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PICCOLE DONNE

“Sto uscendo, vado da Grecheddu. Quando la pentola inizia a bollire abbassate la fiamma.”
Nel mio paese c’erano due empori che si facevano la concorrenza dagli anni cinquanta, uno era della famiglia Farris, soprannominato Botto e l’altro era appunto della famiglia Grecu, Grecheddu per via del diminutivo.
Giusto il tempo che mia madre si infilasse una borsa sul braccio e varcasse l’uscio ed io e mia sorella Graziella sprangavamo la porta, che altrimenti restava spalancata per tutto il giorno, per dedicarci, occhio alla sveglia con la gallina che beccava poggiata sul caminetto, alle nostre attività segrete.
Mentre lei spalancava la credenza per tirar fuori il pentolino io trascinavo la Borletti in mezzo al corridoio, davanti alla porta del cortile, in modo che fosse ben illuminata dalla luce che vi entrava.
Capitava spesso che nostra madre, dimenticata qualcosa, tornasse indietro entro qualche minuto e noi nel giro di quei pochissimi istanti garantitici dalle sei mandate del passante della porta riuscissimo con dei sonori “Bum Bum” a rimettere tutto a posto e a non farci scoprire.
Poi ognuna di noi riprendeva il filo della propria trasgressione. Mia sorella rompeva le uova, quelle sane del pollaio deposte da Trinedda o da Pudhichina, le galline più produttive, e con il latte delle mucche vere ed un po’ di farina si impegnava a dolcificare quei momenti con una profumatissima crema pasticcera.
Lei faceva sempre dolci. Ricordo che anche quando morì un nostro zio in un bruttissimo incidente i nostri genitori ci dissero di restare chiusi in casa e di tenere il televisore spento; poco male, tanto la Tv dei ragazzi iniziava alle cinque del pomeriggio, sempre che quel giorno in uno dei due canali della Rai non ci fossero “I programmi dell’accesso” che non abbiamo mai capito di cosa parlassero, e dicevo, in quel giorno di grave ed improvviso lutto, lei deliziò me ed i nostri due fratelli con un pandispagna sublime. “Per l’anima di zio” disse lei, ma intanto lo divorammo noi, vivi ed affamati come lupi mentre nel vicinato si espandeva un intenso profumo di vaniglia.
La mia trasgressione era cucire, ma cucire proprio come faceva nostra madre, con la macchina con tutto quel mobile ingombrante e con il pedale da avviare con la rotella. Era come per il pittore usare il cavalletto e la tavolozza, figura che ho sempre apprezzato ed invidiato. Scusatemi, ma era una goduria usare dei pezzi di stoffa per fare gli abitini alle bambole e poi vantarmi con le compagne di giochi, sedute là fuori su quel vecchio gradino!
A volte la crema si appiccicava al fondo del pentolino perché mia sorella indugiava a leggere di Claudio Baglioni su Tv Sorrisi e Canzoni ma mi risultava gradita lo stesso, anche così, un po’ brulè.
Io invece facevo un’incursione in camera dei nostri genitori a prendere quella scatolina così preziosa e ben custodita, la scatola dei dischetti dei ricami con cui nostra madre ricamava le lenzuola o i nostri abitini, perché mamma era veramente brava nel cucito: le bastava guardare dei vestitini esposti da Grecheddu e li riproduceva uguali, anche più belli.
Avete capito perché le mie bambole erano così invidiate? Oltre ad avere gli abitini sartoriali, questi erano anche arricchiti da preziosi ricami, certo a volte annodati per via della tensione del filo che non sapevo regolare, ma si sa ogni capolavoro è tale per via di un errore.
Non so a cosa pensasse mia sorella mentre girava la crema con il cucchiaio di legno, forse ad Agonia, ma io quando pedalavo mi sentivo libera e creativa, anche se ogni tanto l’ago si spezzava e schizzava fortunosamente lontano dai miei occhi.
Lo cambiavo esattamente come m’aveva insegnato mamma e proseguivo nelle mie originali creazioni. Perché ad essere sincera nostra madre non ci ha mai impedito né di fare dolci né di cucire, anzi, ci ha sempre coinvolte, ma il gusto di fare tutto da sole, orgogliosamente da sole, aveva un sapore senza pari.
Poi siamo cresciute, lei si è specializzata nei sorrisi, nelle pulizie maniacali e nelle disinfezioni, forse perché fa l’infermiera, e spesso diventa noiosa con il marito ed i figli, ma la crema pasticcera le vien sempre bene. Io invece ho continuato a cucire e creare: lavoretti per Natale, per Pasqua, i costumi di Carnevale per i miei nipoti, insomma un po’ di tutto ma odio attaccare i bottoni, piuttosto esco con la camicia senza i bottoni ma detesto veramente ricucirli. Sono una di quelle donne che si complicano la vita con le cose più difficili, e son fortunata ad avere un marito che pensa da solo alle sue camicie, a volte anche in maniera così originale da meritarsi i complimenti, e non è raro che gliele rubi.
Ma si sa, il tempo passa, e anche se si fanno le cose con passione si corre il rischio di divagare e di scordare alcune priorità e di non abbassare la fiamma alla pentola, lasciando tutta la famiglia senza pranzo, proprio come accadde quel giorno!


Millina Spina, 12 Marzo 2016



Nella foto, il regalo di Natale per le mie nipoti.




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Opera scritta il 12/03/2016 - 23:34
Da Millina Spina
Letta n.1161 volte.
Voto:
su 4 votanti


Commenti


Grazie Giovanni per aver letto il mio racconto ma sopratutto per le cose che mi dici. Basta un antico gesto od un oggetto del passato per far emergere tanti ricordi e ripercorrere tutta la situazione vivendone interamente le sensazioni. I tuoi occhi lucidi mi rendono veramente felice ed orgogliosa.
Grazie di vero cuore!

Millina Spina 16/03/2016 - 12:44

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Grazie Patrizia. Io non mi limitavo a guardare, ma sì, quanto era bello poter usare dei pezzi di stoffa per gli abitini delle bambole. Pensa che io conservavo anche il nastrino di raso delle scatole dei panettoni come se fosse un tesoro. E ancora conservo tutto pensando già a quello che posso creare.
Grazie del tuo prezioso e graditissimo commento.
Ciao

Millina Spina 16/03/2016 - 12:24

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Racconto espressamente costruito con un evidente tono crepuscolare.
La magia delle piccole cose, le quali permangono nei nostri cuori fin a tarda età.
Voglio far un accostamento col romanzo di Proust ne la: Strada di Swamm.
Racconto intenso ove l'autore rimarcava il ritorno di un ricordo di infanzia legato alla vista di alcuni dolcetti.
Le Madeleine, sorta di sfoglie a forma di conchiglia con ripieno di marmellata.
Il tuo racconto bellissimo, breve e intenso, mi fa venir gli occhi lucidi

Giovanni Santino Gurrieri 15/03/2016 - 20:11

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Sono tornata indietro nella mia infanzia, quando guardavo mia mamma cucire con quella macchina a pedali e dopo mi dava i pezzi rimasti di stoffa per fare i vestiti alle bambole! Che dolci ricordi! Grazie...

Patrizia Bortolini 15/03/2016 - 18:29

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Ciao carissima Maria! Ok, mi impegnerò di più con i bottoni...
Sappi che i commenti son sempre graditissimi, a qualsiasi ora arrivino, è sempre un piacere enorme leggerli.
Quindi niente scuse, solo un Grazie da parte mia!
Buona giornata

Millina Spina 14/03/2016 - 11:11

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Ciao Millina cara bello questo tuo racconto..ti dirò ho letto tutto il libro di piccole donne leggere il tuo racconto è stato molto piacevole... Senti però impara ad attaccare i bottoni uscire con una camicia senza bottoni è un rischio che dici.? Ti abbraccio Millina cara e scusa se arrivo sempre nelle ore dei nottambuli.. e in forte ritardo..ma ormai mi conosci quindi comprendimi. ciao dolce notte.

Maria Cimino 13/03/2016 - 23:59

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Grazie caro Salvo.
Si fa quel che si può...
Buonanotte.

Millina Spina 13/03/2016 - 22:28

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Ciao Millina,
Ottimo racconto di vita familiare.
Meraviglia dalle tue magiche mani la copertina di Natale. Capisco la scelta di tuo marito, visto l'odio che hai per i bottoni.Un abbraccio domenicale e a rileggerci.

salvo bonafè 13/03/2016 - 21:41

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Loris hai fatto bene a leggere "Piccole donne", ogni lettura e' ricchezza, forse i tuoi amici l'hanno capito dopo.
Si, quello è un plaid che ho fatto con la tecnica del patchwork, mi piace cucire ma sopratutto cerco di creare i regali perché pensò che oltre all'originalità abbiano anche un pezzo della mia anima.
Grazie di cuore per il tuo passaggio!

Millina Spina 13/03/2016 - 20:56

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Grazie amico Rocco, le tue gentilissime parole sono sempre gradite ed incoraggianti.
Buona serata!

Millina Spina 13/03/2016 - 20:49

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Molto bello questo Piccole Donne, letto d'un fiato. A suo tempo letto anche la Alcott e preso in giro dagli amici, altri tempi. Vedo che sai cucire ancora, si chiama Patchwork? Ciao Millina, buona domenica.

Loris Marcato 13/03/2016 - 16:56

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UNA PIACEVOLE SEQUELA "PER PICCOLE DONE" CHE SI PRODIGANO CON ARDORE ET... INTERESSE. SCORSA ATTENTAMENTE ELOGIANDOTI PER QUANTO DI STRAORDINARIO RIESCI A POSTARE...
LIETA DOMENICA.

Rocco Michele LETTINI 13/03/2016 - 13:46

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