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TRA TERRA E MARE

TRA TERRA E MARE


Nascosta tra numerose piante di fico d’india, in una campagna incolta, nei pressi di Menfi, la vecchia abitazione di Samuele, sembra ormai destinata alla rovina. L’uomo aveva vissuto molti anni in America per inseguire la fortuna e per sfuggire dalle proprie sconfitte. Raggiunto un certo benessere, il gioco e l’alcool lo portano al declino finanziario. Tornato in Sicilia, cerca rifugio nella sua vecchia casa vicina al mare, ma deve fare i conti col suo passato e con le sue sconfitte. Sarà Linda, una pittrice inglese che gli farà ritrovare fiducia in sé stesso e l’amore per la vita.



Si sviluppavano basse, scompostamente, articolate in braccia costituite da pale ricoperte da spine, numerose spine pungenti e poste quasi in una difensiva di guerra. Crescevano selvagge tra rocce, muretti in pietra, rovi e sterpaglie in quell’agro collinare, abbandonato e arso da un sole accecante che splendeva implacabile in un cielo blu privo di nuvole, grovigli di pale verdi resistenti a tutto, cresciute senza un ordine preciso. In fondo al viottolo acciottolato si trovava la casa, una vecchia abitazione lasciata sola molti anni, nel silenzio di quelle terre abbandonate, tra carrubi e olivi e alle intemperie di una natura poco clemente. Nella facciata in pietra dell’abitazione si aprivano due grandi finestre e il portone in legno scuro, ormai logoro, divideva in due metà simmetriche il prospetto di entrata.
Quella mattina, una come tante, il sole sorgendo, illuminò con la sua luce anche quella piccola terra a ridosso del mare, accendendo il colore giallo delle erbe secche e il verde cupo dei fichi d’india che preparavano tra spine e arbusti, pale e rovi, coloratissimi e gustosi frutti.
Il portone si aprì cigolando per la ruggine e uscì un uomo, di circa cinquantanni, alto quanto il portone e trascurato come l’ambiente che lo circondava. Come ogni mattina si recava sulla spiaggia a fare finta di pescare, in realtà stava lì ad ammirare il mare e a pensare, a ricordare, a ritrovare una identità che era stata cancellata e recuperare una memoria che potesse colmare il vuoto che si trascinava dentro da troppi anni.
Percorse un viottolo ricoperto di ciottoli e terriccio che conduceva alla spiaggia,un lembo di sabbia gialla solitamente deserta o praticata da poche persone che come lui cercavano tranquillità.
Rivedeva sé stesso vent’anni prima mentre partiva per l’ America, una fuga da quei luoghi dove il lavoro scarseggiava e in fuga da un padre tirannico e una madre inesistente.
- Sei un buono a nulla, un incapace! - era la frase che quel padre ignorante e maligno non faceva che ripetergli. Le vessazioni erano talmente tante che avevano finito per fargli pensare di essere sbagliato, inaffidabile, stupido. Fuggiva via da sé stesso e da quei luoghi di disperazione, di arretratezza, di prevaricazione.
Erano stati anni vivaci a New York, in una giungla umana multietnica e sconosciuta si era battuto per farsi strada, per trovare denaro con tutti i modi e con sotterfugi che aveva subito imparato, con imbrogli e intrallazzi. Era ricco e viveva in una bella casa, ma un senso di scontento lo tormentava, rendendolo irrequieto. Non riusciva ad avere una relazione stabile, pur essendo circondato da donne, frequentava locali notturni, bevendo e a giocando a carte per notti intere. Spendeva a piene mani e la sua fortuna lentamente aveva iniziato il declino. Si sentiva come un guscio vuoto, senza passato e senza presente e si rendeva conto che la sua fortuna era stata costruita sul nulla, senza programmi, senza contenuti, piuttosto sull’imbroglio.
Le parole del padre gli martellavano la mente specie nelle ore notturne: _ Che uomo sei?
Non sai fare nulla, sei un inetto! E sempre così. Si svegliava spesso nel cuore della notte affannato, oppresso come se gli mancasse l’aria. Si alzava e beveva fino a istupidirsi e a piombare in un sonno simile ad una morte buia e priva di pensieri.
Gli giunse la notizia della morte di suo padre, che visse, vergognandosi, come una liberazione, mentre la madre, con soldi che lui inviava, si trovava in un ricovero per anziani in totale assenza di attività mentale. Non riconosceva nessuno, necessitava di accudimento continuo ed era trasportata con la sedia a rotelle.
Samuele aveva raggiunto la ricchezza , ma aveva anche perso molto. Affrontò un periodo di terapia per superare la dipendenza dall’alcool e poi con quel poco che gli era rimasto decise di rientrare in Sicilia.
Adesso viveva nella sua vecchia casa e l’unica cosa che gli riusciva era recarsi a pescare e ammirare tramonti e stare a riflettere.
Seduto su uno scoglio in prossimità della battigia e con la lenza in mano, Samuele stava lì, simile ad un gabbiano incapace di volare e in contemplazione, senza accorgersi di una presenza silenziosa che si era avvicinata posizionando un piccolo cavalletto e una tavolozza di colori. Si trattava di una donna non più giovane, che conservava ancora una bellezza che con gli anni si era ammorbidita, donandole un fascino particolare . I lunghi capelli biondi erano stati raccolti in cima al capo e la coda scendeva attorcigliata sulle spalle. Con i grandi occhi chiari e cangianti guardava Samuele e quella lenza sempre ferma. Sorrise e poi gli chiese con accento inglese:
- Pensate che questo sia il posto giusto per prendere pesci?-
Samuele, sembrò svegliarsi dal torpore in cui era sprofondato e sorrise alla donna, rispondendo:
- Infatti non mi importa nulla di pescare, anzi se dovessi prendere un pesce lo rimetterei in mare.-
- Che significa allora?-
- Nulla, faccio finta di far qualcosa e sto qui a rilassarmi-
- Oh, capisco, scusate non volevo essere impicciona-
- Ma no, tranquilla, non mi ha disturbato- poi guardando l’attrezzatura che la donna aveva con sé, chiese- Voi invece dipingete ?-
- Si, amo molto dipingere i paesaggi marini. Trovo che in Sicilia siano splendidi, solari, in Inghilterra sono belli ma in modo diverso, tempestosi e col cielo grigio.-
Continuarono a parlare raccontando di sé con naturalezza e nacque una amicizia. Con il passare dei giorni l’amicizia si trasformò in un amore che per Samuele era una emozionante novità, poiché non lo aveva mai provato.
Linda gli raccontò del suo primo matrimonio finito e della sua fatica per ricominciare. Aveva trovato infine interesse per la pittura e adesso le sue tele erano abbastanza conosciute, senza dire che organizzava esposizioni dei suoi quadri con buoni risultati.
Un giorno Samuele la condusse nella sua casa e Linda rimase stupita da quell’abbandono.
- Ma perché é cosi ridotto questo posto? -
- E’ come me, Linda, io sono così, mio padre aveva ragione.-
- Ma cosa dici?-
L’uomo le raccontò della sua famiglia e di quel padre che trovava educativo umiliarlo continuamente.
- E’ lui che ti ha ridotto così, lui ad essere sbagliato. Ti ha ferito, ti ha distrutto psicologicamente. Ma se vuoi puoi ricominciare.
- Come?
- Intanto iniziamo a ripulire. Questo posto è meraviglioso, ma va ripulito da tutto quello che ne offusca la bellezza.-
Si misero con impegno a lavorare, iniziando dalla terra. Nella foga Samuele voleva stroncare i fico d’india , ma Linda lo fermò: - Ma no! non vedi che pianta particolare, che frutti colorati. Sono bellissimi!-
Ciò che per anni gli era sembrato brutto, guardando attraverso gli occhi di Linda, diveniva bello e interessante. In pochi giorni stanchi, ma soddisfatti ammirarono il posto ormai trasformato, poi dedicarono il loro tempo alla casa e infine anche Samuele iniziò ad avere più cura di sé stesso.
Le raccontò della sua vita vuota in America e del suo problema con l’alcool e della sua disperazione. Con gentilezza Linda lo convinse a sottoporsi a sedute di psicoterapia che diedero presto risultati positivi. Quella oppressione di dolore si allontanava per fare spazio alla speranza e alla fiducia. Aveva perso molti anni come una foglia sbattuta dal vento e adesso giunto alla soglia dei cinquantanni iniziava a vedere sé stesso, chi fosse veramente, a capire cosa realmente preferiva fare.


Linda lasciò l’appartamento che aveva preso in affitto e si trasferì da Samuele per iniziare insieme una nuova esistenza.
Con il tempo e il susseguirsi delle albe e dei tramonti, Samuele cominciò a provare pietà per quell’uomo, suo padre, che lo aveva molto tormentato e iniziò a far visita regolarmente a quella donna, quell’ombra che era stata sua madre. Andò a trovarla in Istituto insieme a Linda con una certa regolarità prendendole la mano e parlandole con gentilezza, una gentilezza che sua madre conosceva poco. In un giorno di primavera, nella grande stanza di ricevimento poco illuminata dell’istituto la donna seduta sulla sedia a rotelle e ormai avanti negli anni, devastata dalla vita e dalla malattia, guardò con attenzione suo figlio Samuele, gli sfiorò la mano e infine gli sorrise.




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Racconto scritto il 22/07/2020 - 15:55
Da Patrizia Lo Bue
Letta n.763 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Grazie Maria Luisa! Mi commuovi!

Patrizia Lo Bue 24/07/2020 - 16:57

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Ammirata .... scritto molto bene questo racconto dove si legge anche un bel lieto fine. Complimenti alla poetessa!

Maria Luisa Bandiera 24/07/2020 - 14:23

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Ti ringrazio molto per il commento

Patrizia Lo Bue 23/07/2020 - 09:51

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Un bellissimo racconto molto ben strutturato, come al solito, in cui per Samuele vi è una sorta di riconciliazione con la propria esistenza passata. Come è giusto che sia. Brava!

Afrodite T 23/07/2020 - 09:16

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