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Magico Autunno

Ecco l’autunno, con i suoi colori, le tenui sfumature, i profumi acri di terra e sottobosco e quelli dolci e soavi d’uva matura e di generoso mosto; l’autunno, dove la natura si veste di calde tonalità, dove le prime nebbie che si posano impalpabili sui nostri sguardi, ci riempiono l’anima di nostalgiche emozioni. Una domenica d’ottobre, mentre percorrevo l’ampio pianoro del Mottolone, fui rapito proprio da quest’avvolgente atmosfera che si stava pian piano creando. Un’atmosfera carica di umida meraviglia, di mistica ebbrezza, unita a colori e umori che catturarono i miei sensi. Giunto alla sommità del pianoro, mi fermai a osservare le velate e morbide evoluzioni di nuvole basse e lattiginose che in quel momento coprivano come un candido manto, la pianura e le vicine colline. Solo la sagoma dei monti Cero, Castello, Cecilia, Rusta, Venda, fuoriusciva imperiosa da quell’immenso oceano di latte. In lontananza, la sommità di un campanile veniva ogni tanto a galla, inghiottita dalla coltre biancastra che, mossa dal respiro del vento, la faceva poco dopo riapparire, come in un magico gioco. Nel silenzio che mi circondava, continuavo a godermi quello spettacolo che stava svolgendosi davanti ai miei occhi. Lingue di polvere bianca s’inerpicavano lentamente tra i dolci pendii di colline e monti avvolgendo in uno sfumato biancore, alberi, viti, raccolti, abitazioni, trasformando così il paesaggio in un irreale scenario metafisico. Ero appena all’inizio dell’itinerario e avevo ancora molta strada da fare, ma quel momento era così fatato e intriso di mistero che fu impossibile non fermarsi per assaporarlo. Chiusi gli occhi respirando i profumi di stagione che si spandevano nell’aria e che il vento portava a me sotto forma di delicate essenze. Ascoltavo quella sinfonia di pace che si diffondeva nell’aria come una melodiosa armonia. Nel frattempo, scattai alcune foto e feci la conoscenza di un signore che, munito di cavalletto e macchina fotografica, immortalava pure lui lo spettacolo. Dopo avergli chiesto alcuni consigli di carattere tecnico, proseguii nell’itinerario accompagnato dal rumore scrocchiante dei miei passi che calpestavano le foglie ormai ingiallite e secche. Le nuvole, intanto, si stavano lentamente diradando e lasciavano spazio a velati squarci d’azzurro. Una luce metallica, irreale, irradiava il paesaggio circostante, cambiandone l’aspetto e il colore. La bellezza arcana ed eterea, fin qui ammirata del paesaggio, s’interruppe più avanti dando spazio a lunghi tratti di umido sottobosco. Una fitta natura verde e selvaggia copriva letteralmente il cielo rendendo l’ambiente scuro e misterioso. Solo la voce tranquilla e cristallina di un ruscelletto d’acqua sorgiva, che costeggiava il sentiero, riusciva a rompere quell’oasi di pace; una voce flebile, appena accennata, quasi timorosa di disturbare il suono cadenzato dei miei passi. Ad un tratto m’accorsi che, in un punto discostato dal sentiero, vi era una tabella di legno sorretta da un paletto, con su incisa questa frase: ” Chi chel monte ghe piase, passa e tase. La vista xe bea, sta in bolla, tien le man in scarsea.”La lessi accennando a un lieve sorriso, essendo pienamente d’accordo con quanto c’era scritto. Dopo aver affrontato una salita di media pendenza, mi trovai in un tratto pianeggiante dove, a lato del sentiero, erano posti, distanziati tra di loro una decina di metri, dei punti di “meditazione” a ricordare la Via Crucis di Gesù Cristo. Una croce di legno, con attaccata un’immagine raffigurante la stazione e un piccolo rosario appeso, dava l’occasione, a chi passava, di fermarsi e dare spazio ai propri sentimenti. Ne approfittai per una breve sosta. Ripresi il cammino e, dopo alcuni metri, dove la salita si era fatta più ripida, arrivai in un punto in cui il sentiero mi dava finalmente modo di respirare, grazie alla costante discesa che portava alla bella vallata di Calto Callegaro. Costeggiando abitazioni e ampi appezzamenti di terreno, che la mano esperta dell’uomo aveva reso fertili e produttivi, mi trovai a percorrere un ampio tratto pianeggiante che attraversava coltivazioni di vigneti e ulivi. L’improvviso abbaiare di un cane, mi fece trasalire, immerso com’ero nei miei pensieri. Correndo avanti e indietro, mi accompagnò con il suo latrare per tutto il tratto di sua competenza terminando le sue rimostranze solo dopo che ebbi deviato il mio cammino verso una salitina che mi avrebbe portato sui vegri meno conosciuti del Monte Orbieso. Ripresi a salire su una pendenza meno elevata ma costante. M’inoltrai nuovamente nel sottobosco in un comodo e ampio sentiero luminoso. I raggi del sole, infatti, prendendo coraggio, iniziarono a perforare l’intricata vegetazione, mitigando l’aria e costringendomi, dopo poco, a togliermi qualche indumento. Guardai l’ora, era quasi mezzogiorno. Arrivai così, con passo sicuro e per niente stanco, a percorrere il piccolo e stretto viottolo che segnava gli aperti e ameni prati del Monte Orbieso. L’esteso panorama, leggermente offuscato da una nebbiolina autunnale che mi portava alla mente fumanti caldarroste, patate americane abbrustolite e vino novello, mi dava la possibilità di ammirare, questa volta sgombre da nubi, le principali cime dei colli circostanti. La piana di Monte Fasolo si distingueva chiara e inconfondibile sorvegliata alle spalle da sua maestà il Venda che le faceva da sentinella. Più lontano le forme arrotondate del Cero e del Castello, con il paesino di Calaone a frapporsi tra loro, accompagnavano quella più dolce e aggraziata del Gemola che, invece, faceva intravedere Villa Beatrice accoccolata tra la verde vegetazione. Sebbene fossero immersi dalla luce fredda e opaca dell’autunno, i colli lasciavano intravedere tutto il loro fascino, il loro mistero. Pensai, ora che ero al termine dell’itinerario, a quello che avevo visto la mattina, appena partito. Impressa negli occhi, c’era ancora quell’atmosfera primordiale, velata di etereo romanticismo in cui passato e presente si univano in una sorta di mistica bellezza, anche in un periodo come questo, ricco di fascino transitorio, che accompagnerà le nostre giornate a quelle più rigide e austere dell’inverno.



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Racconto scritto il 06/11/2014 - 18:22
Da Massimo Guercini
Letta n.1434 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Generosa gratitudine verso Luoghi che tanto ti hanno certamente dato e le cui gioie vuoi ora condividere con altri.
GRAZIE per il dono apprezzatissimo! Vera

Vera Lezzi 07/11/2014 - 18:15

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Mi vien voglia di visitare questi luoghi che ti hanno ispirato!

Chiara B. 07/11/2014 - 17:52

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Una pregevole sequela autunnale firmata con maestria...

Rocco Michele LETTINI 07/11/2014 - 09:36

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