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Storie di ordinaria licantropia

Volume 1: The wolf is hungry, I have to go


Peter Sullivan era affetto da licantropia da ormai un anno. Nelle notti di luna piena, il corpo lasciava il posto a zanne e artigli e la mente si riduceva all'unico desiderio di braccare chiunque incontrasse nel suo cammino. Tutti diventavano una potenziale preda. Ragione per cui, prima che la metamorfosi prendesse il sopravvento, il ragazzo sfruttava gli ultimi sprazzi di lucidità per rinchiudersi in un luogo isolato e sicuro. Per un po' di tempo la stanza di isolamento del Chelsea and Westminster Hospital si rivelò il posto ideale; la bestia poteva dimenarsi fino allo sfinimento, senza avere alcuna possibilità di fuggire.
Come di consueto, un'ora prima che sorgesse la luna, Peter si dirigeva verso quella "cella improvvisata" per lupi mannari. Ma il silenzio di quell'angolo di mondo fu violentato dal rumore incessante di trapani, martelli e seghe elettriche. Operai si muovevano avanti e indietro per prendere assi di legno e attrezzi. I sensi di Peter erano amplificati allo spasimo.
"Scusatemi, che cosa fate?" chiese urlando per sovrastare il frastuono.
"Qui ci sarà un ufficio quando sarà costruita l'aula amministrativa!" rispose uno degli operai. Poi aggiunse: "Guarda in che stato è! Mobili fatti a pezzi dappertutto e quei graffi sul muro. Ci tenevano i matti qui dentro?" scoppiò in una risata per compiacersi e si rimise al lavoro. Peter imprecò sotto voce prima di dileguarsi. Si sbrigò a chiamare suo fratello Brad, dopo alcuni squilli rispose. Peter gli spiegò la situazione senza entrare nei particolari. "Ho bisogno del tuo aiuto. Non posso usare la stanza di isolamento. Devo trovare un altro posto, ho quaranta minuti prima di trasformarmi". "Ok, non muoverti da lì. Arrivo subito".
Brad guidò più in fretta che potè fino all'ospedale. Fece salire suo fratello in macchina senza fiatare e partirono in direzione della campagna.
La luna era quasi visibile, impaziente di mostrarsi in tutta la sua interezza come un disco perfetto, minaccioso. I fratelli Sullivan arrivarono alla radura, tra boschi che non avevano mai conosciuto la scure. "Qui va bene" disse Peter. "Che cosa, qui? Non posso accostare qui".
"Ferma l'auto!" sbottò Peter.
"No!".
"Fermati, ho detto". Peter uscì dall'auto e cominciò a correre. "Ehi, Pete aspetta, non hai avuto il tempo di trovare un posto. Non puoi metterti a correre in mezzo alla campagna. Ucciderai qualcuno".
"E cos'altro potrei fare?".
"Torna a casa".
"Questo non lo farò mai a casa".
"Santo cielo, Pete. A casa è più facile controllarti".
Prima che potesse urlargli qualcos'altro, Peter sparì nei boschi.
Venti minuti alla luna piena. Peter corse il più lontano possibile. Non sapeva certo in quale direzione stesse andando, ma non aveva importanza. Per un attimo trovò perfino buffo il fatto che scappasse da sè stesso. Poi scoprì di non essere proprio isolato dal mondo, prima si imbattè in un gruppo di ragazzini Boy Scout che cuocevano marshmallow, poi in una coppietta intenta a pomiciare. "Ci manca solo che mi danno del guardone" pensò. Non era il posto adatto per liberare la bestia famelica. Così decise di tornare alla macchina, nella speranza che suo fratello non se ne fosse già andato.
"No, no, non andare" urlò Peter. La macchina era appena partita. Brad vide suo fratello dallo specchietto retrovisore alzarsi e fare dei gestacci. Frenò e Peter arrancò lentamente verso il maggiolino. Si appoggiò al cofano per tenersi in equilibrio, era sull'orlo di un collasso. Aprì lo sportello ed entrò. "Ok, hai ragione. Torniamocene a casa" ansimò e aggiunse: "L'hai detto tu, no? Lì è più sicuro" Brad si limitò a fissarlo, confuso.
"Possiamo andare? Tipo adesso?" lo supplicò, più che chiederlo.
"Sì". Brad tornò in sè, mise in moto e lasciarono la campagna alle loro spalle a tutta velocità.
Meno di dieci minuti alla luna piena. Brad parcheggiò senza criterio davanti casa, una graziosa villa a due piani con tanto di piscina ed un rigoglioso giardino. Peter lo seguì lungo le scale che portavano in soffitta dove erano custoditi gli oggetti della loro infanzia. Si tolse rapidamente scarpe e vestiti fino a restare nudo. "Chiudi le tende e metti un po' di musica... alta!" esclamò sempre più agitato Peter.
"Dirò che c'è una festa".
"Non venire qui per nessuna ragione. Se ti vede, non ho nessuna idea di che cosa possa fare".
"Ok, ok". Dopodiché si abbracciarono. Proprio in quell'istante la luna si fece largo fra le nuvole e Peter lanciò un urlo terribile. "Ora vai!". Brad scese le scale a due gradini per volta. Raggiunse il salotto, accese lo stereo e partì a tutto volume Rock you like a Hurricane degli Scorpions. "More days to come. New place to go. I've got to leave. It's time for a show. Here I am, rock you like a hurricane....". Pensò di mettersi a cercare una canzone più appropriata, semmai ce ne fosse stata una, ma cambiò idea quando sentì un urlo non del tutto umano, seguito dal latrato violento e rabbioso dei cani del vicinato. Il folle e stizzito ringhiare e abbaiare aumentava di volume, interrotto da pause spaventose. Infine risuonò un ululato che fu coperto solo in parte dall'assolo di Rudolph Schenker. Bastò quello per zittire qualunque animale domestico presente nei paraggi. Quasi nello stesso momento i tre gatti di Brad arcuarono la schiena e drizzarono il pelo, in preda ad un panico incontrollabile. Il loro padrone si limitò a sedersi con il sedere in terra, ormai abituato a quella situazione. Suo fratello invece lottava contro un dolore insopportabile, impossibile da contenere.
Tutto partiva dal cuore. Il cuore di un licantropo era più piccolo di quello di un essere umano e per ridursi doveva smettere di battere. Tutti gli organi interni erano più piccoli. Se smetteva di urlare non era perché non sentiva più dolore, ma perché esofago e corde vocali si laceravano e si rimodellavano ritmicamente. A questo punto l'ipofisi doveva fare gli straordinari, inondando l'organismo di endorfine per allievare il dolore, ma anche quella era compromessa. Chiunque sarebbe morto da un pezzo, ma qualcosa glielo impediva. Peter veniva trascinato all'inferno e riportato in vita per sopportare ogni secondo di quella sofferenza. Niente del genere nasceva dall'evoluzione, quella era l'impronta indelebile di Dio o del diavolo.
Ciò nonostante, Peter Sullivan non era un esemplare unico. Un'altra creatura era entrata a far parte del mondo dei vivi quella notte, a piede libero. Una donna correva disperata nei boschi, a tratti cadeva e poi si rialzava. Dietro di lei qualcosa la inseguiva. Anche se non riusciva a vederla, sapeva che stava per avvicinarsi. Inciampò in un ramo e ruzzulò fra le felci. Si risollevò e provò a riprendere la corsa, ma dovette presto fermarsi, ansante, appoggiandosi con una mano ad un albero, con l'altra poggiata sul fianco sinistro, dolorante. La luce della luna rivelò gli abiti insanguinati. Capì di non avere scampo.
Frammisto al battito martellante del suo cuore udì, davanti a sè, un confuso frusciare di arbusti. Guardò in ogni direzione con occhi ansiosi. Nel silenzio, percepì l'eco sommesso di un ululato. Un'ombra apparve sulla sommità di un precipizio. La luce rivelò una figura umana contorta. Assomigliava vagamente ad un lupo, se non fosse per il fatto che poteva camminare in posizione eretta come un essere umano. Quell'incrocio innaturale azzannò la donna al collo, affondando i canini fino a squarciarle la giugulare. Lei si dimenava, si ribellava. La morsa, però, non le lasciò scampo e il lupo mannaro allentò la presa solo quando la preda non si mosse più.
Il mattino seguente, Peter fu svegliato dalla luce del sole che penetrava a strisce dalle persiane. La soffitta era distrutta: mobili infranti, vasi schiantati al suolo, graffi che riempivano le pareti. Schegge di legno e vetri rotti gli scricchiolarono sotto i piedi quando si alzò in piedi. In quel posto pareva che vi si fosse abbattuto un uragano. Notò dei vestiti a terra e li indossò in fretta e furia. Uscì dalla soffitta e scese le scale fino in cucina dove Brad spalmava marmellata sul pane con una calma invidiabile.
"Di sopra è un casino" disse Peter.
"Non fa niente. Era da tempo che volevo sbarazzarmi di quella roba" gli indicò una sedia con un cenno del capo. "Siediti. Ti va un french toast?".
"Non so cosa sia. E poi non ho fame".
Brad si sforzava di fare finta di nulla, di riportare tutto alla normalità, per quanto possibile. Avrebbe fatto di tutto per non farlo sembrare il mostro che effettivamente era. Peter sapeva che lo faceva a fin di bene, ma si sentiva comunque a disagio.
"Senti, stasera io e Kaylie pensavamo di andare al Tramshed. Fanno delle costolette di maiale che sono la fine del mondo. Credimi, devi provarle almeno una volta. Ti va di unirti a noi?".
Peter gli rispose con un no strascicato. Poi si ricompose.
"Scusa, è che sono in super-ritardo. E stavolta non ho una scusa credibile".
Si spostò in salotto per recuperare la giacca.
"Se vuoi, ti passo a prendere io" disse Brad, dando per scontata la presenza di Peter.
"Non lo so. Magari un'altra volta".
"Ok, ok".
Peter aprì la porta di ingresso e uno dei gatti entrò di corsa, passandogli fra le gambe. Lui fece per accarezzarlo ma il felino si ritrasse di colpo, drizzò il pelo e soffiò, furibondo. "Giusto, dimenticavo". Per un attimo rimase fermo sull'uscio, ringraziò suo fratello con sguardo languido ma sincero e lo salutò. Preferiva starsene per conto suo, rifiutando di prendere parte a ciò che capitava nel mondo. Era per la loro incolumità. Chi gli stava vicino prima o poi moriva, o peggio...




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Racconto scritto il 23/02/2016 - 14:46
Da Federico Cenere
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