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Raccontami di quando ancora sorridevi

Quando facendo ritorno dalla chiesa
sorriderai forse senza motivo per un
pensiero che ti solletica nella memoria,
e ti sorprenderai di poter scrivere una volta
ancora la trama e con essa il finale, scegli la
speranza e raccontami di nuovo quella storia


nonna, parlami… parlami di Pandora.


Sostando dal poggiolo sul prato rinverdito
dalla pioggia come sempre parlerai
agli epimèdi che solo ieri hai spostato
di vaso, aprendoti al loro profumo
e piacendoti l’idea di avere un sogno
sulla pelle che vuole essere trovato.


L’alba sul poggiolo, un’altra volta ancora.


Sulla vecchia sedia a dondolo in un angolo il diario con le storie di oltre ottant’anni di vita…


Un malato capace di fare
buona conversazione
con la morte, la pazzia d’un uomo che ha solo gettato
la maschera e il poeta che sporca il foglio di passione.
Dopo tanta fatica
trovare
la luce oltre il tunnel, un vecchio che del tramonto
ne ha fatto qualcosa che tutti si fermano a guardare
di questo è sparso il mondo.
E di pomice e la speranza di un verde cinabro spento
tra le piume di un uccellino sul fondo del vaso a
sostegno degli uomini quando prevale lo scoramento.
Di incontri mancati,
momenti lontani
fuggiti o persi… siamo fatti in fondo di quel bacio da
bambini che non siamo riusciti a trattenere tra le mani.


E di quel vaso con l’ultimo epimèdio che continua a ricordargli la storia di Epimèteo che la nonna tanto tempo fa gli raccontava tenendolo sulle ginocchia.
“Tuo nonno andando a funghi me ne portava sempre un mazzetto”. La storia ogni volta iniziava così. “Lui li chiamava cappelli del vescovo ma loro preferiscono fiori degli elfi. Devi sapere che di notte gli elfi alati raccolgono il nettare dei fiori per farne un elisir di vita eterna. Prima dell'alba, stanchi del lavoro, riposano nei fiori e se ci stai attento puoi vedere solo le loro ali. Il nonno invece quasi a primavera mi teneva tutta la sera sul poggiolo mostrandomi le lucciole. Diceva fossero le fate alla ricerca degli uomini e delle donne che potevano mostrare loro un vaso di epimèdi come segno che era trascorso un altro inverno nonostante i mali del mondo.
Quando la piccola brezza corre come te sul tappeto di fiori degli elfi e come te inciampa, nipotino mio, sembra che falene svolazzanti bianche, gialle e rosse, lilla stiano per essere raccolte dalla mano forte del vento. Come quella del nonno. Per correre ancora in favolose distanze invitandoci a seguirle. Ho sempre trovato impossibile distogliere lo sguardo”.


Il tappeto di fiori dietro la casa ricorda all’uomo col diario tra le mani quello di pizzo nella camera da letto. Da quasi dieci anni i fiori degli elfi e le fate fanno compagnia al sonno del nonno. Se ne era andato lasciando nonna con un vaso pieno di ricordi e la speranza un giorno di sentire con lui di nuovo la sottile brezza della primavera.
Pensa agli oltre cinquant’anni di raffinata passione. Guarda oltre la malattia e la vecchiaia, oltre le macchie viola e arancioni sparse su un verde pulito. Oltre la morte. Lo sguardo per un attimo torna sul vaso vuoto nel poggiolo, al cinguettio di un piccolo uccello di un cinabro spento.




(da “La mente vede quello che sceglie di vedere” -20 giugno 2021, Dominique Noir)




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Racconto scritto il 21/06/2021 - 05:36
Da Mirko D. Mastro
Letta n.516 volte.
Voto:
su 4 votanti


Commenti


Un bel racconto poetico nel tuo stile unico Mirko, in cui aleggiano belle atmosfere e profondi sentimenti.

Anna Maria Foglia 21/06/2021 - 12:08

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Un racconto come una bella fiaba da raccontare.
A me piacciono molto le fiabe perché ci ricordano gli anni spensierati della fanciullezza e par quasi ritornare indietro nel tempo.
Ed è vero si vede e si sente solo ciò che la mente sceglie di vedere e sentire. Complimenti!

Maria Luisa Bandiera 21/06/2021 - 08:12

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