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Seppi andare e inciampai nell'amore.

In quel grigiore , cielo plumbeo , seppi stranamente udire , nonostante l'incessante scappare via della pioggia, l'amore.
E fu nel cangiante intrecciarsi del grigio e poi rosso e finalmente azzurro che,
trovai la sfumatura della mia vita.
Una notte,un cielo senza stelle,e un'immensa luce.
Irrilevante la stagione e il cadere delle foglie e i fari del lontano carovan che vicini parevano trascinarmi a sè.
Inerme,immobile,stasi divina davanti ad un mondo in ritardo.
E la frescura mi accarezzava i capelli,ormai grigi e sporchi,sudici,del tanto tempo che mi separava dalla giovinezza.
Immensi percorsi si sono intrecciati nella mia vita attraversati dalle molteplici figure dell'uomo,
da cui strappavo i pezzi che più mi piacevano per ricucirli addosso a me.
Bambola di pezza;
seppi essere tante cose e con un'attitudine quasi camaleontica riuscì a sfuggire a tanti pericoli e tante strade non percorsi.
Seppi apprezzare l'intensità del silenzio e il rumore incessante dell'immobilità.
Su quel colle isolato affacciava la mia camera in quella vecchia casa di campagna dove amavano portarmi i miei genitori,dove amavo scappare dal tempo e dal mondo,dove mi piaceva esistere e potevo,nascostamente,essere.
Così prendevo tutti quei piccoli pezzettini e come un impossibile puzzle li gettavo davanti a me.
Quella sera di Maggio passai ore e ore a cercare di capire quale fosse il pezzo mancante che non faceva di quell'assurdità così frammentata,figura;
e me n'andai a dormire con la docile ed innocente bugia, mascherata da certezza,d'averlo perso.
L'indomani la certezza divenne fiabesca novella,e seppi inventarmi quell'alto principe che rubò quel piccolo pezzettino per nasconderlo, in maniera incredibilmente sottile,nel suo castello lontano.
Quel lontano divenne irraggiungibile ed io divenni,giorno dopo giorno,sempre più incompleta.
Seppi fondermi con le foglie che, cadendo dall'albero stanco,s'accasciavano al suolo,arrese.
E Seppi poi confondermi col vento autunnale e con la bonaccia d'estate.
Fui,fui tante cose.
Fui quel meraviglioso sole che s'affacciava ogni mattino per illuminarmi il volto.
Fui lui per ricordarmi d'esser viva e luna per potermi, stanca,riposare..
E seppi vivere, vivere così.
Seppi incredibilmente fondermi e confondermi.
Non seppi,però,mai cos'era quella morsa allo stomaco che mi lacerava dentro.
E fu immediatamente ulcera d'amore.
Lo vidi,lontano non troppo per poter immaginare che sguardo avesse quando magari,assorto dai pensieri,si chiudeva in se stesso.
Non troppo da negarmi l'immagine sua al mattino,e la notte il suo viso,o ancora l'arancio che accarezzava il suo volto nel meriggio e il volto diveniva bronzo,e quello ch'avevo io oro.
Non seppi ancora chi era,ma in quell'esatto istante seppi chi ero io.
Fu poi la vita,per mia codardia e per sua gentilezza,a rendere immaginazione realtà.
E seppure non fu bronzo e mai lo vidi tanto assorto,quel giorno lì,fu sicuramente amore.
Non seppi più confondermi con l'albero e andare col vento.
Fui così legata a lui da dovergli chiedere il permesso,per paura di poter dissolvere , con me, anche un po' di lui.
Visione e condivisione d'un infinito troppo lontano dagli occhi e incredibilmente pesante dentro.
Ci sentimmo leggeri,sapemmo , senza richieste e permessi,poi insieme andare.
E confonderci fonderci diffonderci in una vastità di sentieri cose strade volti sguardi persone oggetti e noi.
Ah,che Iddio mi perdoni per tutte le volte che ho pensato di voler morire nell'esatto momento che quel brivido,scintilla d'immenso,m'accarezzava la schiena.
E quel brivido fu glaciale quella notte di Marzo.
Legata stretta al suo cuore seppi,guardandolo chiudere gli occhi,tener aperti i miei.
E cercai posti nuovi per poterglieli raccontare.
Non mi lasciai prendere più dal vento,per sua gelosia,suo amore.
Ed ora,O caducità della vita.
Chiami questi capelli grigi e stanchi e sai,come un'artista,meravigliosamente dipingere i segni del tempo sul mio volto.
Mi stendo al suolo e mi ci tengo stretta.
Ricordo la leggerezza nel saper andare col vento e quanto era difficile riuscire ad andare in bicicletta senza cadere.
Ricordo quella notte insonne dove seppi coricarmi grazie alla Luna, O amata.
Ricordo quell'albe e quei giorni soleggiati.
D'improvviso non ricordo un suo volto ed un capello mi si posa sul volto.
Del grigiore ora io dico argento ed immediatamente m'innalzo a dea.
Che l'amore renda divini anche noi umani,
Che saper andare è poco intenso
sapersi fermare,sentire il tempo denso.
Scorrere del tempo,t'ho saputo amare,con te sono venuta.
Ma devo ora fermarmi e guardando il cielo cerco un'appiglio,un aiuto.
Serrando gli occhi mi si è aperta una voragine,dentro,e c'entra persino quella foglia accasciata al suolo.
Io ne resto fuori,sono altrove e ti raggiungo.
Tua.



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Racconto scritto il 01/11/2017 - 19:32
Da Ludovica Gabbiani
Letta n.971 volte.
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Commenti


Intenso il tuo poetico racconto...
Brava...

Grazia Giuliani 02/11/2017 - 21:34

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