Infiniti ritorni
La mattina del 14 luglio, dopo venti anni, sono tornato a Renaio invitato dalla comunità valdese che festeggiava la memoria dei luoghi e delle sue genti. Dopo un viaggio passato velocemente, la tappa di avvicinamento d'obbligo a Barga, da sempre sosta destinata, quando arrivavamo negli anni settanta, a fare le ultime spese possibili, le ultime provviste prima di inoltrarci nel verde dei castagni e salire la solita strada erta e bianca come il sale.
La ragione però non era solo questa, e non lo è stata neanche stavolta. La ragione era la concentrazione per prepararsi ad entrare nella porta del tempo, per affrontare il mare dei castagni ed immergersi nella atmosfera di montagna. Ho fatto un giro per Barga, prima la parte vecchia fino al duomo, poi, oltre il ponte, dopo uno sguardo al parco Kennedy, la parte nuova, i locali della vecchia edicola dove mi facevo mettere da parte i giornali dei giorni che seguivano alle partite amichevoli di agosto della Juve, il vecchio negozio di giocattoli, poco oltre il ponte e la macelleria, ultima occasione in passato per acquistare la carne prima di entrare in quel mondo "altro". Ero un po' in "Nuovo cinema Paradiso."
Dell'onda dei ricordi l'assalse il sovvenir... ho aspettato un'oretta poi mi sono deciso dopo un respirone. Andiamo!
La strada rimane un lungo nastro di catrame che come un serpente avvolge la montagna nelle sue spire senza snaturarla. L'ulimo pezzo si collega al vecchio percorso e le ultime curve sono color nostalgia. Ecco Renaio, rompe là da ponente. Sulla sinistra, in basso, la vecchia casa del Beppe e della Valentina ne annunciano oramai l'arrivo prossimo col cartello RENAIO 1013 metri sopra il livello del mare. Come ne erano orgogliosi di quella misura, quasi come fosse il limite delle possibilità umane. Non plus ultra!
Entrato nel "Mostrico" sono stato accolto da Franca che gestisce adesso il locale e che mi ha spiegato tutti i lavori che sono stati fatti per mettere a norma il locale. Le stanze sono più piccole e poco riconoscibili tagliate da pareti che delimitano gli ambienti. Ecco il primo tuffo, rivedere due quadri che testimoniavano il passaggio della mia famiglia. Un quadro del fratello di mio zio raffigurante la parte del bosco prospicente una delle case che abiamo abitato e un quadro realista di mio babbo raffigurante prigionieri scortati da tedeschi. La cosa che mi ha fatto notare Veronica Marchi, in un messaggio su facebook su quel quadro, è la tristezza di tutte le facce. Non ci sono soldati e prigionieri; se togli loro le divise non riconosci chi sia il prigioniero chi la guardia. Sono tutti dei vinti, in ruoli diversi, ma sconfitti, come nei migliori film di Visconti: puoi essere un personaggio dei Malavoglia o il tenente austriaco di Senso, momentaneo vincitore che sa già che sarà lo sconfitto di domani. Vittime e Kapò.
Uscito dalla locanda mi sono fatto poi una bella passeggiata fino alla chiesa della mia prima comunione della quale avevamo abitato la canonica, rivedendo l'antico panorama della vallata con Sommocolonia ed il vecchio castagno sul quale ci arrampicavamo. Il prato scosceso nei paraggi della chiesa e del campanile è oramai pieno di cespugli, una piccola steppa là dove in passato c'era solo un prato uniforme tenuto rasato dalle pecore. Ecco, mancano i campanacci delle pecore di Giovanni e delle Capre di Enrico e tutto è silente; anche dai castagni spuntano numerosi i ributti alla loro base.
Dopo la passeggiata ho incontrato la Wilma. Lei oggi era tra le poche persone conosciute negli anni '70 e riviste ora. Si è instaurata subito una sensazione particolare, una confidenza antica. Lei in fondo si può dire che mi abbia quasi salvato la vita all'epoca delle vacanze estive quando mi portò giù per la strada impervia, verso Barga e la farmacia, in preda ad una crisi asmatica che mi toglieva il fiato. Era la nipote di Enrico, una bella ragazza con una fiammante Mini rossa. Con quella andammo a rotta di collo verso la salvezza trai castagni, superando a tempo di record la difficoltosa manciata di chilometri che ci dividevano dalla meta. Il muro di castagni si apriva al passaggio della veloce auto come le acque si aprivano al cospetto di Mosè nel film i dieci comandamenti. Non so quanto abbia rischiato lei od io o mia madre che era con noi quella notte, fatto sta che è rimasta per me legata a quell'episodio ancora oggi dai contorni nitidi e sfumati. L'ho accompagnata verso il cimitero dove ha portato delle piante da mettere in omaggio ai suoi cari, alle croci valdesi dei Marchi, bianche come la neve in quel luogo inerpicato sulla sommità dell'ultimo cucuzzolo, dell'ultima ecumene. Oltre solo il cielo.
Gli odori di quella parte di montagna ci hanno fatto fare la considerazione che erano unici, che non si riscontravano nel resto del monte, una atmosfera diversa a poche decine di metri dalla piazzetta. Di quel posto ricordo un bastone che mio padre recuperò e lavorò. Era anche quello diverso dagli altri perchè non era di castagno; doveva essere di un qualche tipo di lenta, saggia e robusta ginestra, curvato in maniera impossibile tanto da non ritenerlo idoneo, ad una occhiata sommaria, per un appoggio per timore che si rompesse sotto il peso del corpo. Ed invece era resistentissimo e molleggiato nella sua ardita curvatura: si fletteva ma non si spezzava. Era un po' come la gente di quella montagna.
Il pranzo gustato sotto il castagno parzialmente interrato enorme e secolare che ci ha fatto ombra tra il vino rosso ed i tortelli ai funghi in compagnia di Luca, che mi ha rintracciato per questa festa valdese di inizio estate. Mi hanno chiesto un paio di volte cosa pensassi della comunità valdese, quali fossero le mie impressioni di allora su di loro. In un film di Moretti si chiede al protagonista cosa ne pensi della sua generazione, e lui risponde come ho fatto io: "Non conosco la mia generazione - come io non conoscevo i valdesi in generale - per me ci sono Giuseppe, Enrico, Giovanni, Francesco, Marina... questi sono la mia generazione e questi per me sono i valdesi, anzi i renaiesi!" Sono nelle bestemmie di Beppe come nell'espressione di Enrico quando di qualcuno che non la pensava come lui ma al quale riconosceva l'onestà di fondo diceva: "En brava gente." con lo scuotere leggermente la testa ad asseverare l'esattezza del giudizio.
Nella scuola del paese, dietro la quale nella mattinata si è svolta la cerimonia religiosa di rito valdese, su un pendio naturale all'ombra dei castagni, è stata allestita una mostra con le foto d'epoca accompagnate anche da brani tratti dal mio racconto pubblicato qualche anno fa da Luca su "Il giornale di Barga." E' stata una bellissima sorpresa vedere nelle teche in esposizione i miei brani ad accompagnare foto della comunità e della famiglia Marchi, quasi a validare la mia testimonianza, come faceva Enrico col suo leggero scuotere la testa.
Altro giro altro regalo. Non bastava il già cospicuo susseguirsi di sensazioni, ad esse si è aggiunta la visita di Pierpaolo Adami, mio compagno di banco delle medie che non vedevo dal 1976. "Venticinque anni son tanti e diciamo, un po' retorici, che sembra ieri..." cantava Guccini, figurarsi quarantadue anni che non ci vedevamo dopo essere stati quasi siamesi per due anni di scuole medie per poi perdersi alle superiori con il cambio di amicizie. Poi il suo trasferimento in Garfagnana ed infine ritrovarsi qui. Quaranta anni in poche frasi ed in un abbraccio! Mi ha presentato la sua compagna, quindi solo un breve accenno di Amarcord... poi il pomeriggio a rievocare ufficialmente l'epoca dei valdesi su questo greppe sperduto con le numerose testimonianze ed i filmati dove si rivedono e riascoltano i protagonisti.
Al termine della rievocazione ho presentato il mio libro "Alboran" che in fondo è un'isola come lo è questa. Il mare che sostituisce i castagni, una comunità, un cimitero, un eliporto lì come la chiesa e la scuola qua. Quello che non mi aspettavo al termine della presentazione è stata la fila di persone che hanno comprato il libro e sono venute a chiedermi l'autografo e la dedica, davvero, dopo essere stato considerato uno di famiglia per tutto il tempo, sono diventato lo scrittore cantore del paese. Foto e dediche in una giornata indimenticabile tra passato e presente.
Come ho detto e come c'è scritto sul mio profilo social io "sono" di Renaio.
La mattina del 14 luglio, dopo venti anni, sono tornato a Renaio invitato dalla comunità valdese che festeggiava la memoria dei luoghi e delle sue genti. Dopo un viaggio passato velocemente, la tappa di avvicinamento d'obbligo a Barga, da sempre sosta destinata, quando arrivavamo negli anni settanta, a fare le ultime spese possibili, le ultime provviste prima di inoltrarci nel verde dei castagni e salire la solita strada erta e bianca come il sale.
La ragione però non era solo questa, e non lo è stata neanche stavolta. La ragione era la concentrazione per prepararsi ad entrare nella porta del tempo, per affrontare il mare dei castagni ed immergersi nella atmosfera di montagna. Ho fatto un giro per Barga, prima la parte vecchia fino al duomo, poi, oltre il ponte, dopo uno sguardo al parco Kennedy, la parte nuova, i locali della vecchia edicola dove mi facevo mettere da parte i giornali dei giorni che seguivano alle partite amichevoli di agosto della Juve, il vecchio negozio di giocattoli, poco oltre il ponte e la macelleria, ultima occasione in passato per acquistare la carne prima di entrare in quel mondo "altro". Ero un po' in "Nuovo cinema Paradiso."
Dell'onda dei ricordi l'assalse il sovvenir... ho aspettato un'oretta poi mi sono deciso dopo un respirone. Andiamo!
La strada rimane un lungo nastro di catrame che come un serpente avvolge la montagna nelle sue spire senza snaturarla. L'ulimo pezzo si collega al vecchio percorso e le ultime curve sono color nostalgia. Ecco Renaio, rompe là da ponente. Sulla sinistra, in basso, la vecchia casa del Beppe e della Valentina ne annunciano oramai l'arrivo prossimo col cartello RENAIO 1013 metri sopra il livello del mare. Come ne erano orgogliosi di quella misura, quasi come fosse il limite delle possibilità umane. Non plus ultra!
Entrato nel "Mostrico" sono stato accolto da Franca che gestisce adesso il locale e che mi ha spiegato tutti i lavori che sono stati fatti per mettere a norma il locale. Le stanze sono più piccole e poco riconoscibili tagliate da pareti che delimitano gli ambienti. Ecco il primo tuffo, rivedere due quadri che testimoniavano il passaggio della mia famiglia. Un quadro del fratello di mio zio raffigurante la parte del bosco prospicente una delle case che abiamo abitato e un quadro realista di mio babbo raffigurante prigionieri scortati da tedeschi. La cosa che mi ha fatto notare Veronica Marchi, in un messaggio su facebook su quel quadro, è la tristezza di tutte le facce. Non ci sono soldati e prigionieri; se togli loro le divise non riconosci chi sia il prigioniero chi la guardia. Sono tutti dei vinti, in ruoli diversi, ma sconfitti, come nei migliori film di Visconti: puoi essere un personaggio dei Malavoglia o il tenente austriaco di Senso, momentaneo vincitore che sa già che sarà lo sconfitto di domani. Vittime e Kapò.
Uscito dalla locanda mi sono fatto poi una bella passeggiata fino alla chiesa della mia prima comunione della quale avevamo abitato la canonica, rivedendo l'antico panorama della vallata con Sommocolonia ed il vecchio castagno sul quale ci arrampicavamo. Il prato scosceso nei paraggi della chiesa e del campanile è oramai pieno di cespugli, una piccola steppa là dove in passato c'era solo un prato uniforme tenuto rasato dalle pecore. Ecco, mancano i campanacci delle pecore di Giovanni e delle Capre di Enrico e tutto è silente; anche dai castagni spuntano numerosi i ributti alla loro base.
Dopo la passeggiata ho incontrato la Wilma. Lei oggi era tra le poche persone conosciute negli anni '70 e riviste ora. Si è instaurata subito una sensazione particolare, una confidenza antica. Lei in fondo si può dire che mi abbia quasi salvato la vita all'epoca delle vacanze estive quando mi portò giù per la strada impervia, verso Barga e la farmacia, in preda ad una crisi asmatica che mi toglieva il fiato. Era la nipote di Enrico, una bella ragazza con una fiammante Mini rossa. Con quella andammo a rotta di collo verso la salvezza trai castagni, superando a tempo di record la difficoltosa manciata di chilometri che ci dividevano dalla meta. Il muro di castagni si apriva al passaggio della veloce auto come le acque si aprivano al cospetto di Mosè nel film i dieci comandamenti. Non so quanto abbia rischiato lei od io o mia madre che era con noi quella notte, fatto sta che è rimasta per me legata a quell'episodio ancora oggi dai contorni nitidi e sfumati. L'ho accompagnata verso il cimitero dove ha portato delle piante da mettere in omaggio ai suoi cari, alle croci valdesi dei Marchi, bianche come la neve in quel luogo inerpicato sulla sommità dell'ultimo cucuzzolo, dell'ultima ecumene. Oltre solo il cielo.
Gli odori di quella parte di montagna ci hanno fatto fare la considerazione che erano unici, che non si riscontravano nel resto del monte, una atmosfera diversa a poche decine di metri dalla piazzetta. Di quel posto ricordo un bastone che mio padre recuperò e lavorò. Era anche quello diverso dagli altri perchè non era di castagno; doveva essere di un qualche tipo di lenta, saggia e robusta ginestra, curvato in maniera impossibile tanto da non ritenerlo idoneo, ad una occhiata sommaria, per un appoggio per timore che si rompesse sotto il peso del corpo. Ed invece era resistentissimo e molleggiato nella sua ardita curvatura: si fletteva ma non si spezzava. Era un po' come la gente di quella montagna.
Il pranzo gustato sotto il castagno parzialmente interrato enorme e secolare che ci ha fatto ombra tra il vino rosso ed i tortelli ai funghi in compagnia di Luca, che mi ha rintracciato per questa festa valdese di inizio estate. Mi hanno chiesto un paio di volte cosa pensassi della comunità valdese, quali fossero le mie impressioni di allora su di loro. In un film di Moretti si chiede al protagonista cosa ne pensi della sua generazione, e lui risponde come ho fatto io: "Non conosco la mia generazione - come io non conoscevo i valdesi in generale - per me ci sono Giuseppe, Enrico, Giovanni, Francesco, Marina... questi sono la mia generazione e questi per me sono i valdesi, anzi i renaiesi!" Sono nelle bestemmie di Beppe come nell'espressione di Enrico quando di qualcuno che non la pensava come lui ma al quale riconosceva l'onestà di fondo diceva: "En brava gente." con lo scuotere leggermente la testa ad asseverare l'esattezza del giudizio.
Nella scuola del paese, dietro la quale nella mattinata si è svolta la cerimonia religiosa di rito valdese, su un pendio naturale all'ombra dei castagni, è stata allestita una mostra con le foto d'epoca accompagnate anche da brani tratti dal mio racconto pubblicato qualche anno fa da Luca su "Il giornale di Barga." E' stata una bellissima sorpresa vedere nelle teche in esposizione i miei brani ad accompagnare foto della comunità e della famiglia Marchi, quasi a validare la mia testimonianza, come faceva Enrico col suo leggero scuotere la testa.
Altro giro altro regalo. Non bastava il già cospicuo susseguirsi di sensazioni, ad esse si è aggiunta la visita di Pierpaolo Adami, mio compagno di banco delle medie che non vedevo dal 1976. "Venticinque anni son tanti e diciamo, un po' retorici, che sembra ieri..." cantava Guccini, figurarsi quarantadue anni che non ci vedevamo dopo essere stati quasi siamesi per due anni di scuole medie per poi perdersi alle superiori con il cambio di amicizie. Poi il suo trasferimento in Garfagnana ed infine ritrovarsi qui. Quaranta anni in poche frasi ed in un abbraccio! Mi ha presentato la sua compagna, quindi solo un breve accenno di Amarcord... poi il pomeriggio a rievocare ufficialmente l'epoca dei valdesi su questo greppe sperduto con le numerose testimonianze ed i filmati dove si rivedono e riascoltano i protagonisti.
Al termine della rievocazione ho presentato il mio libro "Alboran" che in fondo è un'isola come lo è questa. Il mare che sostituisce i castagni, una comunità, un cimitero, un eliporto lì come la chiesa e la scuola qua. Quello che non mi aspettavo al termine della presentazione è stata la fila di persone che hanno comprato il libro e sono venute a chiedermi l'autografo e la dedica, davvero, dopo essere stato considerato uno di famiglia per tutto il tempo, sono diventato lo scrittore cantore del paese. Foto e dediche in una giornata indimenticabile tra passato e presente.
Come ho detto e come c'è scritto sul mio profilo social io "sono" di Renaio.
Opera scritta il 10/08/2018 - 20:18
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