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AIKO

AIKO



Il suo nome era Aiko, con la frangetta sulla fronte e lunghi capelli neri che scivolavano sul corpicino di bimba impaurita. Giungeva da lontano, da Osaka, città giapponese affacciata sul Pacifico e guardava fissamente, con i particolari occhi a mandorla, la persona che le stava davanti, stringendo fortemente le gambe del giovane tutor che l’aveva accompagnata dall’aereo fino al salone degli arrivi dell’aeroporto di Linate. Non voleva andare dalla signora che le stava innanzi, una donna magra, con i capelli corti e biondi che le sorrideva, ma che per lei era una perfetta sconosciuta.
Le assistenti sociali le avevano detto che si trattava di sua zia Anna, vedova di suo zio Jou, morto di recente, che aveva ottenuto il suo affidamento e si sarebbe presa cura di lei.
Ma la piccola Aiko non riusciva ad accettare nessuno, voleva soltanto i suoi genitori, morti a causa di un brutto incidente stradale, a cui lei era sopravvissuta perché in quel terribile momento, si trovava a scuola. La loro perdita aveva scavato nella bambina un dolore troppo grande per i suoi cinque anni. Aveva pianto molto e di notte incubi e sogni angosciosi tormentavano il suo sonno, spezzato da grida e lamenti. Poi rivedeva in immagini sfuocate i genitori, le sembrava di sentire la carezza consolatoria della madre e la voce del padre che le raccontava fiabe prima di dormire , regalandole in ogni occasione piccole dosi di una saggezza antica. Le tornavano in mente le sue parole mentre le diceva che piangere non serve, che bisogna trovare la forza dentro di noi per affrontare le tempeste della vita e che le persone che amiamo vivono in eterno nei nostri cuori.
Adesso Aiko guardava con ostilità Anna: viva, elegante e con i capelli corti, mentre ricambiava la fissità di quello sguardo e le parlava, nel poco giapponese che conosceva grazie al marito:
- Aiko, finalmente sei arrivata. - le disse la donna con timidezza.
Poi, vista l’immobilità della bambina, Anna, accovacciandosi sulle gambe per essere alla sua altezza, continuò:
- Vieni, andiamo a Milano, nella nostra casa -
- Non è casa mia- rispose imbronciata Aiko, battendo il piedino sul pavimento.
- Da oggi è anche tua – Rispose Anna, cercando di accarezzarle la testina
Lentamente la bambina liberò dalla stretta il tutor e offrì la mano alla zia. Il giovane profittò per salutare ed allontanarsi e finalmente zia e nipote si incamminarono verso la macchina.


Durante il tragitto Aiko si chiuse a riccio in un triste silenzio che Anna rispettò. Sapeva che occorreva tempo e pazienza per conquistare la sua fiducia e il suo affetto, ben consapevole che non avrebbe mai potuto sostituire i suoi cari. Il dolore che la piccola provava era troppo forte, e poi lasciava la città dove fino a quel momento era vissuta, per giungere in un luogo sconosciuto tra gente mai vista. Come non capirla?
La strada era avvolta da una nebbia fitta in cui Anna procedeva lentamente con la vettura, ma avvicinandosi in città, quel velo impenetrabile iniziò a diradarsi fino a scomparire. La città si svegliava con il suo movimento quotidiano e veloce di macchine, tram, persone che si recavano al lavoro. Raggiunsero infine una grande arteria stradale che portava verso lo stadio di San Siro, dove Anna viveva in una villetta poco distante dall’azienda di prodotti per l’elettronica che aveva impiantato col marito. Era per quel lavoro che si erano conosciuti in una fiera. Lui giapponese, esperto conoscitore dell’elettronica e delle tecnologie più avanzate, lei manager di una importante azienda. Due mondi opposti che si incontravano e si integravano. Non si erano più lasciati e in breve avevano messo in piedi un piccolo stabilimento, presto affermato nel mercato. Tutto sembrava perfetto, ma ciò che è bello, a volte, è destinato a non durare a lungo. Un brutto giorno un improvviso infarto si portò via la vita di Jou, lasciandola sola e triste.
Anna aveva saputo del dramma avvenuto in Giappone nella famiglia del cognato della piccola Aiko, rimasta senza i genitori e consegnata ai centri sociali. Senza pensarci un secondo, si era attivata per ottenere l’ affido. Si trattava di sua nipote, l’unico legame che la collegava ancora con il suo amato marito e con la sua famiglia. Ora che la bambina era con sé sapeva che le avrebbe trasformato la vita e avrebbe colmato un vuoto che non sopportava più.
Anna si rese libera qualche giorno, affidando il lavoro al suo gruppo di collaboratori per dedicarsi interamente a lei e aiutarla ad adattarsi a quella nuova vita, a strapparle un sorriso che ancora non si vedeva, a farle aprire le braccia per raccogliere il suo affetto. La portò in giro per la città, a vedere il Duomo con le sue guglie, al parco e nei negozi più belli a fare acquisti, ma nulla scalfiva quella difensiva simile ad una corazza, quasi una maschera di cera inanimata, chiusa ed ostile.
I giorni trascorsero e Aiko iniziò a frequentare l’asilo più vicino agli uffici dell’azienda con aria rassegnata e con quella ritrosia che ormai faceva disperare Anna, che non sapeva più cosa fare per ridare ad Aiko la serenità perduta.
Un giorno, dopo averla fatta sedere accanto a sé sulla panchina del giardino decise di parlarle:
- Aiko, io so che soffri per la perdita dei tuoi genitori, come so anche che non potrò mai e non vorrò mai sostituirmi ad essi. Erano giovani e splendidi e sono sicura che da lassù veglieranno sempre su dite e ti saranno sempre vicini. Però Aiko sono sicura che da lassù non vogliono più vedere il tuo faccino triste, il tuo cuore ferito, il tuo eterno silenzio. Essi vogliono che tu viva, perché mettendoti al mondo è la vita che ti hanno donato e adesso bisogna ricominciare. Io ti sono vicina come zia o amica o sorella molto più grande, fai tu, ma devi tenere a mente che farò sempre tutto quello che potrò per te e che ti voglio bene. Io ci sarò sempre per te – Concluse Anna
Aiko aveva ascoltato quelle parole come sapeva fare lei, guardandola con i suoi misteriosi occhi a mandorla, ma che in quel momento si erano riempiti di lacrime. Poi in un sussurro disse:
-Si Anna, anche io ti voglio bene. - e a questa frase si abbracciarono e caricate di nuovo entusiasmo progettarono di trascorrere alcuni giorni al Lago di Garda.
Anna camminava verso la macchina, posteggiata poco vicina allo stabilimento. Non si accorse subito di quel piccolo cucciolo, color miele che le trotterellava dietro. Poi se lo trovò davanti, col musetto in su, mentre emetteva piccoli lamenti. L o carezzò e improvvisamente le sembrò un dono del cielo.
- E tu chi sei? Ti sei perduto o ti ti hanno abbandonato? Vieni qui – disse prendendolo in braccio. Seguirono pulizia e controlli dal veterinario per iniziare le cure necessarie.
- Si tratta di un maschio, incrocio labrador, futura taglia media. E’ un po denutrito ma sta bene. Occorre solo sverminarlo e vaccinarlo – Spiegò il medico trascrivendo tutto in un libretto da custodire gelosamente. Ripulito, con un grazioso collarino azzurro e un guinzaglio dello stesso colore, Anna lo portò a casa, dove avrebbe sistemato un angolo del giardino tutto per lui con cuccia, ciotole di cibo e di acqua e giochi. Sarebbe stata una novità per Aiko, ma le sarebbe piaciuta? Tornate dalla scuola Anna suggerì alla bambina di andare in giardino dove c’era una sorpresa per lei. Aiko corse subito fuori e vederlo ed emettere finalmente piccole grida di gioia furono la conferma per Anna che aveva fatto la scelta giusta.
- Anna è bellissimo, ma è mio? - lo aveva già in braccio quel cucciolo color miele che scodinzolava e che mostrava già di essere impaziente di giocare con lei.
- Certo , sarà il tuo piccolo amico, ma dobbiamo dargli un nome-
Aiko divenne un attimo pensosa poi con un meraviglioso sorriso esclamo:
- Lo chiameremo Tom, che te ne pare?
- E’ un bellissimo nome. Però dobbiamo aver cura di lui , d’accordo?
- Certo!! Tom vieni andiamo a giocare – e correndo entrambi, andarono fuori.


Quella piccola creatura, con la sua presenza e con l’affetto che già comunicava, leniva la tristezza e riportava Aiko alla vita, anzi divennero inseparabili e da quel momento Aiko si trasformò nella meravigliosa bambina che era.
Camminavano una domenica mattina nel vialetto di ghiaia del giardino, Aiko e Tom che saltellavano e giocavano con la palla, mentre Anna poco distante, stava a guardarli estasiata, finalmente serena anche lei. Era tornata la gioia.
Due grandi farfalle con movimenti simili ad una danza, volteggiavano sopra un cespuglio di fiori, per posarsi sopra di esso, come se volessero riposare. Poi attratte da altri profumi e da un vento caldo levatosi nell’aria da poco, volarono via.




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Racconto scritto il 30/10/2019 - 11:41
Da Patrizia Lo Bue
Letta n.851 volte.
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Commenti



Patrizia Lo Bue 30/10/2019 - 16:45

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Strano nel mio racconto IL MIO VIAGGIO IN GIAPPONE si chiamava AIKA QUINDI DEDUCO SCHE SIA LA SORELLA

Francesco Cau 30/10/2019 - 16:18

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