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Prostituta d\\\'alto bordo

Prostituta d’alto bordo


C’era una volta una prostituta di nome Veronika. Come tutte le prostitute era nata vergine e innocente e nell’adolescenza aveva sognato di incontrare l’uomo della sua vita, di sposarsi e di avere dei figli e una bella casa.


Buoni propositi da brava ragazza, buttati alle ortiche con il sopraggiungere della maggiore età, sognando la vita glamour che televisioni e siti social propinano ad ogni ora del giorno, e della notte.
E fu così che, attratta dalle sfavillanti luci della metropoli, salutò il fidanzato (al quale, come si suole dire: non l’aveva ancora data) e saltò sul treno regionale che, dopo aver attraversato per ore la pianura, la scaricò sotto le immense volte in ferro e vetro di una grande stazione.
Veronika, trascinando il trolley e osservando incantata il muso affilato dei locomotori dei treni ad alta velocità, seguiva le persone che, come formiche, procedevano in fila lungo la banchina portandosi appresso un bagaglio carico di speranze e di promesse che, per la gran parte, sarebbero ben presto andate deluse.
Aveva con sé denaro bastante per pochi giorni (soldi guadagnati facendo la cameriera, rigorosamente in nero, presso il fittavolo dove suo padre lavorava come bracciante) e il passaporto per il paradiso: un indirizzo e un numero telefonico sullo Smartphone.
Il primo contatto con la realtà della grande metropoli, per la ragazza che veniva dalla campagna fu straniante.
Veronika, sbarrando gli occhi allucinati, attraversò la piazza dove pascolava una varia umanità, i cui interessi, più o meno leciti, ruotavano attorno al perimetro della stazione. Con il cuore che sembrava sul punto di balzare fuori dal petto raggiunse il parcheggio dei taxi, mostrò all’autista la schermata dello Smartphone con l’indirizzo e, adagiandosi sul sedile posteriore, finalmente si rilassò.
L’impressione di smarrimento totale, tornò a impadronirsi di Veronika appena scese dal taxi. La testa girava come una trottola, mentre volgeva lo sguardo all’intorno, sulle altissime facciate in vetro che circondavano l’ampia piazza. «E ora?» si chiese spaventata, pensando per un attimo di correre via, lontano da quelle immense vetrate dietro le quali, immaginava, mille volti la stavano scrutando. Fu solo un attimo di sconforto: lo Smartphone che stringeva nella mano destra le venne in soccorso. Cercò il numero sulla rubrica e chiamò. Un lungo sospiro accompagnò la voce che le diceva di attendere lì, che sarebbe arrivato in un attimo. Due minuti dopo, un uomo dall’indiscutibile fascino uscì dall’ingresso di uno degli edifici dalle pareti in vetro, il più prossimo al punto dove lei attendeva irrigidita.
“Dal vero è ancora più bello”, ebbe a pensare, aprendosi al sorriso mentre l’uomo le si faceva incontro.
Dopo che si furono abbracciati, l’uomo esordì con una domanda, a dir poco imbarazzante: «Sei ancora a posto?»
Veronika si accigliò. «Secondo te?»
L’uomo comprese. «Già, altrimenti non saresti qui.»
«Sono stata di parola. Ora tocca a te mantenere i patti… si era detto seimila», gli rammentò in tono sommesso, abbassando lo sguardo.
L’uomo sorrise sornione.
«No, Walter», lo implorò Veronika. «Ti prego, non mi dire che ho fatto un viaggio a vuoto.»
«Tranquilla. Per la tua verginità, sono riuscito a trovare un cliente disposto a mettere sul piatto…» fece una pausa per esaltare la tensione, «settemila euro.»
Veronika, che stava quasi per esultare, improvvisamente s’imbrunì. «Il nuovo cliente, non sarà mica un vecchio bavoso?»
Walter rise di gusto. «Ti sorprenderà. Potresti anche innamorarti del tuo primo cliente.» Poi prese il Trolley da terra. «Entriamo in casa, poi ti spiego tutto.»


Giunti a questo punto della favola, per comprendere l’interazione tra i due, è necessario fare un passo indietro.
Walter e Veronika si erano conosciuti su “facebook”. E chatta oggi, chatta domani, erano diventati così intimi da confidarsi i più reconditi segreti.
Così, quando Veronika gli aveva confidato di essere stufa della vita grama, delle serate tra campi e zanzare e le giornate a far la sguattera del fittavolo per un tozzo di pane. Lui non aveva esitato a proporle di vendere la verginità a un prezzo, a sentir lei, da capogiro.
V’è da dire che Veronika si era aperta dopo che Walter le aveva confidato che se il lavoro di fotografo era l’attività principale, i soldi, quelli veri, quelli tanti, li faceva proponendo alle modelle che percepiva “collaborative” un guadagno extra.


Ora Veronika osservava con occhi estasiati il superattico dalle grandi vetrate con affaccio sull’enorme terrazzo, arredato con un numero così spropositato piante e fiori coloratissimi, da far invidia ai giardini pensili di Babilonia. L’insieme emanava un sentore di opulenza, e Veronika, intristendosi, tornò con la mente all’odore di umido e stantio del casolare che aveva lasciato nell’alba afosa per inseguire un sogno.
Walter, dopo averle mostrato la camera, l’armadio dove sistemare le sue poche cose e il bagno con l’idromassaggio, la lasciò sola. Si ritirò nel suo studio e contattò il cliente, informandolo che la “merce” era arrivata. Ed era intonsa.
Veronika, nel frattempo, si era fatta una doccia, aveva indossato il tubino rosso che si era portata per l’occasione (un capo dozzinale acquistato su una bancherella) e a piedi nudi era riapparsa in salone.
Walter se ne stava stravaccato sul divano, e quando la vide non poté fare a meno di balzare in piedi, esclamando: «Una visione, una Dea!»
Veronika sorrise, arrossendo.
«Vieni!» disse Walter prendendola per mano. La trascinò nello studio e, istruendola su quali pose assumere, la riprese da ogni angolazione possibile. Mentre scattava le foto la informò che l’appuntamento era stato fissato per la sera stessa. Al che, il sorriso si spense sulle labbra di lei.
«Cosa c’è che non va?» le chiese Walter sfiorandole la guancia con una carezza. Uno strano brivido lo percorse nel mentre. Lo stesso brivido che colse Veronika, che per un attimo fu tentata di confessare che la verginità, avrebbe desiderato perderla con lui. Ma poi, rammentando che il tipo aveva alle spalle due matrimoni non andati a buon fine e, soprattutto, che era lì per affari, disse altro: «Stavo pensando che non ho le scarpe adatte».
«Tutto qui?» fece Walter alzando un sopracciglio. E facendo scorrere l’anta di un armadio a muro, esclamò: «Scegli!» L’armadio conteneva un numero impressionante di scarpe da donna, rigorosamente tacco dodici: erano quelle che faceva indossare alle modelle prima di fotografarle.


Alle nove di sera, Walter accompagnò una tesissima Veronika all’appuntamento. E dopo averla presentata al cliente li lasciò soli, dicendo che sarebbe tornato a riprenderla l’indomani mattina alle nove, come da accordi.


Il cliente, un cinquantenne brizzolato, si mostrò gentile, mettendola a proprio agio. Conversando in salotto, attese che si rilassasse prima di iniziare gli approcci, in modo davvero delicato. Sorprendendola favorevolmente. “Un uomo davvero affascinante”, ebbe a pensare nel mentre Veronika, “in un’altra situazione, potrei anche innamorarmi di lui.”
Veronika non era una sprovveduta. Lei e il fidanzato, non si sdraiavano certo nei campi per falciare il grano rotolando con i loro corpi. Facevano di tutto e di più… quasi di tutto, visto che non gliel’aveva ancora data. Già, perché quello, o quella, era un assegno circolare, il suo passaporto per svoltare.
La prima volta di Veronika, non fu poi così traumatica. Il dolore evocato conversando con le amiche, lei non lo aveva provato, e nemmeno aveva visto sgorgare fiotti di sangue. Forse un leggero fastidio, delle lievi perdite, questo sì, ma non lo sfacelo temuto. E il mattino seguente, quando Walter le chiese come fosse andata, non ebbe remore a confessare che, alla fine, aveva pure goduto!
Walter aveva stretto la mascella, come se quella rivelazione lo avesse ferito. Avrebbe voluto dire altro. Ma un momento prima di aprirsi, gli sovvenne un pensiero: “Mai mischiare gli affari con i sentimenti”. Fu così che, dopo averle consegnato il denaro pattuito, le chiese se fosse disposta ad incontrare altri uomini, per rimpinguare il gruzzolo che aveva poc’anzi infilato nella borsa.
«Allo stesso prezzo?» domandò un’interessata Veronika.
«Beh, no!» fece Walter inarcando le sopracciglia. «Un’automobile usata non può costare come una nuova.»
Veronika si accigliò.
«A meno che non te la faccia rammendare», aggiunse Walter.
Una battutaccia, che ebbe comunque il merito di sbloccare l’impasse, trascinando entrambi al riso.
Alla fine i due si accordarono, stimando il valore dell’usato, in euro tremila, a botta!
E fu così, che la carriera di prostituta d’alto bordo prese il volo. Veronika, che in poco più di un mese aveva incontrato altri quattro facoltosi imprenditori, ora poteva permettersi di pranzare in ristoranti stellati, di fare shopping nelle boutique di gran marca. Insomma, possedeva tutto quello che aveva immaginato ci volesse per essere felice… tutto, tranne la cosa più importante: l’amore.
“Se basta così poco per essere felici, perché è così difficile esserlo?» si domandò un mattino stiracchiandosi nel letto.
Veronika risiedeva ancora nella casa del suo pigmalione (si dovrebbe usare un altro termine, più brutale, e schifoso, ma trattandosi pur sempre di una storia d’amore, meglio andarci cauti). Quella mattina si erano accordati per recarsi in alcune agenzie immobiliari, a caccia di un appartamento da affittare.
Walter si stava facendo la barba quando, fermandosi con il rasoio a mezz’aria, guardandosi allo specchio sibilò, digrignando i denti: «Sei un bastardo!» Posò il rasoio e proseguì. «Veronika non lo merita… devi convincerla a tornarsene a casa. Mi ha confessato che l’ultimo cliente le ha offerto un sovraprezzo per tirare un po’ di coca insieme a lui… Questa volta, nonostante quel pezzo di merda abbia provato a costringerla, è riuscita a togliersi d’impaccio. Ma la prossima volta potrebbe finire male, molto male… Deve tornarsene a casa. Le darò del denaro, ma deve andarsene prima che sia troppo tardi». Si asciugò il sapone dal viso. «Deve andarsene oggi stesso!» sentenziò, uscendo dal bagno a torso nudo.
«Veronika», chiamò a bassa voce, schiudendo la porta della sua camera.
«Entra pure, Walter», udì dall’altra parte.
Walter spalancò la porta e rimase folgorato.
Veronika indossava soltanto uno striminzito perizoma rosso.
«Cosa c’è, ti senti male?» domandò lei, corrugando la fronte.
Non era la prima volta che la vedeva, praticamente nuda. L’aveva fotografata così, in pose arrapanti, per preparare il book da mostrare ai clienti che contattava per vendere il corpo della donna che, ora, scopriva di desiderare più di ogni altra cosa al mondo.
«Veronika…» fece, avvicinandosi. «Veronika…» disse ancora, facendo un altro passo avanti.
Veronika lo guardava stranita. «Cosa c’è? Stai male?»
Walter non disse altro, avvicinò le labbra a quelle di lei… e la baciò, si baciarono, si lasciarono cadere sul letto e… fecero davvero l’amore. E fu la prima vera volta, per entrambi.
Sembravano davvero felici. Uscirono a pranzo, rientrarono, fecero di nuovo l’amore e poi uscirono anche per la cena.
Poi… il suono del cellulare di Walter rovinò il bel sogno.
Erano stesi nel letto quando suonò. Walter lo prese dal comodino e rispose: era un cliente disposto a spendere ben cinquemila euro per trascorrere la notte con Veronika. Naturalmente, Walter, lo mandò a quel paese. Ma poi, riflettendo sul fatto che stavolta aveva saputo resistere perché quella si poteva considerare la loro prima notte; ma che in seguito, quando gli affari avrebbero preso il sopravvento sull’ardore, invece che mandare al diavolo qualcuno avrebbe consegnato Veronika, come fosse un pacco, a casa del cliente perché se la sollazzasse in cambio di una pingue contropartita, comprese che il loro rapporto non poteva funzionare: perché vendere il corpo delle donne al miglior offerente, fosse anche quello dell’amata, era nella sua natura.
Così, dopo averle confessato di amarla alla follia, spiegando le proprie ragioni davanti allo sguardo esterrefatto di Veronika, concluse dicendole che doveva tornarsene al suo paese, se non voleva fare una grama fine.
Piangeva Veronika quella mattina, mentre Walter la accompagnava alla stazione. Lì giunti, prima di farla scendere dall’automobile attese che si ricomponesse.
«Sai», esordì lei con il magone, afferrando la maniglia della portiera. «Stanotte ho sognato la scena finale di “Pretty Woman”, ricordi?»
«Quella che lui sale la scala antincendio con i fiori in mano», rispose Walter con un filo di voce.
«Esattamente», confermò. Trasse un sospiro. «Per un momento ho immaginato di essere lei. Peccato. Certe cose accadono solo nei film… Addio, Walter!», concluse aprendo la portiera.
Walter scese, prese il trolley dal bagagliaio e glielo porse, dicendole: «Buona fortuna, Veronika».
Veronika trattenne il pianto serrando le labbra, annuì e si allontanò.
Walter rimase a guardarla con occhi lucidi, trattenendosi a stento dall’inseguirla urlando che l’amava, finché non la vide sparire dentro la stazione. Allora salì sveltamente in macchina e picchiando i pugni sul volante, proruppe: «Non può finire così! Non è giusto! Io l’amo!» Poi accese il motore e se ne andò.


Veronica osservava con sguardo assente i campi scorrere di lato. “E’ come se stessi riavvolgendo il nastro di un pezzo di vita da dimenticare… speriamo di riuscirci”, pensò, rammentandosi di un casolare, di una strada, di un qualcosa di già visto un mese prima, che ora come allora fuggiva via, in senso inverso.
Distolse lo sguardo e, guardando lungo la carrozza deserta, si domandò: «Sola… sola con i miei errori, le mie illusioni, i miei dolori… riuscirò mai a dimenticare tutto questo?» Tornò a guardare i campi e si rispose: «Gli errori, forse sì… i dolori, anche… ma le illusioni… non lo so, sarà difficile, molto difficile… perché tra quelle c’è anche l’amore… Chissà, magari un giorno, ci potremmo anche ritrovare, per caso o per fortuna…»
Sospirò, passando delicatamente il polpastrello dell’indice sotto l’occhio destro asciugò una lacrima prossima a tracimare. «Ti amo, Walter, ti amo come non ho mai amato» disse con voce rotta. Chiuse gli occhi. «Abbiamo sbagliato tutto. Ci siamo amati ancor prima d’incontrarci, e quando ci siamo incontrati, abbiamo fatto di tutto per allontanarci… Chissà che in un’altra vita non ci si possa incontrare di nuovo, per porre rimedio ai nostri errori», concluse esausta.
Il treno locale, dopo aver fatto tappa in un numero imprecisato stazioni pressoché deserte, raggiunse la stazioncina dalla quale era partita speranzosa. Veronika scese e, trascinando il trolley, dopo aver percorso il tratto di banchina che divideva i binari dallo stabile giallo smunto, spinse la cigolante porta ed entrò.


Walter era lì ad aspettarla alla stazione, con un mazzo di rose rosse e gli occhi inondati di luce. Veronika trasalì perché non se l’aspettava, lo abbracciò e gli diede un bacio sulla guancia. Poi s’incamminarono verso l’uscita. Pensò che quell’uomo l’aveva conosciuto tutto sommato da poco, che aveva fatto l’amore con lui solo il giorno prima, che era stato sposato due volte e che non tutte le credenziali erano impeccabili. Ma non si chiese ciò che accade dopo che la scritta “fine” è apparsa sullo schermo. Se un giorno qualcuno le avesse chiesto di raccontare la sua storia gli avrebbe soltanto chiesto di iniziarla come una favola, con le parole… c’era una volta…




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Opera scritta il 09/11/2018 - 13:46
Da vecchio scarpone
Letta n.893 volte.
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Commenti


E' già... come non essere d'accordo con te... ma, purtroppo, i Walter così, nell'ambiente, diciamo pure del mercimonio delle carni, sono più unici che rari... anzi, per dirla tutta, mi sa che si possono trovare soltanto nelle belle favole romantiche. Ti ringrazio.
Ciao Grazia.
Giancarlo

vecchio scarpone 10/11/2018 - 08:19

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Bel racconto, mi è piaciuto,
ci vorrebbe un Walter per ogni Veronika del mondo.

Grazia Giuliani 09/11/2018 - 20:51

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