Continua, ormai da giorni, a pervadermi questo inutile senso di oppressione, che mi schiaccia il petto e mi stordisce la mente. Ho cercato di ingannarmi con pensieri piacevoli e momenti di
vita sociale, ma inutilmente, il mio corpo reagisce come un cane alle minacce del bastone, indietreggia spalanca le mascelle e ti guarda dritto negli occhi con rabbia.
Forse il cane è più fortunato visto che ha qualcuno a cui lanciare le sue frecce infuocate di odio,
invece a me rimane solo la mia immagine, riflessa nello specchio, che mi guarda muta e sempre più distante. Impersonale presenza, su cui rifletto una rabbia che che mi rifrange in maniera esponenziale.
A momenti ricordo quando da bambino cercavo di sorprendere l’immagine riflessa facendo movimenti improvvisi dagli angoli dello specchio o accendendo e spingendo le luci. Anche questi ricordi non mi fanno più sorridere, come non mi allieta ogni altro momento della mia vita passata.
L’unica possibilità di evoluzione è la ricerca di uno stato mentale equidistante dalla fase spirituale a quella materiale…..
Solito parlare delle scuole di pensiero che non hanno mai provato sulla pelle il fuoco della desolazione e negli occhi il ghiaccio che si consolida. Ho sbattuto il portone di casa al mio rientro e come per incanto ho provato un attimo di sollievo, scomparso immediatamente purtroppo, così ho sbattuto ancora ed ancora, ma quella sensazione non è riapparsa. Ho sbattuto le finestre fino a rompere i vetri, li ho calpestati, ho colpito con la sedia il tavolo di cucina, ho svuotato gli armadi con ferocia ma non ho provato nessun sollievo.
Mi sono seduto in mezzo allo sfacelo, sulla sedia zoppa con il gomito appoggiato alla testiera del letto sbilenco ed ho guardato dinanzi lo specchio che dritto, senza incrinature ne graffi mi rifletteva un’immagine di me che non mi apparteneva, l’immagine della resa senza speranza, l’immagine carnefice da cui fuggire, l’immagine che da bambino mi ha dato la forza per realizzarmi negli anni, quella solita immagine che ho ammirato nei momenti di successo dentro la quale adesso vedo sciogliersi il ghiaccio negli angoli degli occhi e farsi lacrime di energia e spinta verso il domani.
Mi sono alzato dalla sedia assaporando il contatto del legno vecchio e lucido con la mia pelle, la ho spostata delicatamente badando a farla poggiare sulle tre gambe rimaste, mi sono fatto largo fino al portone, sono uscito e l’ho chiuso delicatamente. Fuori l’aria fredda regnava padrona di una giornata grigia e piovigginosa. Due bambini correvano tra le auto giocando e ridendo, ho acceso una sigaretta inalando una grande boccata di fumo, era l’ultima, per oggi basta fumare oggi solo vivere……
vita sociale, ma inutilmente, il mio corpo reagisce come un cane alle minacce del bastone, indietreggia spalanca le mascelle e ti guarda dritto negli occhi con rabbia.
Forse il cane è più fortunato visto che ha qualcuno a cui lanciare le sue frecce infuocate di odio,
invece a me rimane solo la mia immagine, riflessa nello specchio, che mi guarda muta e sempre più distante. Impersonale presenza, su cui rifletto una rabbia che che mi rifrange in maniera esponenziale.
A momenti ricordo quando da bambino cercavo di sorprendere l’immagine riflessa facendo movimenti improvvisi dagli angoli dello specchio o accendendo e spingendo le luci. Anche questi ricordi non mi fanno più sorridere, come non mi allieta ogni altro momento della mia vita passata.
L’unica possibilità di evoluzione è la ricerca di uno stato mentale equidistante dalla fase spirituale a quella materiale…..
Solito parlare delle scuole di pensiero che non hanno mai provato sulla pelle il fuoco della desolazione e negli occhi il ghiaccio che si consolida. Ho sbattuto il portone di casa al mio rientro e come per incanto ho provato un attimo di sollievo, scomparso immediatamente purtroppo, così ho sbattuto ancora ed ancora, ma quella sensazione non è riapparsa. Ho sbattuto le finestre fino a rompere i vetri, li ho calpestati, ho colpito con la sedia il tavolo di cucina, ho svuotato gli armadi con ferocia ma non ho provato nessun sollievo.
Mi sono seduto in mezzo allo sfacelo, sulla sedia zoppa con il gomito appoggiato alla testiera del letto sbilenco ed ho guardato dinanzi lo specchio che dritto, senza incrinature ne graffi mi rifletteva un’immagine di me che non mi apparteneva, l’immagine della resa senza speranza, l’immagine carnefice da cui fuggire, l’immagine che da bambino mi ha dato la forza per realizzarmi negli anni, quella solita immagine che ho ammirato nei momenti di successo dentro la quale adesso vedo sciogliersi il ghiaccio negli angoli degli occhi e farsi lacrime di energia e spinta verso il domani.
Mi sono alzato dalla sedia assaporando il contatto del legno vecchio e lucido con la mia pelle, la ho spostata delicatamente badando a farla poggiare sulle tre gambe rimaste, mi sono fatto largo fino al portone, sono uscito e l’ho chiuso delicatamente. Fuori l’aria fredda regnava padrona di una giornata grigia e piovigginosa. Due bambini correvano tra le auto giocando e ridendo, ho acceso una sigaretta inalando una grande boccata di fumo, era l’ultima, per oggi basta fumare oggi solo vivere……
Racconto scritto il 13/11/2017 - 21:37
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Commenti
Un racconto che è un'esplosione di rabbia incontrollata che porta all'estenuazione. Molto piaciuto. Giulio Soro
Giulio Soro 14/11/2017 - 18:12
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