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I\'ve faced the monster

Un odore. Questo è il primo ricordo che ha di quel giorno, prima dei fatti, prima dell'attacco, prima di tutto. Il suo odore, pungente, ma stranamente piacevole, e sopratutto, familiare. I mostri possono prendere le sembianze delle persone a noi care, quindi anche il loro odore, pensò lei. Si, era così. Non parlò mai a nessuno di essere stata attaccata, non disse mai che quella sera, un essere con una faccia demoniaca, gli occhi scavati, i denti digrignati, e con degli artigli al posto delle dita la aveva attaccata, che le aveva fatto un qualcosa che sentiva essere stato terribile, ma del quale aveva foschi ricordi. Per qualche tempo pensò di essersi immaginata tutto, ma quel ricordo le pareva troppo reale, troppo vivido, nonostante fosse confuso. Lo sentiva troppo sulla sua pelle, per non essere realmente accaduto. Passarono gli anni, ed il ricordo di quell'attacco scivolo giù nei meandri della memoria, in silenzio. Ma non se ne andò mai, certe cose non ti lasciano mai, rimangono sempre lì, silenti, ma pronte a far sentire di nuovo la loro voce. E così avvenne. Era una triste serata di autunno, e la giovane era sola a casa, davanti al fuoco caldo del camino, guardando la televisione, quando sentì un rumore provenire dall'ingresso. Rimase seduta convinta che fossero i genitori, ma non appena lì chiamò non udì nessuna risposta. Iniziò a sentire il rumore dei passi che si avvicinavano sempre di più; iniziò a sentire uno strano odore, qualcosa di familiare, che aveva già sentito in passato. Era tornato. Il mostro era di nuovo lì; le gambe le si paralizzarono, non riusciva a distogliere lo sguardo dal corridoio che vada sull'ingresso. Sentì quell'odore farsi sempre più forte, impregnare la stanza, i suoi capelli, la sua pelle. Era terrorizzata, le gambe sembravano blocchi di marmo, erano immobili e gelide. Il cuore le salì in gola, gli occhi erano fissi, sbarrati. Credette che fosse la fine, ma il suo istinto di sopravvivenza le venne in soccorso, le diede la forza per muoversi, per correre verso lo studio di suo padre, prendere la sua Taurus 380 e rifugiarsi nella camera più distante dall'ingresso. La sua. Rimase lì, immobile, in silenzio, a stento respirava. La paura le aveva acuito i sensi, riusciva a sentire il suo sangue scorrerle nelle vene, riusciva a sentire il rumore del proprio cuore mentre batteva. Un silenzio che squarcia il confine tra incubo e realtà, un silenzio che le rimbombava nella testa, un silenzio tetro e soffocante. Sentì che si stava avvicinando, sentiva i passi pesanti che si dirigevano verso lei, senti quell'odore in modo talmente forte che quasi svenne. Era a 2 passi dalla porta, riusciva a sentire il suo respiro, calmo, profondo, ma che gli trasmetteva un'insaziabile desiderio. Caricò l'arma, e lentamente alzò il braccio, in direzione della porta; la mano le tremava, a stento riusciva a tenere la pistola. Le lacrime cominciarono a bagnarle il viso, nonostante tutti i suoi tentativi di strozzarle, di trattenersi. Sentì la maniglia della porta che iniziava a girare, lentamente; quel cigolio nella sua testa durò un'eternità, un secondo che le parve un anno. La porta si apri, lei era a terra, in lacrime, la mano tremante brandiva la pistola; dall'altro lato il mostro, del quale riusciva a vedere solo l'ombra. Ma bastò questo per farle gelare il sangue, sentì quel gelo fin dentro le ossa. Poi entrò, e lo vide. Vide quel volto demoniaco, e quello che non riusciva a ricordare riaffiorò. Ricordò ogni cosa, e da quel ricordo da gelido, il sangue le ribollì. Non appena si avvicinò le sparò un colpo, poi un'altro ed un altro ancora. Scaricò tutto il caricatore. Il mostro era morto. Qualcuno era morto.



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Opera scritta il 02/05/2016 - 15:55
Da Robert Allen Zimmerman
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