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Il cappio al collo

Di errori, di peccati ne commettiamo tanti nella nostra vita ! L’importante è non perseverare, correggersi. Personalmente cominciai a sbagliare da molto giovane, scientemente, pensando di essere sulla strada giusta. Conobbi quella che sarebbe stata mia moglie che era ancora bambina e me ne innamorai come può fare solo un ragazzino. Era la terza di tre sorelle di buona famiglia. Per buona famiglia intendo di famiglia seria, affidabile. Il padre era, purtroppo, malato di una malattia invalidante viveva una vita tranquilla, delegando alla moglie quasi tutte le incombenze. Delega che la donna acquisì volentieri e da quel giorno, in quella casa, cominciò a vigere il matriarcato. Austera in volto, dall’aspetto severo, crebbe le figlie con somma oculatezza. Le bastava uno sguardo per ottenere ciò che pensava fosse giusto fare, con una semplice occhiata. La mia famiglia, decapitata dalla scomparsa di mio padre, al contrario, contava tre figli maschi, il maggiore, secchione e ormai medico, il minore, viziato da sempre, anche quando era nel grembo materno. Infine, tra questi due vasi di ferro, ci sono io, fumantino, abituato a cavarmela da solo, difficile da gestire perché ero io la mia legge. In fondo, però, ero un buon ragazzo e, sebbene mia madre mi tenesse costantemente sotto la lente d’ingrandimento, vedevo dai suoi sguardi che era orgogliosa di me, di come mi proponevo agli altri, del voler essere il paladino di una famiglia molto unita. Avevo solo un cruccio, allora. Il piccolino di casa mi stava appiccicato, emulandomi. Non ero certo io a dover essere emulato. Bene. Ero innamorato davvero e com’ero, come sono fatto io, dissi a quella ragazzina che per me sarebbe stato per sempre e tirai avanti. I rapporti con la famiglia della mia ragazza latitavano, si limitavano alle sorelle che erano molto affettuose con me. A volte mi invitavano a casa con altri amici e quasi sempre la madre rimaneva nel soggiorno a sferruzzare. Ho sempre creduto che non avesse molta simpatia per il sottoscritto, mia suocera, da quando, nel piccolo paese si era sparsa la notizia della simpatia che c’era tra la figlia e me. Era diventata un incubo e quando la vedevo, correvo a nascondermi, perché mi intimoriva. Taceva e tanto bastava. Poi, quella fatidica estate, mentre ci bagnavamo in un mare meraviglioso, strettamente avvinghiati, la mia ragazza mi guardò negli occhi e…mi disse che quel giorno sarei rimasto a pranzo a casa sua ! Finì l’armonia, gli arti che si intrecciavano frementi si disarticolarono e cominciai a sentire freddo che non addebitai all’eccessiva permanenza nell’acqua. Ma non potevo uscire da quello splendido mare perché lei mi fissava, voleva una risposta. Come potevo, di fronte a due occhi meravigliosi, gli occhi dell’amore, rispondere negativamente. Così alle 13, insieme alle tre sorelle mi recai al patibolo…volevo dire verso la loro casa. Constatai che vicino a loro c’era una chiesetta. Utile non fosse altro che per un’estrema unzione veloce, pensai. Quando arrivammo la tavola era imbandita e i suoceri al loro posto. Il mio timido saluto quasi non si udì nemmeno ma dovetti mettercela tutta per trattenere il battito dei denti. Mia suocera, di poche parole come sempre, mi intimò di sedermi. Mi avevano riservato il posto di capotavola. Però ! Decisi di mettere in mostra tutte le mie doti di intrattenitore per non fare scena muta, ma fu un vero fallimento. La prima volta che mi accadeva. Oltretutto mi sembrava di somigliare ad un vero frescone. Ci pensarono le sorelle a tenere la discussione mentre io, sconfitto, tacqui. Alla fine del pranzo, alzandosi, la padrona di casa si degnò di guardarmi. Poi, come una stilettata, partì quella che a me sembrò una vera e propria intimazione nazista. “Avverti tua madre che domani sera siete tutti, tutta la famiglia, qui da noi a cena”. Non aspettò nemmeno la mia risposta. Tanto er un ordine. La felicità di tutta quella situazione la ritrovai sul volto della mia ragazza, mentre io avvertivo qualcosa che mi stringeva il collo, un cappio ? La notizia fu accolta meravigliosamente a casa mia, specie dal fratellino che iniziò una cantilena monotona e ossessiva. “Sei fidanzato, sei fidanzato”. Mi faceva rabbia ! Forse non avevo metabolizzato lo stato in cui mi stavo ritrovando così, tutto d’un botto. Si beccò una sberla e non proseguì più al mio “de che?” L’indomani mi resi irreperibile per tutta la giornata perché casa mia si era trasformata in una sartoria ed io sarei stato il pezzo più conteso. Ma io non amo l’eleganza affettata. Vesto sobriamente. I miei, invece, erano tirati a lucido. Ma prima che mi vestissi, mia madre volle che la raggiungessi in camera da letto. Infatti per tutti noi figli, quella stanza godeva di una sacralità particolare. Mi fece sedere sul bordo del letto e cominciò a parlare :
• Tu sai cosa andiamo a fare stasera ? Sai che a casa nostra nessuno si è mai tirato fuori dalle sue responsabilità ? Sai che se illudi quella ragazzina e non porti rispetto alla sua famiglia
vuol dire che sei un poco di buono ? Se così sarà non potrai stare più con la nostra famiglia. Amare è per sempre ed io lo so che tu ami…le ami proprio tutte ste benedette ragazze ! Ora stop, si fa sul serio.
• E poi dicono che è facile farsi una famiglia quando, per farlo, bisogna beccarsi simili ramanzine. Così, parati di tutto punto ci avviammo. Non perché fossi in compagnia dei miei , però, diminuiva la mia…ansia (si, chiamiamola ansia) per quell’incontro decisivo per il mio futuro sentimentale. E se mia suocera si fosse opposta ? Meglio non pensarci e affidarsi alla dolcezza della mia dolce mammina. E poi dovevo tenere alto il mio nome, la mia immagine non fosse altro per il fratellino che mi si era appiccicato addosso nel frattempo ! Ci aspettavano tutti davanti la porta di casa. Tutta la famiglia. Mia madre mi mise in mano un mazzo di rose specificando che erano per la suocera. Il suocero mi guardava simpaticamente e rideva…delle mie traversie. Non sapevo che pesci prendere allora, mentre le due consuocere si abbracciavano e si baciavano, colsi l’occasione, presi la rincorsa e le appoggiai i fiori sulle braccia e mi introdussi nella casa fra gente amica: le tre sorelle, trascinandomi dietro, ovviamente, il fratellino. Ci fecero accomodare in sala da pranzo dove troneggiava una tavola addobbata come le mille e una notte con annessa argenteria. Mi fecero sedere accanto al mio amore da un lato ,mentre dall’altro “infuriava” il mio fratellino. Infuriava perché, appena seduto, cominciò una delle sue solite cantilene. “Nino è fidanzato, Nino è fidanzato”. Niente di che. Solo che il tutto si svolgeva sotto l’occhio e l’orecchio vigili di mia suocera. Venne servita la cena. Le schiave, per l’occasione, erano le sorelle che si alternavano in un andirivieni incessante con la cucina. Bastava che la suocera girasse gli occhi a destra ed una di loro si vedeva assegnare un compito che svolgeva senza mai irritarsi. Poco di cui essere felici, perché pensavo che tra poco sarebbe capitato pure a me ! La cena non fu una cena ma una favola solida. Si diceva in paese che, in quella famiglia, fossero maestre in cucina. Altro che maestre, io gli avrei dato la laurea! Alla fine appagati da tali meraviglie, restammo a tavola più che altro abbioccati e stanchi. Toccò a mia madre rinverdire i dialoghi. Aprì la borsa e mi guardò. Severa anche lei !
• Benedetto figliolo, mi hai pregato di conservarti il regalino che vuoi fare alla tua fidanzatina per suggellare questo momento che sarà PER SEMPRE (e scandì bene queste parole quasi per dargli più efficacia) e ora lo dimentichi nella mia borsa?
Cominciai seriamente a pensare che il vino avesse fatto male a mia madre. Non avevo preso nessun regalino, ero in bolletta nera e persistente, come avrei potuto ? Eppure mia madre mi mise in mano un astuccio che io porsi alla neo fidanzatina, che lo aprì subito e, dallo stupore dipinto sul suo viso, capii che aveva gradito molto, al punto che mi convinse a darci un’occhiata. Quella sera rimasi parzialmente accecato perché nell’astuccio c’era un anello con una pietra che mandava un luccichio infernale. Fui pure sorpreso dal battimani che ne seguì. Sorridevano tutti, perfino mia suocera ! Di quegli attimi ricordo solo gli occhi di mia madre, occhi che erano un monito e un incoraggiamento. Poi tornò il silenzio ed in quel momento pensai che non avrei potuto vivere così, con quella soggezione costante. Cercai di tirare fuori il meglio da me. Mi avevano illuso che fossi simpatico ed era venuto il momento di dimostrarlo. Mi alzai in piedi col bicchiere in mano, a mò di brindisi, invitando tutti a fare lo stesso.
• Per quanto riguarda la dote….
Calò il gelo nella stanza. Solo mio fratello maggiore mi redarguì subito visto che mia madre stava per svenire ! Ed io che pensavo di fare un grande discorso, una Catilinaria…versione semiseria ! Allora alzai le spalle e continuai :
• Ecco, volevo dire, niente a pretendere ! Soldi ce ne vorrebbero tanti per invogliarmi a prendere vostra figlia. Ma io so sacrificarmi. Vorrà dire che apriremo una “libretta”.
“La libretta” era il sistema di pagamento inventato al Sud dalla povertà. La gente più bisognosa, all’epoca, ed erano tanti, andava a far la spesa dal negoziante e poi “segnava” il costo sulla stessa e a fine mese, se avesse potuto avrebbe pagato.
• Mi spiego subito. – dissi – Io verrò a mangiare da voi fino a quando il suddetto debito si appianerà. Non prevedo tempi veloci ma prevedo succulenti pranzetti. Sono un debole, a me le donne mi prendono facilmente per la gola !
Ci fu una risata generale, divertita. Non si trattenne neanche mia suocera. Fu il primo segno di disgelo tra noi. Un segno che negli anni si trasformò in stima ed amicizia profonda. Ci accompagnarono alla porta con la raccomandazione che andassi a pranzo da loro l’indomani. Però quella sensazione di un cappio al collo mi perseguitava. Appena fuori dal portone di casa salutai mia madre e fratelli perché volevo andare a fare un giro. Era una serata calma e calda, le stelle facevano da cornice ad un mare incantato. Tutto sembrava parlasse d’amore e per l’aria c’era un canto di sirene e tritoni.
• Dove vai ? – chiese mia madre, in genere scevra da controlli sulla mia vita notturna – Mica vorrai andare nei tuoi locali preferiti, il blue ’70 o il Rebus con annesse francesine in dotazione. No, non credo che vorrai farci un salto, nonostante il luccichio che c’è nei tuoi occhi ! Ora non puoi più.
Compresi che stavo scrivendo la pagina finale del morto impiccato ! Il cappio aveva avuto la sua vittoria. Quanto è tortuosa la strada della felicità ! La mia iniziò al chiuso della mia stanzetta, pensando solo alla mia bambina.



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Racconto scritto il 26/11/2017 - 18:08
Da Nino Curatola
Letta n.1123 volte.
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Commenti


Questo racconto di vita vissuta è meraviglioso. Mentre lo leggevo mi sono sentita catapultata in quegli anni in cui ero Anch'io una ragazzina e mio marito portò sua padre a casa mia a chiedere la mia mano a mio padre.. Complimenti è scritto bene, è scorrevole e con deliziosi dettagli. Ciao...un saluto con le faccine.

santa scardino 27/01/2019 - 23:56

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