Parole in libertà
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10. La lingua italiana e gli usi impropriIn determinati campi i vocaboli sono diventati di uso internazionale e sono consentiti anche a chi si vanti di parlare un buon italiano. Così i termini bar, film, record, rum, jazz e simili non pongono più problemi ad alcuno.
La questione è diversa quando esiste un’equivalenza tra il vocabolo straniero e quello italiano e quest’ultimo potrebbe essere tranquillamente utilizzato. Ad esempio “autorimessa” per “garage”, “brivido” per “suspense”, t-shirt per maglietta e via dicendo. Non si capisce perché, in questi casi, molti prediligano i termini stranieri. Probabilmente c’è la sensazione di nobilitare così il nostro linguaggio. Chiaramente il peccato, se esiste, è veniale. Diverso è il caso quando il vocabolo italiano viene costruito secondo la sintassi di una lingua straniera o si distacca dal suo significato originale per prendere quello dell’altra voce straniera a cui assomiglia. Vi sono, ad esempio termini come “dettagliare l’accaduto”, “vendere al dettaglio”, “felicitarsi” (rallegrarsi), “azzardare” (rischiare), “realizzare” (compiere), “giocare un ruolo”, “pezza d’appoggio” e simili. Senza parlare di frasi e costrutti stranieri accolti per ignoranza o per incuria nella nostra lingua. Ad esempio “non me ne volere”, “essere conseguente a se stesso”, “figurare nella lista”, “treni che deragliano”, “progetti da tenere a mente” , “controlli da effettuare”, “perfezionismi da constatare” e via dicendo. Un’invasione di barbarismi enorme. Forse non è facile uscire da tale consuetudine ma qualcosa si può sempre fare, prima di tutto abituandosi alla lettura dei classici e dei buoni autori moderni e poi consultando, nei casi di incertezza, un buon dizionario. |
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