolosa rapida di 5° grado Joseph, dopo un’attenta perlustrazione della gola, decide di tentarne la discesa. La rapida è impetuosa e passa attraverso una strettoia del canyon che non
consente margini d’errore. Purtroppo le cose non andranno per il meglio e Joseph verrà sbalzato via dalla zattera urtando violentemente contro una roccia, per fortuna senza gravi conseguenze. Tutto il materiale, insieme al catamarano proseguirà la sua folle corsa lungo il fiume per diversi chilometri, ribaltandosi e incagliandosi tra le rocce. Stanchi, a metà giornata si fermano per una sosta e per pranzare. Fa molto caldo e sono assaliti dalle zanzare. La sera, raccolti intorno al fuoco, si trovano inevitabilmente a raccontare quanto vissuto durante la giornata e ad asciugare i documenti, le macchine fotografiche e quel che resta dei rullini fotografici. Oggi li attende una rapida piuttosto difficile, del 5° grado Classe 5 Estremamente Difficile:
Ricognizione indispensabile, grandi onde irregolari, lunghe rapide con manovre limitate, passaggi stretti, salti alti con entrata e uscita difficile. Come sempre smontano il campo all’alba. Preparano le borse stagne e indossano le mute con una certa apprensione. Sono partiti soltanto da pochi minuti, ma già in lontananza riescono a sentire il fragore della rapida. Ascoltono con attenzione le ultime indicazioni della guida. Il suo volto è teso, capiscono che non c’è molto da scherzare. Il passaggio è veramente infernale, la portata d’acqua eccezionale,
grandi rocce, onde pazzesche. Non possono permettersi di
sbagliare: rischiano il ribaltamento, di finire in acqua o ancor peggio di sbattere contro le rocce. Anche i mulinelli ( le cosiddette “lavatrici” ) che si formano a ridosso dei sassi sono pericolosissimi perché creano un risucchio dal quale non è facile uscire e che tende a tirarti sott’acqua. Remare in queste condizioni è davvero proibitivo. Ci sono buchi e salti impressionanti. Il fragore è altissimo e l’adrenalina scorre a fiumi. Il passaggio dura pochi, interminabili istanti. Attraversata
la rapida attendono con ansia l’arrivo dell’altro equipaggio, che passa indenne. Il resto della giornata trascorre con rapide più o meno facili e divertenti. Verso sera, superato Ponte Cuniac, presidio militare strategico, fanno una sosta per un bagno alle sorgenti di acqua calda, a poche centinaia di metri dalla riva del fiume. L’area è ben attrezzata con docce e diverse piscine; l’acqua non è caldissima e la temperatura esterna non aiuta. La sera il campo sulla riva opposta; una buona cena, quattro chiacchiere e poi a dormire. Ormai seguono il ritmo del giorno e della notte; vanno a
dormire non oltre le 21.30 e si svegliono con i primi raggi di sole. Da queste parti oltre ai tremendi mosquitos occorre stare attendi agli scorpioni il cui morso non è letale ma molto doloroso. Qualcuno del gruppo se ne trova uno nelle scarpe la mattina seguente; bisogna prestare molta attenzione ai vestiti che si lasciano ad asciugare la notte. Oggi si prevede una giornata tranquilla. Non indossono le giacche ad acqua perché fin dal mattino inizia a fare caldo. Poco dopo incontrono la prima rapida e vengono sommersi da un’onda gigantesca. Restono paralizzati, impreparati e infreddoliti. Non era previsto e sorge il dubbio che le guide abbiano teso un tranello. In effetti la giornata sarà la più impegnativa e più bella di tutto il percorso. Lo scenario intorno a noi è spettacolare. Scendere lungo un fiume permette di raggiungere posti di incredibile bellezza. Ad
un certo punto, per un errore, finiscono in un tratto del
fiume pieno di rocce sporgenti; sono incagliati in piena corrente e devono trovare il modo di uscirne. Dopo qualche tentativo dall’interno del gommone, scendono tutti su una roccia vicina tentando con una fune di spostarlo, ma la corrente è molto forte. Legato ad una cima, Paolo entra in acqua tentando di raggiungere la
prua del gommone e, facendo leva in qualche modo, di
disincagliarlo. Dopo molti sforzi riesce a smuoverlo e a portarlo nella giusta direzione. Velocemente tutti saltano a bordo e lui resta aggrappato all’esterno, fissando la cima ad una roccia, per tenerlo in trazione. Poi i compagni lo aiutano a salire e, impugnate le pagaie, si rituffono nella corrente. Molte rapide
ancora li aspetta, alcune alzano il gommone quasi in verticale. E’ormai primo pomeriggio quando arrivono all’antico ponte incaico che unisce le rive dell’Apurimac, prima che queste si stringano a formare l’oscuro " Abisso di Acobamba". Sgonfiono i gommoni e con fatica non indifferente li portono in spalla sulla strada sovrastante il fiume. Ad attenderli con cavalli e muli ci sono alcuni campesinos con i quali Paolo aveva preso accordi. Caricano tutti i bagagli sui muli e montano a cavallo per dare inizio alla lunga salita verso il nevaio del Salcantay (6271 mt.), percorrendo un sentiero di incredibile bellezza. Il ponte che devono attraversare sull’Apurimac è impressionante, a circa 40 metri
d’altezza, sostenuto da tiranti in acciaio ma con la passatoia fatta ancora di legno e frasche intrecciate. I cavalli vengono bendati per impedire che si imbizzarriscano. Stanotte pernotteranno in una fazenda poco distante. Salgono su sentieri strettissimi e scoscesi a strapiombo sulla valle dell’Apurimac. I cavalli arrancano a fatica, uno fa un passo falso posando malamente uno zoccolo troppo vicino al bordo del sentiero. L’animale scivola, incespica, sbilanciandomi pericolosamente verso l’esterno. Per un miracolo riesce a ritrovare l’equilibrio, mentre il cavaliere perde dieci anni della sua vita! Dopo un’ora circa giungono alla fazenda. Si tratta in realtà di una casa diroccata
con un portico dal tetto di paglia e un piccolo cortile circondato da mura in rovina dove lasciano a pascolare i cavalli. Si sistemono tutti quanti per terra, in una stanza al piano di sopra. Le assi di legno del pavimento reggono a malapena il peso di tutti. Le pareti e il soffitto, rivestiti con canne di bambù e fango come intonaco, pullulano di pulci. Sellano i cavalli e alle
dieci del mattino sono pronti a partire. La giornata è splendida e la mole imponente del ghiacciaio del Salcantay è proprio di fronte. Salgono attraversando ripidi pendii, attraverso una fitta vegetazione e in alcuni casi scendono a piedi per evitare di cadere nei passaggi più rischiosi. In serata giungono nei pressi
di un pascolo e montano il campo sul terreno scosceso. Una notte piuttosto scomoda. Nel primo pomeriggio dovrebbero raggiungere la base del ghiacciaio del
Salcantay. A quota 5500 metri proseguono a piedi, cercando di far salire i cavalli. Il passo si trova a 6000 metri di quota. Qui il tempo cambia radicalmente: la nebbia li impedisce di vedere il paesaggio circostante e il freddo li assale. Dopo una breve pausa di riposo, la discesa verso la valle del Rio Santa Teresa, lasciando liberi i cavalli. Man mano che procedono nella discesa, l’ambiente si fa sempre più tropicale. Stanno ormai per raggiungere il piccolo agglomerato di Santa Teresa. Attraversono molti villaggi di contadini e numerose piantagioni di tè, caffè e tabacco. Fanno campo nei pressi di un bel torrente dove finalmente ne approfittono per lavarsi. Montano la tenda velocemente, poi si mettono a letto decisamente affaticati. Sono ormai a bassa quota e fa piuttosto caldo. Verso le 13 arriviano al villaggio; da qui prenderanno il treno per Quillabamba. Una folla festante, come nei migliori happy end, li accoglie con calore. Scaricano i fardelli sotto gli occhi di tutto il paese. Santa Teresa è un paesino molto caratteristico tagliato in due dai binari della ferrovia. E proprio lungo i binari si svolge l’attività commerciale del paese. Ogni treno che passa rappresenta l’occasione per vendere del cibo o qualche bevanda. Con grande
emozione salutano i nostri amici “campesinos” che al tramonto ritornano alle loro fazende urlando e incitando i cavalli al galoppo. Alla fioca luce dei lampioni improvvisano con i ragazzi del paese una partita di pallone. Poi l’arrivo del treno con il buio, la sua fragorosa sirena ad interrompere i giochi e l’assalto al treno nella notte, con il panico di non riuscire a
caricare tutti i bagagli prima che si rimetta in moto. Urla e spintoni per salire velocemente sul treno che non aspetta nessuno e riparte dopo pochi minuti con la folla che ancora cerca di arrampicarsi sulle carrozze stipate all’inverosimile. Solo a notte fonda arrivano a Quillabamba. Con un pulmino partono in direzione di Kiteni, dove si imbarcano per il Pongo di Mainique. La strada che percorrono è alquanto monotona e in
pessime condizioni. Impiegheranno circa 11 ore per arrivare a destinazione. E’ sera tardi ormai e non hanno voglia di montare la tenda lungo le umide rive dell’Urubamba. Decidono di dormire sul pulmino. Contrattano due “pele pele” a motore ( così vengono chiamate le lunghe canoe ) per portarli verso il Pongo. Il percorso lungo il fiume è decisamente monotono e dopo molte ore di navigazione raggiungono il “famoso” canyon che stringe tra le sue strette pareti il fiume Urubamba e che sulla carta è indicato come Pongo. Tanto decantato dalle guide di viaggio, il canyon di Mainique li delude alquanto. Il fiume qui si restringe e le pareti a picco del canyon si avvicinano con molteplici cascate d’acqua. Ma nulla di più. Non è più lungo di 500 metri e lo attraversano senza grande entusiasmo. Trascorrono la notte accampati sulla riva del fiume, gustando un delizioso pesce che le guide hanno pescato con la dinamite. Ebbene si, durante la giornata, di tanto in tanto si divertono a lanciare in acqua i pericolosi candelotti, raccogliendo così il cibo per la cena. Si alzanoo all’alba per il viaggio di ritorno. Monotono e faticoso. Molte ore in lancia per ritornare a Kiteni e poi altre 11 ore faticosissime fino a Quillabamba. La mattinata trascorre tranquilla in giro per Quillabamba, che non ha molto da offrire. E’ una tipica città di frontiera, occupata dal commercio e per nulla turistica. In stazione li aspetta il treno per Agua Caliente, situata ai piedi di Machu Picchu. I treni in
Perù non hanno orari precisi. E’ sempre meglio presentarsi in stazione con largo anticipo per non rischiare di perdere il passaggio. Le biglietterie non sono sempre aperte o aprono poco prima dell’arrivo del treno e spesso bisogna fare lunghe code per
ritirare il ticket. Sui treni si viene accolti da un concentrato di varia umanità. Ad ogni sosta poi, sono assaliti da venditori ambulanti di bibite, panini, gelatine colorate ( tanto apprezzate
dai locali ), e poi banane, arance, carne. Viaggiano in prima classe, quella turistica che tutto sommato è piuttosto comoda. In tarda serata raggiungono Agua Calientes. Il paese è carino e ricorda Santa Teresa. L'albergo sembra un rifugio di montagna sulle Alpi. Sulla piazza principale un gruppo musicale rallegra la serata e presto si ritrano a ballare con la gente del posto. Stamane la sveglia li tira giù dal letto alle cinque. Si aspetta il primo bus che sale alle rovine. Il tempo non è dei migliori e, dopo aver risalito i ripidi tornanti che portano al sito archeologico, sono accolti da una finissima ma incessante pioggerellina. In compenso i pochi turisti a quell’ora e la nebbia bassa tra le
rovine rendono il posto veramente suggestivo. Machu Picchu, soprannominata la città perduta degli Inca, è un sito archeologico precolombiano, situato in una zona montana a 2.700 metri di altitudine nella valle dell'Urubamba in Perù. Girando tra le mura sembra di rivivere i giorni in cui qui fioriva la civiltà Inca,
misteriosamente scomparsa. Salgono sullo Huayna Picchu il
monte che sovrasta il Machu Picchu e dal quale si può godere di una spettacolare visione sul sito archeologico dall'alto. Una salita di 45 minuti su ampi gradoni, ma non molto impegnativa. Dall’alto la vista è splendida e aspettono che si diradi la nebbia per scattare qualche fotografia. Per il ritorno a Cuzco si può optare
per un volo in elicottero ( 70$ - 25 min. ) oppure tornare in treno ( 5 ore ) Dalle ore 14 sono in coda di fronte alla biglietteria. Il treno turistico fermo sui binari è già al completo e finchè non parte non possono acquistare i biglietti per il prossimo che partirà alle ore 16.30. Restano comunque in coda per non perdere “la priorità acquisita”. A quest’ora sono molti i
turisti che vogliono rientrare a Cuzco. Nel frattempo ricomincia a piovere forte. Il treno delle ore 16.30 viene soppresso per un guasto al motore e così devono attendere quello delle 18.30, che arriverà in ritardo. Sono in molti a voler partire e non tutti hanno acquistato regolarmente il biglietto. All’arrivo, il convoglio viene letteralmente preso d’assalto dalla folla e a fatica, a forza di spintoni riescono a salire. Soltanto alle ore 19.30 il treno comincia a
muoversi e il ritorno verso Cuzco si trasformerà in una vera e propria odissea. Arrivo stremato all’alba delle 5.30. Giornata di acquisti al mercatino locale e cena in un ristorante italiano. Sistemazione in albergo nel primo pomeriggio. Un buon albergo in zona Miraflores, lungo la costa. La città di Lima, racchiusa dalle valli dei fiumi Chillón, Rímac, Surco e Lurí. Lo smog raggiunge livelli elevati, e lungo la costa si accumulano i rifiuti di discariche all’aria aperta. Il centro della città, Plaza de Armas, non è niente di speciale. Visitano il Convento di San Francesco e le sue catacombe e il Museo
National ( molto bello e interessante ). Serata al ristorante a base di pesce. Ripartono da Lima con il volo delle 11 via Buenos Aires. Scalo tecnico a San Paolo Do Brasil e arrivo a Napoli dopo circa 11 ore di volo.



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Racconto scritto il 31/07/2016 - 15:35
Da Savino Spina
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Commenti


Che bello lasciarsi alle spalle le trafficate e terrificanti strade della città, immersi nella natura incontaminata del Parco Fluviale del fiume, non prevede code, niente semafori, incroci o rotonde un solo senso di marcia e ci si ferma solo quando si arriva a valle! Dal momento esatto in cui le pagaie entrano in acqua e spingono il gommone lungo le rapide si vivono emozioni indescrivibili condivise con gli altri presenti sul suo raft!

Savino Spina 31/07/2016 - 19:03

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