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La piena di novembre

LA PIENA DI NOVEMBRE


L’autunno era cominciato subito con pioggia e vento. Settembre, il dolce e remissivo settembre, aveva lasciato il posto ad un ottobre rissoso e turbolento. Già ai primi giorni del mese grossi ammassi di nubi oscure avevano scaricato forti e prolungati scrosci d’acqua su tutta la vallata e subito il sonnolento torrente estivo si era trasformato – anzitempo – in un burrascoso fiume invernale.
Nel suo stretto letto erano perciò già spariti i corti e stretti sentieri estivi che pescatori e ragazzini avevano inconsapevolmente creato con i loro frequenti, e rapidi, passaggi e la piena era giunta già a lambire gli ultimi gradini della vecchia e consumata scaletta. Ma una volta toccati i poveri scalini le acque ripartivano subito veloci e schiumose, con il loro colore marrone intenso. Resistevano all’impeto solo gli ontani ed i salici, oramai abituati a tanta irruenza. Tutto il resto – implacabilmente – veniva spazzato via dalla piena burrascosa e costante.
Enzo – ripensando alla molta pioggia caduta – si era già immaginato tutto questo ma, quando finalmente si affacciò alla ringhiera della strada nuova, si rese subito conto che la fiumana questa volta aveva superato anche la sua fantasia e forse addirittura i suoi ricordi, per altro ricchi ed ancora ben chiari. Altro che ’53 o ’66, pensò quasi estasiato tra sé e sé, nel vedere quei continui vortici bianchi e marroni!
Quell’uomo – piccolo e scarno – sin da piccolo era sempre rimasto affascinato dalle piene dell’Ombrone ed ancora adesso, nonostante i suoi sessanta anni ed i suoi nipotini, in nulla era cambiato. L’irruenza di quelle acque limacciose, il loro rumore fragoroso e la desolante forza del fiume continuavano ad esaltarlo come cinquanta anni prima. E come allora riusciva ancora a fare suo quel potere immenso e devastante, tanto che al cospetto di così tanta natura rimaneva estasiato e senza parole.
Anche quella mattina Enzo, come ipnotizzato, osservò a fondo il maestoso spettacolo con le acque che, irruenti, scendevano cozzando contro rocce ed alberi e si trasformavano in schiuma evanescente, con schizzi che quasi lo raggiungevano. E quel rumore continuo gli entrò come sempre subito dentro la testa: quel grosso sciacquio ed il frusciare penoso delle fronde dei rovi e degli ontani gli penetrarono dentro sin nell’angolo più recondito del suo cervello, annullando automaticamente qualsiasi altro suo pensiero.
Era questo, per Enzo, uno di quei momenti magici in cui riusciva ad identificarsi totalmente con la natura, anche se – in quell’istante – si trattava di natura devastante e distruttiva.
Enzo stette lì, appoggiato con i gomiti su quella ringhiera d’alluminio forse una mezz’ora, o almeno sin quando nuove nubi cominciarono a riversare ancora pioggia sul paese. Solo allora riprese – veloce – i passi di casa.
“Dove sei stato, che sei tutto bagnato” subito lo assalì la moglie appena lo sentì mettere piede in casa.
“Mi ha sorpreso l’acqua mentre tornavo a casa dal bar” rispose l’uomo noiosamente e con voce atonale.
La donna, che invece ben conosceva le “assurde” manie dell’uomo – così lei le aveva sempre chiamate -, capì subito che la sua era la solita bugia e quindi, come suo solito, continuò nell’aggressione.
“Scommetto che sei stato al fiume per vedere la piena?” disse lei con voce ironica.
“Povero scemo -. continuò inflessibile – ma non ti vergogni? Ma quando ti deciderai a cambiare? Quando sarai nella tomba?”
Enzo non mosse foglia. Oramai non faceva più caso alle ripetute offese della donna. Da quando si erano sposati, più di trentacinque anni prima, qualsiasi cosa lui avesse fatto, lei aveva avuto sempre qualcosa da ridire. Ma lui sapeva anche che quella della donna in fondo non era cattiveria e che anzi il suo atteggiamento poteva essere inteso quasi come un segno d’affetto. Restava comunque il fatto che, appena lui si dedicava alle sue innocue passioni, lei aveva avuto puntualmente da ridire. Che andasse – in primavera – sulla collina a raccogliere erbe medicinali o solo a parlare con piante e sassi o che scendesse – in estate – nel fiume a cercare more di rovo o bisce, o che – d’inverno – osservasse estasiato un' improvvisa nevicata.
Per la moglie tutte quelle manie apparivano ridicole ed assurde. Per lei, donna forte e pragmatica, quelle lunghe passeggiate erano solo tempo perso.
“Faresti meglio a stare in casa a fare qualcosa di utile” usava dirgli i primi anni di matrimonio. Ma poi, quando con il tempo ed il vivere in comune, aveva capito che l’uomo non era portato per quel genere d'attività, lasciò perdere e si limitò solo a tormentarlo con i suoi continui ritornelli.
Enzo quindi, sia per il quieto vivere, sia perché era sicuro che quelle parole – apparentemente dure – erano diventate solo una consuetudine nella donna, non la stava nemmeno più a sentire. Ed anzi, un giorno aveva pensato pure che se lei si fosse stancata di brontolarlo, lui avrebbe sentito la mancanza di quella voce forte e corposa. Di riscontro anche lei forse aveva capito che quando era il momento, lui doveva partire. Che quando la collina od il fiume lo chiamavano lui doveva andare e dimenticare così tutto il resto. Ma se forse aveva capito che il marito “doveva andare”, non aveva ancora capito – dopo 35 anni! – perché lui era costretto ad andare! Ed era questo un tarlo che, negli ultimi tempi, aveva preso a rodere la sua mente.
Quella sera comunque la donna la fece meno lunga del solito, tanto che ad Enzo la cosa apparve subito strana. Ed anche durante la cena, dove solitamente la donna continuava tra un piatto e l’altro a bombardarlo con le sue litanie, la moglie non aprì bocca. Mangiò in silenzio, quasi mestamente, come se il suo cervello stesse attraversando strane nebbie ed esangui paludi.
Enzo la osservò preoccupato. Aveva, infatti, notato nel suo sguardo un qualcosa di vago, una espressione troppo pensierosa, addirittura enigmatica.
“Chissà a cosa starà pensando” si domandò. Ma la domanda rimase solo nella sua mente, come erano sempre rimaste nella sua mente tante altre parole.
Enzo aveva sempre parlato poco, ed anche nei rapporti con la moglie il silenzio era stata sempre l’unica voce. Eppure, non sapeva nemmeno lui come e perché, c’era sempre stato tra loro due un qualcosa di strano, un qualcosa che li univa in maniera in equivoca, quasi che quel loro silenzio non fosse altro il silenzio di due complici, magari custodi di un segreto tremendo e tragico.
La colpa di tanto silenzio comunque era stata forse proprio dell’uomo. Con la sua mente continuamente rivolta altrove aveva lasciato la moglie sola con se stessa, relegandola in casa, tra pulizie e figli da crescere. Compiti che la donna aveva svolto, pur brontolando continuamente, con diligenza ed amore.
Ma poi i figli – tutta la sua vita reale – si erano sposati e loro erano rimasti soli. Ma se Enzo continuava la sua vita di sempre e riempiva le sue ore con i suoi pensieri e le sue passeggiate, la donna era sempre più desolatamente sola. Terminati, infatti, i pochi lavori domestici, non le rimaneva altro da fare. Il lavoro di casa, che sino a poco tempo prima l’aveva totalmente assorbita, non le aveva permesso il nascere di un qualsiasi interesse, e così passava le sue ore in solitudine e senza fare niente, riuscendo solo ad innervosirsi sempre di più. Tanto che quella situazione, con il tempo, aveva iniziato a minare la sua mente. E così quelle che un tempo, quelle del marito erano per lei “stupide manie” o “perdita di tempo”, si stavano trasformando per la donna in paranoia. E mentre, soprattutto negli ultimi due anni, d’inverno, lui osservava dalla finestra i caldi fiocchi di neve scendere silenziosi o solamente la pioggia, lei restava ancora una volta sola a rodersi l’anima ed a domandarsi estenuanti perché.
Ripensando anche a ciò, o forse solo uscendo per un momento dai quei pensieri totalizzanti, Enzo si rese conto, drammaticamente, che sua moglie già da qualche mese si stava comportando stranamente. Infatti, dopo essersi velocemente sfogata, si rinchiudeva in un mutismo eccessivamente prolungato e quindi sospetto.
Quella sera però all’uomo nacque un altro pensiero. Un dolce pensiero. Un pensiero che prima di allora non lo aveva mai preso. Pensò di dover fare assolutamente qualcosa per andare incontro a quella donna, che, insomma!, avrebbe dovuto dirle una parolina dolce, magari “ti voglio bene”. Ma ancora una volta i suoi pensieri restarono nella sua mente e dalla sua bocca non uscirono parole.
Anche la donna, nei suoi lunghi silenzi, pensava questa cose. Pensava ai tanti anni passati assieme a quell’uomo ed al fatto che non era mai riuscita a capirlo. Ma anche che gli aveva in fondo voluto ugualmente bene e che gliene voleva tuttora. Erano solo quelle sue maledette manie che non riusciva a capire! Eppure si era sforzata, aveva pensato e ripensato, ma non era riuscita ad approdare a niente.
Ma anche i pensieri quella sera furono sorpresi dalla notte ed ambedue si ritrovarono, come due estranei, come sempre nello stesso letto.
Durante la notte la pioggia continuò incessante ed il rumore del fiume arrivò sino alle case della strada vecchia. Solo verso l’alba ci fu un attimo di tregua. E fu proprio allora che la donna uscì da casa, mentre il marito dormiva ancora.
La strada del paese era ancora bagnata e le finestre delle case erano ancora tutte chiuse. Con la mente rivolta ancora ai pensieri della notte precedente, la donna decise di mettere in pratica un'idea che le era nata in quella notte passata insonne.
“Perché non posso provare a fare anche io quello che di solito fa lui e che non ho mai provato a fare? – aveva pensato – Forse così potrei capire il senso di tutto ciò e mi metterei finalmente l’anima in pace.
Attraversò la strada ancora bagnata mentre tutte le finestre dormivano ancora. Passò sotto la stretta volta e si ritrovò sulla strada nuova. Santa Maria delle Grazie, su in alto, era invisibile. Le nubi avevano mangiato il monte e stavano scendendo in basso. Si vedeva bene che lassù pioveva ancora a dirotto! Passò anche la strada nuova senza quasi rendersene conto ed in un momento si trovò sulle scalette.
Il fiume sotto ruggiva rabbiosamente. Le acque avevano mangiato altri gradini e lo spettacolo era diventato veramente grandioso. Sembrava che tutta la vallata dovesse essere ingoiata da quella furia. La donna osservò meravigliata tutto ciò ed all’improvviso fu presa da un forte tremito interno. Il silenzio del paese, il rumore devastante del fiume avevano totalmente annullato la sua mente. Il cielo, le nubi, le finestre, le colline, gli ontani e la stessa ringhiera erano diventate improvvisamente cose vive, che le si muovevano intorno, che le parlavano, che la chiamavano mentre lei non riusciva a fare più niente, con la mente vuota ed il corpo immobile.
Fu quella una sensazione incredibile, che per un attimo la portò in un mondo diverso e lontano, un mondo che lei non aveva mai visto e neppure immaginato. Ma fu solo un attimo. Subito dopo ritornò la realtà ed ogni cosa tornò ad essere immobile e cupa. Solo il fiume continuava il suo fragore.
Quell’istante però le aveva, d’improvviso, aperto orizzonti fino a quel momento a lei sconosciuti. Parlare alle nubi, ascoltare i veloci sussurri del vento, sospirare con il frusciare degli ontani era stato incredibilmente bello e nuovo. Ed aveva subito pensato che se in quell’autunno strano parlavano il vento e gli ontani, in inverno anche la neve avrebbe – lentamente – raccontato il suo viaggio e perfino i fiori della primavera avrebbero bisbigliato con lei e con le farfalle.
Tutto questo fu per lei doppiamente sconvolgente. Pensò anche che dal quel momento in poi tutto sarebbe cambiato anche per lei e che avrebbe potuto parlare insieme al marito con sassi e castagni, con le lucertole ed i garofani selvatici.
Ma proprio in quel momento ritornarono di nuovo quelle voci. Ed in un turbinio di suoni ognuno parlava la sua lingua e lei, come magia, comprendeva la lingua di tutti. Solo quella del fiume era una voce diversa. Si ergeva su tutto, grossa e roboante, e le sue parole si perdevano, oscure, nell’aria. E la donna non capiva bene cosa il fiume le stesse dicendo, però era felice come una bambina, come non lo era mai stata.
Con il sorriso sulla bocca scese un gradino e poi un altro ancora. L’acqua adesso le scalfiva i piedi. E parlava, parlava, parlava quell’acqua. E finalmente, piano piano, riuscì anche a capire le sue parole. Parole dolci e paurose. Parlava e chiamava quell’acqua!
La donna allora alzò gli occhi verso gli ontani e sorrise alle piante sempre più provate dalla piena. Ed i suoi occhi affidarono a loro un messaggio. Poi le salutò, fece un altro passo in avanti e l’acqua la prese per sempre!


Quella mattina l’uomo non si svegliò e non si svegliò nemmeno nei giorni appresso. Nel sogno gli ontani gli avevano lasciato un messaggio e, d’accordo con loro, aveva deciso di andarla a cercare su, tra le nubi, con le quali adesso ambedue potevano parlare.




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Racconto scritto il 18/03/2021 - 21:44
Da claudio galigani
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