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Il podere

La sera di Pasqua s'andava a cena da Zia Delvina
C'erano i miei genitori e il mio cugino Silvano . Aveva la stessa età di babbo perchè zia lo aveva fatto quando nonna Cesira fece babbo. Che divenne suo zio.
Quando arrivava il tramonto sull'albero alto e quasi secco davanti casa si appollaiavano tre o quattro faraone e quelle sono state le ultime volte che ho visto le faraone dormire all'aperto.
Si mangiava la stracciatella e “gli americani”,dolci fatti con il rosso delle uova. Non mancavano i cialdoni riempiti di crema fatta con le uova delle galline che raspavano tutt'intorno alla casa.


A volte si passava la notte lì ,al podere Lagrimana ,e si andava a vedere il granaio, vicino alle camere e il giorno dopo, con Cinzia , la bimba di Silvano, ci si buttava sopra alle balle di crine e di grano e ci si divertiva a guardare fuori dalla finestrina e si vedevano i campi in fondo al podere con il noce gigante che stava in piedi da anni e dava noci dolcissime che col vento cascavano nel campo .Oppure se si bacchiavano venivano giù a centinaia. In fondo a quei campi c'era una stradetta dalla quale partivano ai lati piccoli filari di viti che avevano grandi ciocche d' uva qualcuna trebbiano bianco, qualcuna fragola nera. E poi più in basso dopo aver superato un altro campo o due un po in discesa si arrivava in “PELAGA”, un oasi di freschezza d'estate ,dove c'era uno piccolo pelago alimentato da una vena d'acqua sorgiva. Ci saltavano ranocchi e salamandre , tutte colorate di arancio e nero, e poi si vedeva una distesa di foglie di zucca di cetriolo e di melanzane e tante canne più o meno mature e tanti fusti di quelle piante con i manicotti marroncini in cima , piante aquatiche per eccellenza. Anche sull'acqua si distendevano le nifee e qualcuna era fiorita , bella come quelle dipinte da Monet nel suo ultimo periodo di vita. Sopra il pelago , o stagno, vegliava un leccio enorme e lasciava ombra dappertutto anche su di noi che ci si spingeva di corsa nella filata di peschi che facevano tantissimi frutti di polpa bianca e fuori erano rosa e rossi. Qualche pesco invece, che s'intercalava tra i filari di viti, era più robusto e tarchiato e dalle sue belle foglie verdi lanceolate rosseggiavano pesche davvero giganti ,di polpa gialla,che non si poteva fare a meno di staccarne una e di mangiarla subito : anche se zio Corrado avrebbe brontolato. Non ce ne importava , così come brontolava se ci vedeva piluccare gli acini delle ciocche d'uva, perchè gli ammalava la vendemmia.




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Racconto scritto il 07/03/2017 - 23:32
Da paolo fidanzi
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