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Milano - Parte 1 di 2

«Perché non vieni qui a Milano? Lavoro ce n’è quanto ne vuoi e per giunta ti pagano profumatamente. Posso darti un consiglio appassionato? Scappa dalla Sicilia e lascia quella valle di lacrime!» così mi scrisse alcuni giorni fa Antonello, mio cugino, tramite Facebook, che vivendo da quasi dieci anni nel capoluogo lombardo, per sua fortuna è riuscito a realizzarsi alla grande e partendo da zero, o meglio armato solo di buona volontà nonché di alcuni necessari risparmi per i primi tempi.
Ad essere precisi non risulta di certo il primo a consigliarmi di fare le valigie e di andarmene da qui, forse sarebbe la soluzione migliore.
«Questa metropoli a quanto pare è considerata una sorta di Klondike dalle opportunità “d’oro!” Sarà vero?» mi domando da giorni.


Ed eccomi giunto qui a Milano pronto a esplorare la metropoli con la mia fedele Lancia Musa del 2008, per tentare di trovare un benedetto impiego.
Eh si, niente treno o aereo, decisione scaturita dal fatto che ho preferito essere automunito fin dall’inizio, nonostante l’efficienza e il valido servizio garantito dai mezzi pubblici milanesi.
Pur provenendo da una piccola città, spostarmi in una località cosi vasta non dovrebbe rappresentare un problema, a tal proposito per svariati motivi ho girato in lungo e largo città come Messina, Palermo e Catania.
Devo ammettere che Milano è Milano, caoticamente parlando lo definisco un autentico bordello, con una confusione ed una baraonda a dir poco terribile e difatti c’è mancato poco che andassi a finire addosso ad un tram.
Beh, perlomeno non mi sento come a Renato Pozzetto nel suo celebre film “Il ragazzo di campagna”, al massimo posso apparire spaesato però non vengo di certo da qualche sperduto paesino da cui non sono mai uscito.
Appena mi sarò sistemato, vedrò con calma di poter fare più avanti anche il turista, mi piacerebbe visitare il Duomo o i Navigli, ma per adesso ho ben altre importanti priorità.
La cosa che mi ha sorpreso e che il tragitto dalla Sicilia alla Lombardia, non mi ha affaticato per nulla, infatti sono arrivato nel tardo pomeriggio e stranamente non mi sento stanco, si insomma come se il viaggio fosse durato un battito di ciglia. Pensavo peggio.
Sarà l’adrenalina o forse le ottime prospettive che mi fanno sentire cosi? Una cosa è certa: ce la metterò tutta!
È quasi sera, comincio ad avere un po’ di fame, ma prima di andare a mangiare un boccone e successivamente cercarmi come alloggio provvisorio un albergo oppure un B&B, parcheggio vicino a un cantiere, prendo il cellulare utilizzando il WhatsApp, mando un messaggio a Ilaria, la mia fidanzata, in cui le scrivo che sono a Milano, che tutto va bene, che la amo e che mi manca.
Mi risponde praticamente all’istante, con emoticon strapiene di cuori, di baci e di lacrime. Mi scrive che, anche lei sente la mia mancanza, che è triste senza di me e che sarebbe stato meglio affrontare insieme questa problematica del lavoro piuttosto di partire da solo per “l’avventura”.
Il motivo di non portare Ilaria con me è stato semplicemente per preservare il suo impiego, poiché lavorando in qualità di commessa in una sanitaria della nostra città, in caso l’impresa di trovare lavoro a Milano si fosse rilevata un fallimento, non avrebbe perso inutilmente il posto.
Essere pagati con soli 500 euro è poco ma pur sempre meglio di niente, specie in un brutto periodo come questo.
A tal proposito, anch’io prima che venissi licenziato, guadagnavo lo stesso e identico salario, dopo cinque anni passati a spaccarmi il culo in una ferramenta.
Dal canto mio, non potevo fare diversamente, a seguito del licenziamento, ho fatto praticamente di tutto per trovare dalle mie parti qualcos’altro e i risultati sono stati vani, ragion per cui questo sacrificio lo reputo necessario.
I miei occhi si inumidiscono, le lacrime sono imminenti, questo provvisorio distacco fa male ad entrambi e le mando un messaggio un audiomessaggio:
«Amore mio, farò di tutto per riuscire nell’intento, una volta ingranato e costruito una solida base, ti porterò qui con me e ci sposeremo» faccio una breve pausa, in questi casi non è mai facile trovare le parole giuste «lo so, sarà dura ma sento che ne varrà la pena. Tra poco vado a cenare e stasera una volta che avrò alloggiato da qualche parte, ci sentiremo tramite una telefonata per parlare a lungo. Non vedo l’ora di sentirti, ti amo mia unica ragione di vita! »
Mi manda a sua volta altre faccine piene di lacrime e baci, ed un ultimo messaggio scritto:
«Sto male senza di te, ti prego stasera chiamami al più presto! Ti amo principe mio, non te lo dimenticare mai!»
Asciugo i miei occhi con un fazzoletto, e mando un veloce messaggio ai miei famigliari in cui comunico anche a loro del mio arrivo a Milano, e che li avrei chiamati con calma appena possibile. Ottengo risposta solo da mio padre in cui mi invita a stare attento. All’improvviso si avvicina un operaio del cantiere, visibilmente irritato, abbasso il finestrino quasi a metà e mi chiedo cosa potrebbe volere.
«Ehi pistola! Stiamo per iniziare dei lavori e qui non puoi stare mica, eh? Forza terrone levati dai maroni e tornatene nella tua bella Trinacria!” mi dice bofonchiando con una cadenza tipicamente milanese.
«Mi scusi non sapevo…» provo a scusarmi, nonostante l’atteggiamento rozzo del tipo che ho davanti.
«Va' a dar via el cu (vai a cagare)! » gridando e agitando le mani come un forsennato.
Capisco che è meglio non farlo ulteriormente incazzare e senza proferire parola, riparto immettendomi in una strada non troppo trafficata.
Durante la guida, rimango pensieroso sul singolare episodio avvenuto poco prima e mi pongo alcune domande.
Quell’operaio edile come era riuscito a dedurre del fatto che sono siciliano? Era stato il primo a parlare e non credo proprio che con i finestrini chiusi abbia sentito la mia cadenza di voce, ovvero nel momento stesso in cui stavo mandando l’audiomessaggio a Ilaria e soprattutto come mai essendo a momenti sera, dovevano iniziare dei lavori?
D’accordo che Milano è una città che non si ferma mai ed è paragonabile ad un continuo cuore pulsante, ma lavorare in un orario sicuramente non consono, mi sembra atipico; dalle mie parti quasi all’imbrunire, sbarazzano baracche e burattini.
Probabilmente qui al Nord Italia, il lavoro è gestito in maniera diversa, probabilmente in questo settore ci si lavora anche di sera e se occorre forse anche di notte. Mah? Tutto può essere!
Rifletto inoltre alle parole prive di tatto da parte di quel tizio. Cribbio, ancora esiste questo risentimento tra Nord e Sud?
Spero si sia trattato di un caso isolato, seppur provengo dalla “lontana” Sicilia sono italiano anch’io.
L’appetito si fa sempre più sentire, dopo un girovagare a caso, mi ritrovo in una zona piena di locali e per mia fortuna trovo subito un parcheggio libero per poter accostare.
Scendo dalla macchina e comincio a percorrere il marciapiede per un breve tratto, per ovvi motivi mi sento disorientato dal momento che non so come orientarmi sulla scelta di un posto in cui andare a mangiare.




Di fronte a me, dopo le strisce pedonali, noto un locale con una bella insegna luminosa con su scritto “Rosticceria Siciliana.”
Nonostante mi trovo a Milano da pochissimo, oltre che per la mia città e per i miei affetti, sento una grande mancanza per il buon cibo siciliano e senza pensarci due volte, scelgo di entrare lì.
Mi accorgo fin da subito di come il pubblico esercizio, (abbastanza piccolo in termini di spazio) non presenta caratteristiche degne di nota.
Pareti e pavimento in legno, due tavoli ed alcune sedie spartane di colore verde, un bancone in vetro con un numero imprecisato di pezzi di tavola calda (arancini, cartocciate, pizza a taglio etc.) in esposizione e un registratore di cassa. A parte il sottoscritto non ci sono altri clienti.
Dietro il bancone un uomo, una donna di mezza età e un ragazzino, sicuramente i proprietari, praticamente un classico locale a conduzione famigliare.
«Buonasera!» esordisco educatamente «un arancino al ragù, un calzone fritto alle verdure, e una bottiglietta d’acqua frizzante per favore.» indicandoli con l’indice del dito.
«Buonasera a te, caro ragazzo! Che ci fa un siciliano a Milano? » mi chiede l’uomo bonariamente.
Anch’io faccio una domanda, precisamente a me stesso:
ce l'ho proprio scritto in fronte che provengo dalla Sicilia? Ad ogni modo intuisco che anche loro sono di origine siciliana.
«Provengo dalla provincia di Messina, dalle mie parti purtroppo lavoro non se ne trova, e sono venuto, come si suor dire, a cercare fortuna.» rispondo con umiltà e con un sorriso triste.
«Gioia, perché sei salito su a Milano? A parte che qui non è come tutti dicono, inoltre è una città cara, per viverci servono 1900 euro al mese.», mi spiega la signora con una voce dolcissima e dall’espressione materna.
1900 euro?
Perché mi ha specificato proprio questo importo? Poteva benissimo dirmi sulle 2000 euro o quasi 2000 euro.
Già, perché?
«Purtroppo è vero, nell’84 io e mia moglie quando aprimmo questo locale, ci rendemmo conto fin da subito di quanto è difficile vivere in questa grande metropoli» ammette il marito.
Non so che dire, avendo udito le loro brevi considerazioni, i miei propositi cominciano leggermente a scricchiolare.
«Salvatore ha solo 15 anni» seguita a dire l’uomo indicando il figlio «ma ha già le idee chiare, difatti spesso ci manifesta il desiderio di trasferirsi in Sicilia, una volta terminato il liceo, non gli piace stare qui. »
Il ragazzino mi guarda e mi sorride cordialmente.
Non so come spiegarmelo, queste persone a parte l’estrema gentilezza ed educazione, c’è da dire che i loro modi e le loro espressioni risultano così autentiche, così genuine e soprattutto sprigionano un indescrivibile calore umano.
«Buon appetito gioia, accomodati ad uno dei tavoli e mangia tranquillo» mi dice la donna sempre con dolcezza porgendomi l’ordinazione in un piccolo vassoio.
Mi siedo per divorare con gusto i due pezzi di tavola calda e posso davvero assicurare di non averne mai mangiati di così buoni dalle mie parti.
Se un giorno qualcuno mi dovesse raccontare di aver gustato ad Aosta il miglior cannolo siciliano alla ricotta della sua vita, giuro che gli crederò.
Mi sazio abbastanza, bevo d’un fiato tutta la restante acqua rimasta nella bottiglietta e mi alzo dal tavolo. È ora di andare.
Devo darmi una mossa, vorrei alloggiare al più presto da qualche parte, anche se in verità non mi sarebbe dispiaciuto rimanere a parlare ancora un po’ con queste persone particolarmente gentili.
«I vostri pezzi di tavola calda sono davvero eccellenti, i miei complimenti!» e pronto a congedarmi chiedo il conto.
Mi ringraziano all’unisono e i loro volti sono pieni di soddisfazione.
«Cinque euro!» mi risponde Salvatore, con il suo immancabile sorriso. Estraggo dal portafoglio una banconota da 5 e l’appoggio sopra un piattino vicino la cassa.
Li saluto cordialmente augurando una buona serata e vengo piacevolmente ricambiato.
«Non ascoltare mai gli altri, ascolta sempre e solo il tuo cuore, per il resto non ti preoccupare, si sistemerà tutto, non sei solo e mai lo sarai!» mi dice la donna prima di uscire dal locale.
Queste parole mi penetrano dentro, non hanno l’aria di essere solo di cortesia o comunque di circostanza, invece rappresentano molto di più, mi colpiscono.
«Grazie infinite, lei è molto buona, le sue sincere parole mi confortano e mi danno speranza» le rispondo e rivolgendomi al marito e al figlio «grazie anche a voi, siete proprio delle belle persone, tornerò sicuramente.» concludo e vengo salutano ancora più calorosamente di prima.
Uscito dal locale, il tempo appare completamente cambiato, c’è in atto una violenta grandinata. Comincio a correre a più non posso e raggiungo la mia macchina.
Una volta dentro, dopo essermi tolto il giubbotto ed acceso il climatizzatore in modalità aria calda con il chiaro intento di asciugarmi, mi rannicchio nel sedile. Decido di aspettare che si plachi, immettersi in strada adesso potrebbe essere pericoloso.
Mi arriva un messaggio su WhatsApp, è Ilaria.
Lo leggo subito. Mio dio, ma cosa…?
«Non ascoltare mai gli altri, ascolta sempre e solo il tuo cuore, per il resto non ti preoccupare, si sistemerà tutto, non sei solo e mai lo sarai!»
Le stesse e identiche parole della proprietaria della rosticceria.
Un brivido mi corre lungo la schiena e poggio una mano all’altezza del petto. Mi arriva un secondo messaggio.
«Svegliati amore, mio, svegliati mia unica ragione di vita!»
Svegliarmi… svegliarmi? Perché? La vista gradualmente si fa sempre più offuscata e infine i miei occhi si chiudono.




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Racconto scritto il 27/12/2016 - 10:18
Da Giuseppe Scilipoti
Letta n.1035 volte.
Voto:
su 6 votanti


Commenti


Grazie Marirosa per il tuo bel commento e che segui spesso i miei componimenti.
Domani rilascerò la seconda e ultima parte Io invece per qualche strano motivo riesco a votare dal cellulare mentre dal Pc qualche volta non mi riesce. Boh? Misteri del sito !

Giuseppe Scilipoti 28/12/2016 - 21:49

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Bellissimo racconto. Sono molto curiosa, questa prima parte, è stata molto coinvolgente. L'ho letta d'un fiato...purtroppo sono da cell e non posso votare ma, appena posso collegarmi da pc, rimedio...cmq 5* sono meritate! Buona serata!

Marirosa Tomaselli 28/12/2016 - 20:46

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Scusa, un nuovo componimento volevo dire

Giuseppe Scilipoti 27/12/2016 - 22:39

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Grazie anche a te Giulia, ho notato che in questi giorni hai pubblicato due nuovi componimenti...corro a leggerli!!!

Giuseppe Scilipoti 27/12/2016 - 22:37

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Interessante racconto. Attendiamo la seconda parte.

Giulia Bellucci 27/12/2016 - 14:12

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Grazie Giancarlo e grazie Patrizia, tra 48 ore ci sarà la seconda e ultima parte. Spero di non deludere le vostre aspettative, nel finale ci saranno importanti retroscena nonchè un interessante aneddoto.

Giuseppe Scilipoti 27/12/2016 - 13:10

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Bel racconto, leggermente angosciante a causa di questa strana e freddina accoglienza al Nord ben resa nello scrivere. Come andrà a finire?

Patrizia Bortolini 27/12/2016 - 11:36

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è uno stupendo racconto emozionante di vita della gente del sud 5*

GIANCARLO LUPO POETA DELL'AMO 27/12/2016 - 11:06

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