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Tyrannosaurus Rex

Rex Hauser uscì di prigione alle dieci in punto della prima mattina di febbraio. Aveva passato sei mesi dentro per un pestaggio ai danni di un cittadino. Il suo viso era leggermente scavato ma la sua stazza da wrestler che lo distingueva era intatta. L'avevano soprannominato " Tyrannosaurus ", per via della sua mole imponente. Era alto quasi due metri per centoventi chili di muscoli. Il tempo trascorso tra le sbarre lo aveva impiegato unicamente in palestra, mantenendosi in forma fino all'ultimo giorno. Aveva di poco passato la cinquantina, e l'età non gli consentiva più l'accesso ad incontri clandestini di lotta. Ogniqualvolta chiedeva di partecipare gli rispondevano che era troppo vecchio e la cosa lo mandava in bestia. Si sentiva ancora un leone ed era convinto che avrebbe potuto reggere il confronto anche contro avversari più giovani. Quella era stata la sua vita per molti anni, poi aveva deciso di reinventarsi sfruttando la sua forza e diventando un esattore per conto della "banda dei teschi".
La banda era composta da motociclisti satanici e controllava lo spaccio di droga nella città di Tucson.
Quando dovevano recuperare dei crediti in alcuni casi si affidavano a Rex, il quale riusciva ad essere molto convincente non solo a parole. La banda aveva una sede, la locanda "Skull", che si trovava in mezzo al deserto. Ufficialmente coprivano i loro affari sporchi gestendo un'officina per la riparazione e la vendita di motociclette. Tutte le sere, poi, si ritrovavano alla locanda per bere e godersi in compagnia di molte donne i frutti delle loro attività.


Quella mattina, appena uscito di prigione, Rex Hauser stava camminando verso casa quando fu raggiunto dopo pochi isolati da tre uomini della banda. Lo affiancarono sul marciapiede chiedendogli di fermarsi. Rex li guardò senza stupore, si immaginava di ricevere visite immediatamente.
I tre, vestiti di pelle nera, spensero il motore e guardarono Rex con un ghigno. Uno di loro cominciò a parlare.
"Ciao Hauser. Dove te ne vai appena uscito dalla gabbia? Fai visita a qualcuno?"
Rex dopo averli squadrati rispose.
"Sto andando a casa, dove vuoi che vada? Ho voglia di farmi una doccia e di rilassarmi. Forse mi ingollerò anche una bottiglia di whisky. In prigione non la trovi."
"E in prigione non ci sono le docce, Hauser?" I tre risero all'unisono a quella che voleva essere una battuta.
"Si che ci sono, ma ne vorrei fare un'altra se permetti, possibilmente più calda di quelle che ho fatto in questi sei mesi. È un problema per te?"
Il tizio della banda si tolse gli occhiali da sole e guardò Rex come a sfidarlo, poi disse.
"A parte queste stronzate, lo sai perché siamo qui, vero? Stasera vogliamo che vieni alla locanda a restituirci quello che ci hai preso."
Rex dopo quelle parole rispose. "E che cosa dovrei venire a fare? Cosa dovrei restituirvi?"
"Non fare lo stronzo Hauser! Lo sai che cosa hai fatto e se ci restituirai quello che è nostro, forse, potrai ancora lavorare per noi. Come se non fosse successo nulla. Hai pestato quel povero disgraziato per poter essere arrestato e startene tranquillo per un po' di tempo. Pensi che siamo stupidi? Abbiamo capito che l'hai fatto apposta, giusto poche ore dopo aver riscosso la somma che ci doveva il senatore Mccanny. Li hai tu i soldi, il senatore ci ha assicurato il giorno prima che aveva l'intera somma e che te li avrebbe dati. Non fare il furbo Hauser."
Rex, dopo quelle parole, fissò il cielo per un secondo e tornò a parlare deciso.
"Non ho preso io quei soldi, ve l'ho già detto anche in prigione. Sono andato a casa del senatore e mi ha detto che non li aveva. Non so cosa vi abbia promesso, mi ha giurato che li avrebbe recuperati nel giro di qualche giorno. Poi me sono andato incazzato. Ero furibondo perché credevo mi stesse prendendo in giro. Voi mi avevate assicurato che me li avrebbe dati ma così non è stato. Non so cos'altro dire."
"Sei un bugiardo Hauser! Tanto che il senatore è stato trovato morto poche ore dopo. Cos'è l'hai ammazzato per non farlo parlare, giusto? Per non fargli dire che ti aveva dato i soldi! Li hai nascosti da qualche parte sicuramente. Lo hanno trovato pieno di lividi in testa, tipiche lesioni inferte da un lottatore forte come sei tu. Non prenderci per il culo! Ti sei fatto dare i soldi e l'hai ucciso fingendo che non ti avesse consegnato nulla. Poi hai picchiato quel tizio per strada. Non fregarci Hauser, non ti conviene."


Rex tirò fuori un pacchetto di sigarette dai pantaloni, ne prese una e se la mise in bocca. Chiese a uno dei tre di accendergliela e dopo la prima boccata disse.
"Io voglio ancora lavorare per voi, sia chiaro. Cosa posso fare per convincervi che non li ho presi io quei soldi? Se hanno ammazzato il senatore, forse aveva altri problemi e qualcuno ha preso quei soldi."
"Non devi convincere nessuno amico mio. Noi sappiamo che li hai tu, devi solo venire stasera alla locanda e restituirli uno sopra l'altro. Ti aspettiamo alle nove in punto. Attento Hauser a non prendere una strada diversa, potrebbe costarti caro, molto caro."
I tre accesero le moto e cominciarono a sgasare creando una nuvola grigia tutt'intorno.
"Hauser, un'ultima cosa. Il fumo può uccidere."
Dopo quelle parole i tre motociclisti sgommarono via lasciando strisce sull'asfalto.
Rex restò fermo a guardare mentre si allontanavano pensando alla serata che lo attendeva.


Arrivato nel suo appartamento si guardò in giro. Tutto era in ordine proprio come lo aveva lasciato. Aprì le finestre per far entrare il sole del mattino e un po' di aria fresca. Nel frigorifero trovò alcuni avanzi marciti da sei mesi e una confezione di birra ancora intatta. Ne prese una trangugiandola in un unico sorso poi andò a stendersi sul letto ancora disfatto. Prese la foto sul comodino, un ritratto di sua figlia appena compiuti i diciott'anni e la fissò per qualche minuto. Si addormentò con la foto in mano e si svegliò dopo circa un'ora. Stordito ancora dal sonno andò in bagno, si tolse i vestiti e si infilò nella doccia.
Rex Hauser aveva sul corpo numerose cicatrici, ricordi degli incontri clandestini. Ma la cicatrice più grande era dentro di lui, nel cuore. Dopo la doccia si vestì e uscì per mangiare qualcosa fermandosi nella tavola calda sotto casa. Ordinò una bottiglia di whisky e una bistecca gigante continuando a pensare alla banda dei teschi e all'invito nella loro locanda.


La locanda era sfavillante di luci come tutte le sere. I colori dei neon illuminavano il deserto per centinaia di metri e davano vita al paesaggio. Decine di motociclette erano parcheggiate davanti all'ingresso e alcuni membri della banda, già visibilmente ubriachi, si divertivano a sparare ai barattoli posizionati su dei cactus e scommettendo tra di loro qualche spicciolo. I più erano già all'interno, bevevano litri di birra e giocavano a biliardo circondati dalle loro donne.


Rex guardò l'orologio. Mancava un'ora all'appuntamento e si vestì in fretta con i primi abiti che trovò nell'armadio. Poi andò nel ripostiglio dove teneva la cassaforte, la aprì e tirò fuori uno zainetto e alcune armi che attaccò alla cintura. Prima di uscire prese la foto di sua figlia guardandola per qualche secondo. La vita pericolosa di Rex, prima con gli incontri clandestini poi con la banda, l'aveva convinta ad allontanarsi da lui trasferendosi in California. Studiava in qualche università ma Rex non seppe più nulla di lei. Non conosceva il suo indirizzo e gli fu intimato di non cercarla più. La madre morì molti anni prima.
Appena scese in strada trovò ad attenderlo un amico poliziotto. Gli porse lo zaino chiedendogli di rintracciare la figlia e di consegnarle il contenuto. L'agente rispose con un sorriso di intesa, poi Rex salì sulla sua Dodge blu scuro e partì in direzione del deserto.


Alle nove di sera la locanda era piena e la banda dei teschi al completo. Rex arrivò puntuale e parcheggiò la macchina vicino all'ingresso. Appena scese incrociò lo sguardo di alcuni membri, questi lo squadrarono dalla testa ai piedi con un sorriso e parlando sottovoce tra di loro. Camminò verso l'entrata del locale e non appena entrò calò il silenzio. Il brusio di pochi secondi prima si interruppe di colpo, solo le parole di una canzone di B.B. King si udivano nell'aria. Rex si diresse verso il bancone e ordinò un doppio whisky con ghiaccio. Il capo della banda, Buddy Skin, uscì da un'altra stanza e gli andò incontro salutandolo come un vecchio amico mentre gli altri membri tornarono ai loro divertimenti.
"Rex, carissimo! Allora come si sta in prigione?" Chiese Buddy appoggiandogli una mano sulla spalla.
"Uno schifo." Rispose lapidario Rex. Buddy Skin dopo aver guardato il bicchiere di whisky continuò.
"Non capisco perché fai tutto questo, Rex? Come puoi pensare di fregarci e di passarla liscia? Hai fatto qualcosa di imprudente...Però voglio che lavori ancora per noi quindi ti chiedo solo di restituirci i soldi che ti ha dato il senatore e azzereremo la questione. Capisco che a volte la tentazione di un mucchio di quattrini può accecare la mente...Ma si deve pensare sempre prima alle conseguenze quando si compiono certe azioni." Rex si girò a guardarlo, la mano di Buddy era ancora appoggiata sulla sua spalla. Si alzò dallo sgabello e chiese il permesso di andare in bagno. Buddy acconsentì e si sedette ad un tavolo insieme ad altri membri della banda. La locanda era immersa nel fumo di svariate qualità di tabacco. Una canzone di Billy Ray Cirus finì non appena Rex uscì dal bagno. Sulle note di " I'm So Lonesome I Could Cry" di Hank Williams, l'ex wrestler si portò nel centro della locanda guardandosi in giro. In una mano teneva stretto un interruttore. La Luna fuori si nascose dietro una nuvola e all'improvviso Rex cominciò a gridare contro tutti.
"Figli di puttanaaaaaaa!" Tutti si voltarono verso di lui alcuni sorpresi altri spaventati e videro Rex togliersi la giacca. Sulla cintura che indossava aveva legato chili di tritolo. Qualcuno della banda gli piombò addosso per cercare di fermarlo. Buddy Skin e altri uomini, in preda al panico, provarono a scappare verso l'uscita quando un'esplosione devastò il locale sia dentro che all'esterno creando una nuvola di fumo alta come un grattacielo. La luce fuori si spense e rimase solo il deserto nel buio naturale della sera.



Due giorni dopo, la figlia di Rex Hauser ricevette uno zaino nel suo appartamento di Los Angeles.
Non appena lo aprì il suo volto impallidì per lo stupore. Era pieno di soldi e insieme c'era un biglietto.
Lo prese e cominciò a leggere.


   Cara Elizabeth,
   lo so che non sono stato un padre perfetto e forse
nemmeno normale.
   Ti chiedo scusa per i momenti infelici che hai vissuto
nell'età in cui avevi
   più bisogno di amore e di attenzioni. La tua infanzia non
è stata di quelle
   tranquille, così ti prego di accettare questi soldi come
parziale risarcimento
   per il mio comportamento. È l'unico modo per farmi
perdonare, in parte,
   e per farti vivere spero un futuro più sereno.
   Quando leggerai questo biglietto io non ci sarò più.
   Con amore


                                                                                                     Papà
                                 


Dopo aver letto il biglietto Elizabeth iniziò a piangere con un sorriso sulle labbra.





                           Fine




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Racconto scritto il 31/01/2021 - 19:19
Da Marco Biffi
Letta n.634 volte.
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