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Lume di naso

Non aveva mai superato i suoi abbandoni.
Eppure era stato un bambino come gli altri, un ragazzo comune. Un uomo normale.
Ma in fondo, normale non significa niente.


Spesse volte si sentiva soffiare addosso da presenze (le chiamava angoscia e ansia) che invertivano la direzione dei pensieri a seconda… di cosa non lo capiva. Come i venti monsonici della terra del poeta bengalese Rabindranath Tagore.
Un’amica di scrittura gli aveva spedito qualche tempo prima “Nella luce di questo splendido giorno” dicendogli di leggere la poesia sulla leggerezza, così l’aveva definita. Lui la aveva stampata e messa nel taschino del blazer.
Altrettanto spesso gli pareva d’esser un uomo dei primi del ‘900, con quel profondo senso di crisi di identità personale e perdita di certezze sulla famiglia; sul proprio ruolo nella società di massa e nella frenesia della modernità.
Tutto era così caotico, tranne quando giocava a fare l’imbrattacarte.
Da quell'amica di stilo gli era giunto un pennacchio di fumo delle parole pescate dal calamaio, che si erano sparse lungo tutto il foglio che ora teneva in mano


Nella luce di questo splendido giorno/di primavera il poeta canta/di chi passa oltre e non si ferma,/correndo via senza voltarsi indietro,/di chi sboccia in un’ora di folle gioia/e, senza rimpianti, sparisce in un attimo.


L’uomo di quassopra aveva iniziato a leggere, ma non gli riusciva di sentire la musica nel vuoto; nel silenzio trovarne la bellezza. Avrebbe tanto voluto affrontare la vita con grazia… e scriveva


PRIMA PARTE -a nord dal Seveso
Un genitore è tenuto a morire, ma la sua caduta dovrebbe echeggiare come quando rovina al suolo un castagno. E non adagiarsi col vento nella valle


La carta gli soffiò tra le dita, e i righi si mostrarono nel rivolo che gli attraversava le scarpe senza bagnarle


Non sedere in silenzio a recitare/le preghiere delle tue lacrime/e dei tuoi sorrisi d’un tempo,/non raccattare, fermandoti,/i petali dispersi dei fiori, nell’ultima notte


Le aveva evidenziate la donna del foglio, ma restò fermo sul momento senza lasciarlo sparire leggero dai rimpianti. E scrisse ancora


SECONDA PARTE -a est di là dal Seveso
La famiglia è come un treno, ma se un vagone resta indietro capita che la locomotrice non si arresti e i binari non fanno che aumentare


Si fece più pesante il rigagnolo


non andare in cerca/delle cose che ti sfuggono/per capire significati segreti…


e l’uomo aggiunse rivoli di parole


TERZA PARTE -a sud ovest del Seveso
Quando i tralci si inebriano a soli nuovi, soffre a tal punto la vite da divenir sarmento


Ora la notte pareva soffiasse ricordo e nostalgia


Lascia dove sono i vuoti della tua vita,/per la musica che irrompe dal loro profondo


Nemmeno Tagore poteva riportargli ciò che era andato. Cercò di bagnare la mano al rivolo, ma sfumò come petali a un vento che smise di soffiare. Forse alcune cose esistono solo per essere perdute, stabilì a lume di naso.
Come il foglio su cui gli riuscì di scrivere ancora, solo


ALLA FINE –tra Lambro e Seveso


prima che una solitaria folata se lo prendesse, come il resto della sua vita



Negli ultimi due anni era stato solo, ma nei dodici mesi appena trascorsi aveva conosciuto la solitudine.
Nessuno dovrebbe sentirsi tanto solo.



(da Caldolana, M.D,Mastro)




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Racconto scritto il 06/07/2025 - 06:33
Da Mirko D. Mastro
Letta n.246 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Grazie...a due signore della scrittura

Mirko D. Mastro 06/07/2025 - 13:01

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Per non sentirsi mai abbandonati bisogna aver subito l'abbandono sin da quando si è nati. È sempre bello leggere i tuoi scritti che toccano l'animo di ognun che legge, strisciati su carta pergamena con penna che dell'oca fan la pelle! Questo tuo è....lo scrivere.

Anna Cenni 06/07/2025 - 11:31

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Anche se tutta da comprendere tra le sue metafore nascoste, credo d'aver compreso il vuoto della solitudine dello star da solo.
Apprezzato molto.

Maria Luisa Bandiera 06/07/2025 - 09:41

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