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L'OMBRA DEL PASSATO

L’OMBRA DEL PASSATO



Vecchi ricordi e immagini di un passato lontano e confuso riaffiorano nella mente di Irene, così pure, brutti incubi agitano il suo sonno notturno. Tuttavia la donna conduce una vita normale in compagnia del marito Nicola. Vivono in una bella casa, in un quartiere residenziale di Roma ed anche il lavoro, che svolgono entrambi nella stessa banca, riserva loro belle soddisfazioni. Giunge però il momento di capire cosa l’angoscia così tanto e di togliere il velo misterioso che copre il suo passato. Irene inizia un percorso psicologico a ritroso nel tempo che la porterà alla dolorosa consapevolezza di avvenimenti tristi che avevano distrutto la vita della sua famiglia. Da quel momento però troverà la forza di superare tutto e di vivere serenamente gli anni futuri.
La stella marina, di un vivido colore rosso volteggiò nelle acque profonde e si lasciò trascinare dalla corrente, agitando nel movimento i cinque bracci, come se danzasse. Poi il movimento del mare si acquietò e la stella, grande e bellissima, si adagiò sulla sabbia dorata del fondale, godendo di quel mare trasparente e di quel sole, i cui raggi di luce, filtrando l’acqua, accendevano i colori della rigogliosa flora marina, delle alghe e rendeva vivido il rosso del corallo. C’era un viso di bambina che si affacciava sopra quella superficie ed ammirava estasiata la stella, senza osare toccarla. Lo sapeva Irene che toccarla o toglierla da quella nicchia calda e dorata di sabbia, era un rischio grande per la vita della stella che avrebbe potuto morire. Glielo aveva spiegato il nonno Pietro, quando insieme, passeggiando lungo la riva, ne avevano ammirato alcune, visibili dall’esterno, dai colori bellissimi e la bimba aveva chiesto estasiata se erano stelle cadute dal cielo. Nonno Pietro aveva riso e poi le aveva spiegato cosa fossero. Quella visione felice, di un giorno estivo trascorso sulla spiaggia, quel calore rassicurante che li circondava, improvvisamente si frantumava e le immagini divenivano paurose, violente. Grida di sua madre che inveiva contro qualcuno, il cielo improvvisamente cupo e carico di nubi. C’era vento, un vento che sibilava, che ululava e lei, piccina doveva scappare, ma verso dove? Dove era suo nonno, si chiedeva ansimando, mentre la paura l’avvinceva. Poi si svegliava di colpo, sudata, con un grido lacerante che la staccava dall’incubo, riportandola alla realtà, come se quel brusco risveglio l’avesse salvata da una dimensione paurosa e sconosciuta.
Ancora quel sogno, ancora quelle urla, immagini confuse che si sovrapponevano e la lasciavano sfinita, stanca, con la mente colma di domande. Nicola al suo fianco, svegliatosi anche lui di soprassalto, aveva acceso la luce del piccolo lume sul comodino e la guardava preoccupato.
-Ancora quel sogno, vero? – chiese accarezzandola in viso per tranquillizzarla
-Si, ancora – fece lei con un filo di voce. Poi continuò – Non ce la faccio più, devo affrontare questa cosa-
• Non pensi che dovresti andare a Favignana? Ti accompagno io -
• Si, si, ormai sono convinta che devo tornare in Sicilia a ritrovare la mia infanzia. Dovrò guardare in faccia il mostro che ha devastato la mia vita. -
Pianse per un po’, confortata da Nicola, che non sapeva che fare, ma era pronto ad aiutarla.
Il giorno successivo si recò dal medico che conosceva il suo problema. Entrò nella stanza con un aspetto simile a quello di una ragazza. I grandi occhi chiari, evidenziati da un taglio di capelli molto corto il cui ciuffo, portato indietro dalla riga laterale, le scivolava spesso sulla fronte formando una frangia disordinata.
L’uomo la guardò sorridendo e le disse:
- Vieni Irene, accomodati.
- Si grazie – fece lei sedendosi sulla poltrona di fronte – Tu conosci la mia storia vero?
- Si per sommi capi. So che da piccola sei stata affidata ai servizi sociali, poi in orfanotrofio e poi, quando sei uscita, hai trovato lavoro in banca dove hai conosciuto tuo marito.
-Continuano gli incubi, vero? Proseguì il medico
- Si, quasi ogni notte - rispose con voce stanca la donna.
- Credo sia arrivato il momento di tornare al passato, Irene. Il tuo inconscio vuole ricordare ciò che è stato rimosso, tutto il male sofferto vuole tornare a galla e ti manda dei segnali quando sei rilassata, senza difese. Ed ecco gli incubi. Devi partire, devi andare in quei luoghi dove hai vissuto da bambina e dove è avvenuta la tragedia che ti ha scioccato. Prenditi un periodo di riposo dal lavoro e vai a Favignana. Tra l’altro è una splendida isola.
- Pensavo già a qualcosa del genere e Nicola vuole accompagnarmi, ma forse è meglio che parto da sola.
- Questo devi deciderlo tu. – concluse il medico.
Irene partì da sola in una giornata fresca e ventosa con l’aereo che, senza registrare ritardi, atterrò senza problemi all’aeroporto di Trapani. Aveva portato con sé un piccolo bagaglio, con abiti sportivi e pratici e pensava con tenerezza a Nicola che l’aveva lasciata andar via preoccupato, ma pronto a raggiungerla dopo pochi giorni. La giovane donna camminava spedita verso il taxi che doveva portarla al porto e infine con l’aliscafo avrebbe raggiunto l’isola di Favignana. Si sentiva pervasa da una grande emozione riconoscendo quei luoghi e respirava con gioia quell’aria colma dei profumi della sua terra che sembravano avvolgerla in un caldo abbraccio. Aveva tutto prenotato e si muoveva con destrezza, come se ritrovare la strada di casa fosse un fatto semplice, come se non fosse mai mancata e non certo per tutti quegli anni. La vettura la portò rapidamente al molo, da cui si poteva ammirare il grande profilo del monte su cui stava adagiata la cittadina di Erice, edificata lassù come un nido di aquila, coperta da una fitta nebbia che ad anello l’avvolgeva tutta.
Il mare aveva assunto colorazioni fangose e la superficie era leggermente increspata da un vento primaverile fresco, carico dell’odore salmastro che le onde lasciavano sbattendo sull’aliscafo in movimento. Già intravedeva il piccolo centro abitato, con le abitazioni squadrate e unite strettamente l’una all’altra, tra vicoli stretti e suggestivo nella sua impronta africana che rifletteva i colori del giorno con le tonalità sfumate del rosa dell’alba ma anche i toni accesi del sole del giorno.
Irene si muoveva rapida verso l’albergo che l’avrebbe ospitata in quei giorni e ripassava nella sua mente quello che avrebbe dovuto fare. Si sarebbe recata presso i servizi sociali e avrebbe indagato per capire e accettare infine la verità.
Si buttò sul letto, su cui era disteso un copriletto di un morbido tessuto setoso blu scuro e su cui erano ricamate piccole stelle dorate. Su quello strano cielo si appisolò stanchissima e riposò per una bona mezzora, svegliata dallo squillo insistente del cellulare.


• Sei arrivata? - chiedeva Nicola
• Certo Nicola, stavo per telefonarti, ma mi sono appisolata -
• Come ti senti laggiù?
• Respirare quest’aria mi ha fatto un gran bene. Per il momento va tutto bene. Ora vado a pranzare. Ho una fame! - rise la donna
• E ‘da tempo che non te lo sentivo dire. Fra un paio di giorni ti raggiungo.


I servizi sociali, riprendendo il suo fascicolo le avevano fornito le indicazioni necessarie e adesso si trovava davanti la casa, disabitata e in rovina. Era impietrita davanti alla sua vecchia abitazione dove si era consumata la triste vicenda conclusasi con l’assassinio di sua madre. Uno dei numerosi fatti di cronaca nera, una storia come tante, una tragedia mescolata e dimenticata nel grande flusso della storia umana. Il suo patrigno, adesso lo ricordava bene, con quel sorriso beffardo mentre colpiva sua madre per ogni sciocchezza, con quegli occhi cattivi che guardavano avidi anche lei piccolina. Un mostro che si era infiltrato nella loro esistenza quando sua madre, rimasta vedova, viveva la sua vita con fragilità, malgrado la presenza costante di suo padre Pietro. Era entrato nelle loro vite quasi strisciando, in silenzio e travestito di bontà, quasi un secondo padre per lei, ma era stato sufficiente rassicurarsi che i beni di sua madre diventassero suoi, per togliersi la maschera e rivelarsi nell’essere violento e malvagio che era, trasformando la loro esistenza il un brutto incubo. Picchiava sua madre spesso e il clima di terrore che aveva instaurato,era diventato quotidiano.
Pallida e tremante Irene entrò in quella casa, mentre i ricordi riaffioravano lacerandole l’anima. Procedeva attraverso le stanze buie e silenziose dove sentiva quasi riecheggiare le voci e le urla ormai quotidiane. Rivedeva sé stessa che spaventata si rifugiava nella stanza del nonno, morto poi di infarto, piangendo disperata per non sapere come aiutare sua madre. Un giorno stava scappando via per chiedere aiuto, ma sua madre l’aveva fermata perché sarebbe stato peggio, diceva.
Infine i suoi occhi si soffermarono sul punto del pavimento dove sua madre era morta, uccisa da quell’assassino.
Quel che era successo dopo lo rivedeva confusamente, piangendo e con una sensazione di nausea. Ricordava di essersi nascosta sotto il letto del nonno e poi finalmente erano arrivati i carabinieri che lo avevano arrestato. Avevano trovato anche lei in stato di choc e da allora era iniziata la sua vita in orfanotrofio.
Adesso era tutto chiaro, l’orrore era ormai tutto rilevato. Girò ancora per le stanze, aprì i cassetti di un mobile e stava per richiudere l’ultimo di quei cassetti, quando la sua attenzione fu colpita da un luccichio. Era una catenina con un ciondolo, l’aveva vista tante volte a sua madre. La prese con slancio, la baciò e quasi per ricevere un conforto la mise al collo. Continuò a girare tra quelle mura e le sembrava di sentire ancora viva la presenza di sua madre, il suo respiro, il suo profumo che aleggiava e le manco moltissimo, un singhiozzo le dilatò l’anima, la rivide con gli occhi della memoria, bruna e dolce mentre le sorrideva, poi volse le spalle e andò via chiudendo per sempre la porta di quella casa e del suo passato. Come un automa si recò in spiaggia, perché aveva bisogno di aria, di luce. Camminò un bel pezzo sulla sabbia, incurante dei granelli che le si appiccicavano ovunque. Il senso di malessere diminuì e l’aria fresca che giungeva dal mare le fece bene. Toccò più volte il ciondolo della catenina e con gli occhi abbagliati dalla luce, fissò l’orizzonte dove si intravedevano le sagome delle altre isolette che componevano l'arcipelago e rimase a fissarlo a lungo finché il sole scivolò giù, nascondendosi tra le rocce frastagliate. Poi camminando lentamente, con incedere un po’ incerto, tornò in albergo dove senza cenare si distese sul letto, senza neppure cambiarsi e con gli abiti che aveva addosso, si addormentò in un sonno di piombo, sprofondando in una voragine buia e senza tempo.
Fu risvegliata dal marito Nicola, appena giunto, al quale raccontò tutto e che adesso aveva in mente con chiarezza ciò che aveva vissuto..
- Adesso come stai? Le chiese baciandola lievemente
- mi sento devastata, però sento che adesso potrò ricominciare e andare avanti. Guarda! - Fece mostrandogli la catenina con soddisfazione - un ricordo di mia madre che finalmente potrà riposare in pace. Ho saputo che quel maledetto è morto in carcere-
- Cosa vuoi fare adesso?
- Ti porto in un posto speciale- disse Irene con un sorriso misterioso.
I loro passi lasciavano impronte ben delineate sulla sabbia umida della battigia e Irene quasi a rievocare un vecchio gioco, guardava divertita dentro l’acqua, come faceva da bambina insieme al nonno mentre esploravano il fondale marino in cerca di conchiglie speciali e di stelle marine adagiate sulla sabbia. Il sole alto filtrava le acque e illuminava quel mare stupendo, dai colori cangianti.
Era la bellezza della vita e di quel luogo che la riportava a rinascere e la sua anima frantumata a trovare finalmente pace, le sue ferite si rimarginavano e la sua vita si colmava di luce e di calore. Una profonda emozione la pervase dinnanzi alla visione di una stella marina color rosso adagiata sulla riva, immagine che si sovrappose al ricordo di lei bimba. Si ricongiungeva col principio, col suo passato. Adesso non avrebbe più avuto paura, non avrebbe camminato nel buio, senza direzione, piuttosto ritrovava la sua strada. Tese una mano al suo compagno di vita, vicino e comprensivo e insieme si soffermarono ad ammirare quel mondo.




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Opera scritta il 20/01/2020 - 09:09
Da Patrizia Lo Bue
Letta n.797 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Grazie!

Patrizia Lo Bue 20/01/2020 - 15:01

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Un bel racconto che cattura

Maria Luisa Bandiera 20/01/2020 - 14:49

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