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Una famiglia ingombrante

Se ne stava lì, accoccolata, con le ginocchia racchiuse fra le braccia, a fissare il mare che lambiva la riva con il suo carezzevole dondolio. Pensava in che cosa avesse sbagliato, stava vedendo la sua famiglia sgretolarsi a poco a poco. Si era resa conto di aver fallito come madre o meglio che avevano fallito entrambi come genitori.
I figli non vedevano l’ora di fuggire lontano da quella casa, che era diventata nemica del loro essere liberi e felici. Odiavano il loro modo di amarli, lei con un amore incondizionato e accondiscendente, il padre egocentrico ma anche superficiale e soprattutto indifferente alle loro esigenze non certo materiali ma affettive.
Presi nel mezzo tra due personalità, lei e suo marito completamente differenti, che invece di completarsi si facevano la guerra, iniziando dalle piccole cose alle più grandi. Adesso che i figli non erano più dei bambini ma persone ben costruite e formate caratterialmente non accettavano più una famiglia così problematica.
D’altra parte era naturale che andassero via, che trovassero la loro strada per essere felici. Ma non era questo che addolorava Nunzia, era il modo con cui dicevano di volersene andare, quasi a voler rinnegare tutto ciò che era stato. Le lacrime scivolano piano, indugiando sui solchi che il tempo aveva inesorabilmente lasciato e si mescolavano all’acqua salata che le portava lontano. Aveva donato tutta la sua vita, come era giusto che sia, a quei figli che ora non vedevano l’ora di abbandonarla. Ecco… si sentiva tradita e abbandonata. Restò sulla riva quasi fino all’imbrunire, una piccola imbarcazione scivolava lentamente sulle acque placide, portandola lontana. Nunzia in quel momento desiderò di esserci a bordo e di fuggire anche lei, forse pensava che se fosse sparita per un po’ si sarebbero accorti della sua mancanza e di non poter fare a meno del suo grande amore. Uscire di scena ecco quello che ci voleva, lasciarli da soli a sbrigare tutte le loro esigenze, dalle cose di tutti i giorni, come prepararsi da mangiare, lavare e tutto il resto. Perché egoisticamente volevano andarsene ma non potevano fare a meno di lei in tutto.
Ma forse con il cuore di mamma si illudeva, infatti come si dice: ”A questo mondo tutti siamo utili ma nessuno è indispensabile…
Aveva spento il cellulare dopo aver litigato per l’ennesima volta con Emanuele, il suo ultimo figlio sedicenne, già l’età la dice lunga sulle sue problematiche adolescenziali, ma Nunzia a dispetto degli altri figli che avevano già superato quel momento tormentato, trovava maggiori difficoltà a comprenderlo. Si era chiuso a riccio , innalzando un muro fra lui e il resto della famiglia, il suo mondo erano gli amici, i social e le ragazze, fino a qui sembra tutto normale o meglio è ciò che fanno la maggior parte dei ragazzi ma in lui c’era qualcosa di più, una ribellione verso tutto quello che rappresentava la sua vita fino a quel momento.
Quindi gli affetti più cari, come i suoi genitori e il resto della famiglia, si era estraniato costruendosi un suo mondo in cui difficilmente era permesso entrare. Nunzia soffriva terribilmente per questo, loro due avevano avuto un rapporto speciale, erano vissuti quasi in simbiosi, amava quel ragazzo dal viso dolce e dagli occhi tristi. Avevano sofferto molto insieme e lui era stato sempre molto affettuoso nei suoi confronti e poi il cambiamento così drastico e il distacco ogni giorno più profondo. Ma nonostante ciò lei cercava in tutti i modi di lasciare un varco aperto e con il suo amore provava ad entrare nel suo cuore apparentemente indifferente agli altri. Sapeva che se avesse usato le maniere forti come delle costrizioni avrebbe avuto l’effetto contrario e rischiare di perderlo per sempre.
Iniziava a fare freddo e inoltre era comparsa una fitta nebbia, doveva decidersi a tornare a casa, sicuramente si sarebbero chiesti che fine avesse fatto e perché la cena non era pronta come sempre. Lei immancabilmente presente per i loro bisogni, annientando se stessa e i propri sogni. Un cane le si avvicinò annusandola e lei che di solito aveva una paura immotivata per gli animali, non si mosse restò a guardarlo, i loro occhi si incrociarono e forse anche le loro solitudini. Nunzia pensò che avevano molto in comune, soli e abbandonati a se stessi, il cane non se ne andò e restò lì al suo fianco. Nunzia gli disse: ”Non credo che saresti felice con me…”
Detto questo s’incamminò lungo il molo, la gente passava frettolosamente, ognuno preso dalle proprie ansie e non badavano a quella donna seguita da un cane, che invece non aveva fretta di ritornare a casa.
Avrebbe dovuto riaccendere il cellulare anche per tranquillizzarli ma una vocina dispettosa le consigliava di lasciarli sulle spine ancora per un po’, se lo meritavano. Così non lo fece, anzi quasi inconsciamente entrò nella stazione, che si trovava poco distante da casa, le era sempre piaciuto vedere i treni passare e i viaggiatori che diventavano fantasmi lungo i binari della loro vita. Si sedette su una panchina e guardava distrattamente gli arrivi e le partenze, pensava che sarebbe stato facile salire su un treno qualsiasi, per un posto qualsiasi, l’importante era allontanarsi da lì e da quella famiglia così indifferente a ciò che lei pensava e a ciò che desiderava. Ma mentre razionalmente sapeva che forse era la giusta soluzione per poter nuovamente riappropriarsi della sua identità dall’altra parte il solo pensiero di non rivederli più la faceva stare male, un dolore talmente forte da toglierle il respiro. Può una donna che ha fatto principalmente la mamma liberarsi da questo ruolo che ne ha fatto il perno della sua vita? Questo era quello che Nunzia si domandava insistentemente senza sapersi dare una risposta, o meglio la conosceva benissimo ma la sua mente cercava un debole appiglio a cui aggrapparsi per non cadere in un baratro ancora più profondo.
La pioggia arrivò all’improvviso violenta e allagò in breve tempo il marciapiede della stazione, Nunzia trovò riparo nella piccola sala d’attesa. Il cane l’aveva seguita anche lì dentro e si era accucciato accanto a lei. Guardò l’ora e si accorse che era veramente tardi, iniziava a farsi buio e le prime luci dei lampioni s’infiltravano a fatica nella nebbia. Doveva decidersi su cosa volesse veramente fare, mentre era combattuta fra il suo desiderio di sparire e quello di ritornare a casa si aprì la porta ed entrò una donna, era una barbona che si apprestava a passare la notte nella stazione. Nunzia si sentiva a disagio lei ben vestita al contrario della donna coperta di stracci e di carta per ripararsi in quale modo dal freddo. Questa sentendosi osservata le si rivolse con astio dicendo: ” Beh non hai mai visto una stracciona?” Nunzia abbassò lo sguardo mortificata e rispose: ” Mi scusi non volevo infastidirla stavo solo pensando che anche così vestita sentirà freddo.”
La donna rispose ancora più alterata:” Di cosa ti impicci? Forse mi vuoi dare il tuo cappotto?” Nunzia senza rifletterci su, se lo tolse e lo porse alla barbona, la quale restò a fissarla spiazzata, voleva provocarla ed invece aveva ottenuto l’effetto contrario. Nunzia tendeva il cappotto dicendo:” Allora lo vuoi si o no?” A quel punto la donna quasi glielo strappò dalle mani e fuggì via. Quell’incontro sconvolse Nunzia , si immaginò lei fra qualche anno abbruttita e ostile verso il mondo, senza affetti e senza domani. Era ora di fare ritorno a casa, accese il cellulare che non smise di ricevere messaggi ma lei non li lesse, aveva fretta di rivedere la sua famiglia. Intanto il cane non aveva nessuna intenzione di andarsene e a quel punto Nunzia gli disse: ” Va bene ti porterò con me, sarai il mio nuovo amico.”
S’avviò lungo il viale di siepe d’acero, in fondo vedeva la casa illuminata e alcune auto parcheggiate in giardino, segno che erano tutti a casa. Con la mano tremante infilò la chiave nella serratura, le voci che prima aveva sentito concitate avevano smesso di parlare. Loro erano lì spaventati e preoccupati, appena la videro l’accerchiarono dicendole: ”Ma dov’eri finita? Ti abbiamo cercato dappertutto, e il tuo cappotto che fine ha fatto?”
Nunzia con il groppo in gola rispose:” Ma possibile che non posso avere del tempo da dedicare a me… ho fatto solo una passeggiata più lunga.”
Emanuele la guardò con aria sufficiente e le disse:” Si certo, una passeggiata sotto la pioggia, e detto questo le si avvicinò dandole un bacio.” Nunzia si sfiorò la guancia pensando a quel bacio, da quanto tempo il figlio non si avvicinava più a lei…era un miracolo.
Quella notte fu più serena delle altre, l’indomani tutto ricominciò come sempre, le solite richieste dei figli e del marito:” Mamma mi stiri la camicia? Mamma vai in farmacia e poi per pranzo preparami il pesce, lo sai che sono in dieta… Mamma mi accompagni in paese, Nunzia se hai tempo sistema il mio studio e così via…
Nunzia sorrise pensando che se aveva commesso degli errori come mamma, era in un certo senso giustificata, in quanto non si nasce genitori e sicuramente farlo è il mestiere più complicato che ci sia.
E poi, dopotutto quella famiglia così ingombrante era tutta la sua vita e che mai avrebbe potuto vivere senza.



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Racconto scritto il 25/03/2018 - 18:46
Da Anna Rossi
Letta n.956 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Grazie amici autori per il vostro apprezzamento un saluto a Grazia, Antonio e Paola

Anna Rossi 27/03/2018 - 06:03

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Un bellissimo racconto svolto con maestria e molto profondo.

Antonio Girardi 26/03/2018 - 23:01

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Racconto scorrevole, introspettivo, vero, in cui ho apprezzato la caratterizzazione psicologica del personaggio, in quel determinato momento.
Bello veramente Anna!

PAOLA SALZANO 26/03/2018 - 10:47

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Nunzia...
ben descritti i suoi dubbi, le sue emozioni...
Racconto intenso e molto compreso Anna...
Brava!

Grazia Giuliani 25/03/2018 - 23:59

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