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I semi dell'intelligenza

Al mercato abbiamo l'onore di avere la visita giornaliera di un personaggio che mio nonno definirebbe un “pezzo da novanta”. Credo che questo modo di dire si riferisca ai grossi calibri delle armi da sparo, come i cannoni antiaereo usati dall'esercito italiano nella seconda guerra mondiale.
Questo pezzo grosso è Edoardo Coppola, che per tutti noi è il professor Tuardo, un letterato a riposo che vive di espedienti, dovendo spendere tutta la sua pensione in affitto e medicine per la moglie malata.
La sua signora nessuno di noi l'ha mai vista, e di lei sappiamo solo quel che ci racconta il più vecchio dei mercatari del Rione Sanità, Tano Esposito, quello che vende chincaglieria e casalinghi usati. A suo dire nessuna donna più raffinata ha mai frequentato il nostro mercato; alta, portamento signorile, capelli mossi e raccolti in uno chignon alto che le conferiva un aspetto regale.
Indicava la merce da lontano, discretamente, senza mai toccarla con le mani, e non discuteva sul prezzo, anzi lasciava sempre qualche piccola mancia. Il suo fascino derivava dal bel modo di fare, dal portamento ma anche dalla sua evidente bellezza; insomma piaceva a tutti, era una donna affascinante. Forse è per quello che tutti vogliono bene al professore e fanno a gara per dargli una mano. Tutti noi gli lasciamo qualcosa, a fine giornata. E lui, proprio a quell'ora viene a fare il suo giro. La formula magica che usiamo, tutti insieme, per non far pesare quella che qualcuno potrebbe confondere per carità, è semplice. Ecco la mia:
« Buongiorno professore... serve qualcosa? », attacco io appena arriva davanti al banco con la sua vecchia borsa a carrello. Lui raccoglie l'invito, ed allora usa la frase di rito:
« Sì, in effetti vorrei una sogliola per la mia signora, ma vedo che son finite... » , dice lui, pronto come se i suoi ottant'anni fossero venti. Che siano finite le sogliole mica lo sa; ci vede poco, e i pesci non li distingue nemmeno. Ma quella è la frase che funziona, e lui non la cambia certo.
« Sì, le ho finite...peccato » dico io.
« Va bene, sarà per la prossima volta » , lui.
« Aspetti professore, mi avanzano due sardine e un nasellino, che ha la carne fine più della
sogliola », dico io con l'aria di quello che se no li butterebbe, quei pesci.
« Se avanzano... » . Allunga la mano, prende il cartoccio e lo infila nella borsa, ringraziando.
Qualche arancia con la buccia un po' rinsecchita, una mela che ha un piccolo segno, una pera troppo matura, del pane del giorno avanti...insomma in questo modo tira a campare, e nessuno si offende.
A me quest'uomo sta in simpatia, e poi mi è caro perché mi insegna un sacco di cose. A volte faccio delle gaffes storpiando i suoi detti latini, come quello che mi piace di più e che lui mi dice ogni volta che gli porgo il cartoccio di pesce: Amicus certus in re incerta cernitur. Il significato italiano lo ricordo bene, gli amici si riconoscono nel bisogno, che sarebbe poi re incerta, ma quel cernitur, da cui deriva la nostra cernita, scelta, lo dimentico spesso e allora tronco il proverbio lasciandolo senza coda, come quei poveri cani ai quali la troncano che sono ancor piccini.
Insomma, del professor Tuardo voglio raccontarvi una storia che gli è capitata mentre era sul treno Roma-Napoli, di ritorno da una visita a parenti. Lui è ghiotto di semi di zucca, quelli preparati in casa da una cugina di sua moglie, che si prende la briga di separarli dalla polpa, tostarli e salarli.
Ne aveva un sacchetto pieno e li sgranocchiava, mentre il treno procedeva nel suo cammino di ferro, come dicono i francesi. Intanto faceva le parole crociate, ma quelle difficili, di Bartezzaghi; il più bravo, a suo dire.
Seduta di fronte a lui c'è una ragazza, con l'espressione di una poco sveglia, una che mastica gomme americane aprendo e chiudendo la bocca come un mantice, e tira su col naso, di tanto in tanto.
Lei è incantata nel vedere con che abilità l'uomo completa il difficile schema, e Tuardo, per accentuare lo scherzo che ha in mente di fare, sì perché è pure burlone, anche se bonario, legge ad alta voce le definizioni....
Santo patrono di Ancona: Ciriaco...Donna in cattedra: Professoressa... Lo scandaglia lo psicanalista: Subcosciente... Le prime parole della Divina Commedia: Nelmezzodelcammin....
La ragazza lo fissa, a bocca aperta, e le scappa da dire:
« Ma come fa... le sa tutte... »
Allora lui, sornione, mentre sgranocchia i semi di zucca, fa:
« Merito dei semi dell'intelligenza, signorina bella... »
Lei si guarda in giro, come a cercar conferme, e visto che nessuno la degna di attenzione, azzarda:
« Dell'intelligenza?...ma quali, quelli che sgranocchia? »
« Certo, questi, sono i semi dei frutti dell'intelligenza. Cucurbitacee... bisogna aver testa »
« Cucù cosa?... ma me li fa provare? Ne servono molti per diventare intelligenti? »
« Signorina bella, non ne servono molti, ma sono cari. Io li pago due euro l'uno »
La ragazza rimane perplessa; fruga nel borsellino, trova una banconota da cinque euro e altri cinque di moneta. Allora, superata l'indecisione, azzarda:
« Me ne venderebbe cinque? »
Il professore acconsente e si prepara al divertimento. La ragazza mangia il primo seme e fa boccacce, poi il secondo e al terzo esclama:
« Ma sono semi di zucca, come fanno a far diventare intelligenti? »
« A me pare di sì » , risponde il professore. « L'hai capita al terzo seme, l'antifona. Ridammi gli altri due, te li pago cinque euro l'uno... e grazie per il divertimento »
Ecco, storielle come queste ne ha da vendere, ma lui è un buono e ce le regala. Così come ci regala motti latini, storie di pace e di guerra, novelle e racconti di grandi personaggi, citazioni storiche e quant'altro. Devo confessarlo: la voglia di scrivere me l'ha fatta venire lui, un giorno che mi ha detto la più bella frase che potessi sentirmi dire:
« Gennarì, per scrivere una storia non serve la penna, e nemmeno una grande intelligenza. Serve il cuore, e quello tu ce l'hai, Gennarì... »
E poi ha aggiunto:
« Se sbagli qualche verbo, o se dimentichi una virgola, fai presto a rimediare e col tempo impari. Ma se non hai niente da dire perché ti manca il cuore, allora scrivilo bene come ti pare, ma sarà sempre un bel niente ».
Che avessi un cuore che funziona bene l'ho sempre saputo, altrimenti non farei sei rampe di scala in un baleno mangiandomi tre gradini alla volta, ma quel cuore che diceva il professore è un altro: è il cuore del poeta. E allora, per trovare conferma, eccomi qui nel covo di poeti e scrittori... ai poster l'ardua sentenza, direbbe Tuardo, ma forse erano i posteri.


P.S. è un racconto postato tempo fa con l'eteronimo gennarino Ammore




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Racconto scritto il 18/10/2024 - 17:23
Da Mino Colosio
Letta n.178 volte.
Voto:
su 5 votanti


Commenti


Che sorpresa leggere di nuovo Gennarino, quanto mi sono mancati i suoi racconti, lui, sì, che aveva un cuore...che dire, grazie Giacomo, per questo bellissimo racconto. Un caro saluto ad entrambi

Margherita Pisano 19/10/2024 - 14:48

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Un simpaticissimo racconto, letto con piacere.

Maria Luisa Bandiera 19/10/2024 - 08:58

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Con vero piacere saluto l’amico Gennarino.
Era da un po’ che non lo sentivo.
E con immenso piacere ho letto il tuo racconto, che già conoscevo ma, anche la Divina Commedia si rilegge volentieri…
Ciao Giacomo

Loris Marcato 18/10/2024 - 21:43

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